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Agnolo Ambrogini, detto il Poliziano
Lamia

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Ma a tali mie solenni dichiarazioni saltan su da capo le Streghe, e mi lanciano in breve risposta due motti: - Non ti sbracciar tanto, o Poliziano, a provare e testimoniare all'uditorio, che tu non sei filosofo. Sta' tranquillo: non c'è alcuno così balordo che pensi a questo. E noi, quando dicemmo che a un tratto c'eri scappato fuori filosofo (che l'è una parola, si vede, che proprio ti scotta), non abbiamo inteso che tu sia filosofo; né siamo goffe e spropositate in modo, da farti carico del filosofare; ma era stizza la nostra di vedere con che po' po' d'arroganza, per non dir peggio, tu professi filosofia già da tre anni, senz'aver mai prima d'oggi atteso a cosiffatti studî. E per questo ti abbiamo anche chiamato cantastorie; perché séguiti tuttavia a insegnare quel che non sai, sì, quel che non hai imparato. - O Streghe dabbene, or sì che intendo quel che vi diciate! pur m'avete chiaro! Ma sentite, alla vostra volta, due paroline anche voi, se non vi dispiace. Sappiate ch'io mi professo interprete d'Aristotile; se buono o cattivo, non sta a me a dirlo; ma certamente interprete, non filosofo. O s'io fossi il turcimanno d'un re, m'avre' io per questo a creder il re? O che Donato e Servio nostri, Aristarco e Zenodoto greci, perché interpretano poeti, si professan dunque poeti? E perché tutti chiaman grammatico, e non filosofo, quel Filopono discepolo d'Ammonio e condiscepolo di Simplicio, valente interprete d'Aristotile? E grammatici sono Senocrito da Coo, Aristocle e Aristea rodiani, Antigono e Didimo alessandrini; e ricordammo Aristarco, il più celebre di tutti: e tutti, secondo ci fa sapere Eroziano, interpretarono Ippocrate; e così altri, dei quali parla Galeno; né per questo si dice mica che sian medici! Perocché è ufficio dei grammatici esporre e svolgere ogni sorta scrittori; poeti, isterici, oratori, filosofi, medici, giureconsulti. Il secol nostro, poco conoscente dell'antichità, ristrinse il grammatico in un cerchio strettissimo; ma presso gli antichi quell'ordine aveva tanta autorità, ch'erano essi soli censori e giudici di qualsivoglia scrittura, onde i grammatici dicevansi anche critici: e Quintiliano scrive che non solamente notare con virgolette i versi corrotti, ma eziandio si attribuivano di toglier via, come illegittimi dalla famiglia, i libri che paressero apocrifi; anzi agli autori stessi davan'essi, a chi loro piaceva, la patente o lo sfratto. E veramente grammatico in greco non vuol dir altro se non letterato; siamo noi che abbiamo confinato questo nome nelle scolette del Trivio, come in gastigo: cosicché i letterati avrebbero la medesima ragione di lamento e di cruccio, che quell'Antigenide flautista, il quale: si sdegnava del sentir chiamare flautisti i trombetti de' mortorî; egualmente i letterati possono recarsi a onta, che il nome di grammatico sia dato a chi insegna i primi elementi. Costoro i Greci li chiamavano non grammatici ma grammatisti, e i Latini non litterati ma litteratores. Ma de' grammatici, un'altra volta; or torno a me. E dico che per esporre filosofi, non m'infilosofo mica io; come se occupassi titoli caduchi, o m'accollassi gli altrui. Di grazia, m'avete voi per tanto insolente o stolto, che se alcuno mi desse del giureconsulto o del medico, non crederei in tutto ch'e' volesse il giambo de' fatti miei? E pure (sia detto senz'arroganza) gli è buon tempo ch'io lavoro, e di lena, ad alcuni commentarî sul Diritto civile, ad altri sui maestri di medicina: né voglio acquistarne altro nome, che di grammatico; pregando che non mi sia invidiata questa qualificazione, schifata, pure da certi messeri come vile e spregevole. - Su via, sclamano le Streghe, passi pel grammatico; ma filosofo, no e poi no. Come filosofo, tu che non hai imparata la scienza né dai maestri né su pe' libri? Ti pensi che i filosofi sian come i funghi, che spuntino di botto al primo acquazzone? o come i Figliuoli della terra, che i poeti fanno nascere col su' elmo e scudo e tutto dalle glebe da' solchi? Ripeterai quel che diceva Epicuro, d'esserti insegnato da te? o che la filosofia te l'ha soffiata nottetempo qualche dio, secondo si racconta d'Esopo? - Queste Streghe mi stringono i panni addosso; è meglio ch'io le pianti, e tratti  con voi, che spero d'avere più amorevoli. Io non v'addurrò in mezzo la domestichezza ch'io ho sempre tenuta con dottissimi filosofi, né i miei scaffali alti fino al soffitto pieni d'antichi commentarî, specie greci, che a me paiono i più solenni maestri. Lasciamo codesto, e patti chiari: Se ne' miei scritti o discorsi non c'è ombra di filosofia, son contento si dica ch'io non ne sono stato a studio né ne ho svolti gli autori; ma se ci troverete pur alquanto sentore d'alcuna scuola filosofica, mi vorrete concedere, se non d'aver pensate io quelle cose, almeno d'averle imparate da color che sanno. E se accatta biasimo chi molto promette innanzi di dare, perché non avrò io lode che questo pochetto ve lo do per quel che è, innanzi di farne le promissioni? Le pecore, dice lo stoico Epitteto, mandate alla pastura, non si fanno belle la sera col suo pastore della molt'erba pasciuta; sì gli dan latte in quantità e lana: così non si vuole predicare quanto uno abbia imparato, ma quello si è imparato dimostrare. Il che pare a me aver fatto sin qui, e che il farò in avvenire con l'aiuto delle Muse, delle quali,

