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Agnolo Ambrogini, detto il Poliziano Lamia IntraText CT - Lettura del testo |
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Contiamo un po' due favole, ma senz'uscir del soggetto, ex re, come vuole Orazio; ché anche le favolette che si lasciano alle vecchierelle, possono esser talvolta non pure principio ma e istrumento di filosofia. Signori, avete voi sentito mai nominare la Strega? A me quand'ero piccolino la nonna raccontava di certe Streghe, che stanno ne' boschi e mangiano i bambini che piangono. Figuratevi che diavoleria, che spauracchio, era per me allora la Strega! Anche oggi a Fonte Lucente, come si chiama vicino alla mia villetta di Fiesole un ruscello che in quelle segrete ombre si nasconde, le donnicciuole che vengon per l'acqua dicono esserci il ritrovo delle Streghe. O che cosa è ella mai questa Strega? Plutarco da Cheronea, giudizioso non men che dotto, scrive che le Streghe hanno gli occhi posticci, cioè da cavare e mettere a posta loro; come gli occhiali i vecchi un po' cagionevoli di vista, che quando voglion vedere qualche cosa se gl'inforcano sul naso com'un paio di cesoie, veduto il fatto loro li ripongono nel cassetto. E' c'è anche chi adopra i denti così posticci, e la sera se li leva né più né meno che i panni; e le vostre donnette, o mariti, non fanno lo stesso di quelle loro trecce e de' ricci? Dunque la Strega tutte le volte ch'esce di casa, si mette i su' occhi, e girella per le piazze, per le strade, pe' canti, pe' chiassi, per le chiese, per le stufe, per le taverne, per tutti i ritrovi; e tutto aocchia, tutto fiuta, e fruga e scova, per nascondere ch'uom faccia. Le sono occhiate da nibbio, o da spia, come di quella vecchia fantesca in Plauto. Vi so dir io che la trova il pel nell'ovo, che la ficca il naso in tutti i buchi. Ma come torna a casa, appena è sulla soglia, si cava gli occhi e se li caccia in tasca: cosicché in casa è sempre cieca, fuori occhiuta sempre. Che fa ella in casa? domanderete. La si sta a sedere filando, e ogni tanto canticchia. Di grazia, non ne avete mai vedute, o Fiorentini, di coteste Streghe, che s'occupano de' fatti altrui, scambio di badare a' proprî? - No? - E sì, che per le città e' se ne trova parecchie, e anche qui in Firenze. Vero è che vanno attorno in maschera; sicché tu le pigli per uomini, e sono Streghe. Or alcune di costoro, vedutomi a caso passare, si fermarono; e facendo atto di conoscermi, mi squadrarono ben bene come, fa chi compra; poi tra loro, con certe smorfie bieche: - Gli è il Poliziano, bisbigliavano, proprio lui; come! quel cantastorie, che tutt'a un tratto ci scappa fuori filosofo! - E con queste parole volaron via, come vespe dopo lasciato il pungiglione nella ferita. Ma quanto all'essere io uscito filosofo a un tratto, non so quel che le si volessero dire: se disprezzassero in generale lo esser filosofo, che io non sono certamente; o me che voglia farla da filosofo, senz'averne le qualità. Vediamo dunque: I, Che sia questo animale chiamato dagli uomini filosofo; che vi parrà chiaro non essere io quello. Ciò non dico perché mi creda che voi lo crediate, ma perché non avvenga ad alcuno mai di crederlo; e neanche per vergogna di quel nome, se al nome rispondessero i fatti, ma perché non mi piace toccare i titoli altrui,
Per non rimaner poi come cornacchia, Quando gli augei richiederan le penne.
II, Se l'esser filosofo sia turpe cosa e cattiva, e mostreremo di no. III, Diremo poche parole di noi e di queste nostre lezioni.
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