Io mi fo
a scrivere brevemente la congiura de' Pazzi; perocché questa sopra ogni altro memorando fatto a tempo
mio intervenne, e poco stette che non rovinasse al tutto la repubblica
fiorentina. Lo stato adunque della città era, che tutti i buoni si tenean per Lerenzo e Giuliano fratelli, e per tutti gli altri di casa
Medici; sola la famiglia de' Pazzi, ed alcuni de' Salviati, a contrastare il
presente reggimento in prima celatamente, di poi alla scoperta cominciarono. Dappoiché a' Medici portavano invidia, il cui privato decoro e somma
autorità nella repubblica, per quanto era lor dato,
svilivano.
La famiglia de' Pazzi e da' nobili
cittadini e dalla plebe era parimente di mal occhio veduta; poiché oltre
all'esser tutti avarissimi, la loro intemperante e superba natura non si potea in nessuna guisa patire. Il capo della cui famiglia
Iacopo de'
Pazzi, dell'ordine de' Cavalieri, passava i dì
e le notti in giuocar a'
dadi; e, dove incontrava che mal gli gittasse,
imprecava contro Dio e gli uomini. E talvolta lo scacchiere, o che che altro nello sdegno venissegli
innanzi, in chi fossegli da presso ciecamente il tirava: e sovente come furioso dava del capo in esso
scacchiere. Nell'aspetto pallido: il capo di continuo voltar qua e là, e (che è
grandissimo segno di leggerezza dell'animo) con la bocca, con gli occhi, con le
mani mai non istar fermo. In costui due grandissimi vizii signoreggiavano; (e che reca maraviglia) massimamente
tra loro contrarii: grande avarizia,
e grande ambizione. La casa paterna magnificamente edificala
abbattè dalle fondamenta; diè
opera a fabbricarne una nuova; al quale uopo usando di genti mercenarie, non
mai quelle interamente pagava: ed i poverelli operai,
che dalla fatica delle braccia si cavavano miseramente per la giornata il
vitto, defraudava; il perché era da tutti malveduto. Né
egli, né i suoi antenati erano mai stati ben accetti al popolo. Non avea in oltre legittima prole; per la qual cosa dai suoi
parenti, come quelli che la eredità di lui agognavano,
venìa tra gli altri ben servito, e careggiato. La trascuraggine in
lui grandissima, grandissima la negligenza delle cose familiari. E tali essendo
i costumi di quest'uomo, di leggieri,
quello egli sarebbe stato per fare, si vedea;
e quali opere e ingegni, e qual fiero stimolo, e quai
fiamme il sospingevano al suo disegno. Perocché egli
come uomo non usato, ed ambizioso, non si credea di
portar di buon animo l'ignominia di dissipatore; sicché studiavasi
a tutt'uomo
di gittare ad un'ora in un medesimo incendio sé
stesso, e la patria.
Francesco Salviati,
d'altra parte, uomo di tratto sollevato dalla fortuna, come colui
che non molto innanzi fu ad arcivescovo di Pisa eletto, mal polendo sé
stesso sostenere e la sua fortuna, avea cominciato,
oltre ogni dire, per le prosperevoli cose ad
insolentir vanamente, e tutto di sé e della sua fortuna si promettea.
Quest'uomo, e ciò ben sanlo
Iddio e gli uomini, fu d'ogni scienza umana e divina ignorante e dispregiatore:
d'ogni nefandezza e ribalderia ricoperto: rotto a lussuria, e per lenocinii famoso: anch'egli perduto nel giuoco:
inoltre grandissimo adulatore, molto leggiero, e pieno di vanità: audace,
destro, scaltro e sfacciato. Con le quali arti (tanto non si vergognò della sua
fortuna) conseguì l'arcivescovado, e fino il cielo prometteasi
con preghiere.
Costui unitamente a Francesco de' Pazzi,
che a cagione della naturale ambizione dell'animo suo si avea
grandi speranze promesso, è fama, che già molto tempo innanzi avea cospirato in Roma di finir Lorenzo e Giuliano, e
d'impadronirsi della repubblica. Tutti i faziosi finalmente nella villa
suburbana di Iacopo de' Pazzi, che ha nome Montughi,
congiurarono insieme al delitto. Esso Salviati ordinò
il modo da tenersi in quella congiura. Francesco, nato da Antonio fratello di
Iacopo, sendo uomo di animo presontuoso, si era in gran superbia levato ed in grande
alterigia. Egli oltremodo adiravasi, che la famiglia de' Medici
era a lui preferita: di continuo sparlar contro di Lorenzo e Giuliano, e qua e
là infamarli: non perdonare né a scherni, né a villanie di sorta: di tutto togliea occasione per arrecar loro ingiurie quanto potea maggiori. A Roma passava lungamente il tempo presso
la medesima Banca de' Pazzi; giacché ben sapeva, che ei nessuna autorità aveva in
Firenze, a cagione che i Medici, per la religione ed integrità de' costumi, aveansi l'amore di
tutti guadagnato.