 

Sacerdote amoroso, il culto osservo.

 

Perciò, dopo avere pubblicamente letto d'Aristotile prima l'Etica; e in appresso le Cinque Voci di Porfirio, e del medesimo Aristotile i Predicamenti, co' Sei principii di Gilberto Porretano, e la Periermenìa o dell'Interpretazione, poi, come fuor del programma, gli Elenchi Sofistici, opera mai più tocca da altri e quasi indecifrabile; or ecco che pur mi chiamano a sé i due Libri Analitici detti le Priora, nei quali si contengono le leggi del ben ragionare. Ché se questi libri sono in qualche parte spinosi e inviluppati d'assai difficoltà così pel soggetto come pel testo, per ciò stesso io mi vi accingo tuttavia di miglior voglia e con più pronto animo perché quasi in tutti gli Studî i moderni filosofi se ne passano, come di parte non già meno utile ma troppo scabrosa. E poi venitemi intorno a fiottare, quand'io mi piglio la briga d'interpretar le cose più difficili, e ad altri lascio il nome di filosofo! Già, chiamatemi come vi pare; grammatico, filosofastro: e se neanco così, padroni. Del resto, io voglio che questo mio discorso, fatto, lo vedete, alla buona e che si tiene terra terra, come con una favoletta è cominciato, così finisca con una favoletta; secondo quello dice Aristotile, che il filosofo anche è da natura filomito, cioè amatore di favola; perché elemento della favola è il meraviglioso, e il meraviglioso ha fatto i filosofi. Ma sentite la favoletta. Una volta il collegio degli uccelli fu alla civetta, e sì la pregavano che non volesse più fare suo nido nelle buche degli edifizi, ma piuttosto sui rami e tra le frondi degli alberi, che è più soave svernare. Ed anche le mostravano un querciuolo giovinetto e tenerino, dove potrai, le dicevano, accovacciarti mollemente e fare il tuo nido. Ma la civetta rispose un bel no; anzi a sua volta consigliò gli uccelli non si affidassero a quell'alberetto, che produrrebbe a suo tempo del visco, con loro strage e rovina. Spregiaron'essi, com'è la lor leggera e volatile natura, il consiglio della civetta sapiente. E già la querce era cresciuta, e distendeva e vestiva i suoi rami: su pe' quali gli uccelli in frotta svolazzano, ruzzano, saltellano, giuocano, gorgheggiano. Ma poco stette che la querce cominciò a dar fuori il visco, e gli uomini si furono accorti. Onde i tristi uccelletti tuttiquanti a un tratto vi rimasero impaniati; tardi pentendosi d'aver non curato quel salutevole consiglio. Per questo dice che gli uccelli, quando vedon la civetta, vanno tutti insieme quasi a salutarla; e le fanno corteggio e codazzo, fermandosi e svolazzandole intorno: come se, ricordandosi del consiglio, ammirino la sapienza di lei, e le si affollino addosso per veder d'imparare un po' di giudizio. Ma, secondo me, non ne sarà nulla; anzi qualche volta, glien'incorrà peggio: perocché le civette sapienti facevano a' tempi antichi; oggi di civette ce ne ha in buon dato, con penne e occhi e becco di civetta, ma quel che manca è per l'appunto la sapienza.

Ho detto.

 




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