Era inoltre, e ciò fu a tutti i Pazzi comune, sopra ogni credere, corrivo alla
rabbia ed all'ira. Ebbe piccola persona, sottile corpicciuolo,
colore alquanto livido, capelli bianchi, nella cui acconciatura molta cura e
tempo spendea. Avea altresì
tal forma di corpo e di volto, e tali atteggiamenti, che avresti
di leggieri avvisato la incredibile insolenza di lui; la quale, massime ne'
primi abboccamenti, sforzavasi a tutt'uomo
celare; il che non sempre gli venia secondo l'animo suo. Oltreché
era uomo sanguinario; e tale, che qualunque cosa gli si ravvolgea
per l'animo, correva tosto ad ispacciarla, e non era
da nessun riguardo tenuto né per il decoro, né per la pietà, né per la fama, o pel nome di alcuno.
Iacopo Salviati poi era acconcio massime nel tirare a sé gli animi
altrui; piacevasi mai sempre di tutte le graziose
maniere; accogliea tutti molto lautamente; il solo
suo pensiero si era la lussuria e le gozzoviglie: era tuttavia intento nel
mercanteggiare, di cui era molto espertissimo.
Tra questi era un altro Iacopo figliuolo di quel Poggio, uomo eloquentissimo.
Il quale sì per le strettezze della casa sua, sì per l'altrui danaro, di cui buona quantità avea
accumulato, e sì per una certa sua naturale ambizione, delle cose nuove era
grandemente desideroso. Il principal suo valore era
nel dir male di tutti; nella qual cosa al padre suo, che era assai maldicente,
in tutto somigliava. Avea mai sempre in costume o
perseguitar dapertutto i principi, od inveir con
parole contro i costumi de' cittadini fuor d'ogni ragione e proposito, o infine le
scritture di talun letterato provocar con ingiurie: a
nessuno non la perdonava. Egli andava oltremodo superbo della sua grande memoria delle istorie, e
della grande facondia del parlare: in tutti i cerchi ed adunanze ripetea sempre il medesimo, fino a stomacar gli uditori. Il
patrimonio, che largamente ereditò dal padre, avea in pochi anni interamente sparso e consumato; il perché,
mosso dalla povertà e dal bisogno, si diede tutto a'
Pazzi ed a' Salviati;
perciocché era quello, che per lo innanzi fu stato, vendevole
a qualunque compratore.
Fu ancora tra costoro un quarto
Iacopo, fratello dell'Arcivescovo, uomo ignobile e vile. Oltre a questi, era Bernardo Bandini, uomo perduto,
audace, intrepido, cui il guasto dato alle sostanze della sua casa, l'avean rovinosamente tratto ad ogni maniera di ribalderia.
Furon sette que'
cittadini, che al nero disegno diedero cominciamento;
e a costoro vennero aggiunti Giovambattista da Montesecco, famigliare del conte Girolamo, ed Antonio da
Volterra, il quale l'odio di patria, ovvero una cotale indole facile e leggiera
a secondare altrui, il sospingeva al delitto. Eravi
inoltre Stefano, sacerdote, e cancelliere di Iacopo de' Pazzi, uomo lascivo, e
di pessima fama per ogni generazion di delitti; anzi
correva voce che egli in casa Iacopo non usava punto onestamente; poiché l'unica
figliuola di lui, si ha per documenti di lettere, sia stata per adulterio
concepita.
Egli è manifesto che Renato e
Guglielmo de' Pazzi non ignoravano cotale congiura. Guglielmo medesimo
menato avea in isposa
Bianca, sorella di Lorenzo de' Medici; ond'ella era di già
venuta a far parte dell'illustre famiglia; per il che si congetturava che egli
tenesse il piè in due staffe. Costui era maggiore di Francesco suo fratello,
del quale poco innanzi tenemmo parola. Renato fu figliuolo
di Pietro, dell'ordine de' Cavalieri, fratello di
Iacopo e di Antonio, a Guglielmo e Francesco cugino. Questi era uomo non meno
scaltro, che dissimulatore grandissimo dell'odio e delle ingiurie. Non pure avea l'animo smisuratamente audace, ma tale, che qualunque
cosa per tempo gli passava per l'animo, metteva celeremente
in atto. Egli era eziandio avaro, ed avidissimo del danaro; onde pure dal popolo era mal voluto. Oltre a questi,
non poca parte ebbe in questa congiura Napoleone Francesi,
vassallo di Guglielmo. In essa ebbevi ancora talune persone, delle quali, altre erano
dell'Arcivescovo, ed altre de' Pazzi. Tra gli altri un cotal Brigliaino, uomo di streme
condizioni; e Nanni da Pisa, notaio, tenuto scellerato e fazioso.
Se non che quegli, che tra questi forestieri prese
le prime parti, fu Giambattista, che noi dicemmo innanzi, famigliare di
Girolamo. Costui la trama, da ben due interi anni avanti trattata, avea insino al dì 28 di aprile differita dell'anno della salute di Cristo 1478,
la domenica avanti l'Ascensione. Era uomo di grande ingegno, di molta astuzia,
e di scaltro animo; facile e destro massime nel trar le cose al suo avviso; ed in questo moltissimo si
esercitava: onde il Salviati, e tutti gli altri
congiurati, grandissima fidanza aveano in lui.
Ma è oramai tempo che il disegno della
congiura venghiamo sponendo.
La famiglia de' Medici, come in molte
cose, così pure nel ricever massimamente ospiti illustri, fu mai sempre
splendida e magnifica assai. Nessun chiaro personaggio pervenne mai in Firenze,
o nel territorio toscano, verso di cui non abbia
quella casa usato ogni maniera di onore e di magnificenza. Raffaele Riario adunque, nato della
sorella del conte Girolamo, a caso cardinale, avea
non molto tempo prima preso alloggio nella villa suburbana di Iacopo, ove, è
detto di sopra, ebbe luogo la congiura. Da ciò tolgono i congiurati occasione
all'infame delitto. A nome del cardinale fanno a' due fratelli assapere che il ricevino a Fiesole, vicino loro feudo. Lorenzo ed io stesso
ci riducemmo colà insieme col fanciullo Pietro,
figliuolo di lui. Giuliano, poiché trovavasi infermo,
restò in casa: il che nell'istesso dì, che abbiamo
detto, attraversò il disegno. Gli mandano di nuovo avviso molto familiarmente,
che il cardinale avea desiderio d'intervenire al
convito in Firenze; ed ivi voler gli ornamenti del palagio,
le vesti, i drappi, i gioielli, le argenterie, e tutte le preziose
suppellettili riguardare. Di nessuna frode sospettavano gli egregi giovani.
Adornano la casa, metton fuori gli ornamenti,
dispiegano i drappi; le argenterie, gli stendardi, i bassirilievi
pongono in mostra; cavan fuori della
guardaroba le gemme; il convito è parato molto magnificamente.
Ed ecco innanzi tempo una mano di congiurati
van dimandando: Dov'è
Lorenzo? dove Giuliano? Rispondesi essere ambedue nel
tempio di Santa Riparata: colà essi vanno. Il cardinale, com'è l'usanza,
ascende al seggio più alto del coro; e, in quel mezzo che la messa si celebra,
l'Arcivescovo con Iacopo Poggio, e con i due Iacopi Salviati, e con alcuni
altri compagni, va nel Palagio per gettar giù dalle
mura i Priori di Firenze, ed occuparlo. Tutti gli altri rimangono nel tempio a
compiere l'assassinio. Giovambattista, destinato a dar la morte a Lorenzo, si
era ricusato all'impresa. Avean tolto questo carico Stefano ed Antonio da Volterra; gli altri avean di mira Giuliano. Come fu quivi compiuta la
comunione del sacerdote, dato il segnale, Bernardo Bandini, Francesco de' Pazzi, ed altri de' congiurati,
fatto un cerchio, circondano Giuliano. Il Bandini,
capo di loro, cacciategli uno stilo nel petto, trapassa
il giovane da banda a banda. Quegli moribondo alquanti
passi fuggire, ed essi inseguirlo d'appresso; il giovane, essendogli già tutto
il sangue e le forze mancate, cadde morto per terra. In quella che a terra
giaceva, Francesco con spessi e ripetuti colpi di pugnale il trafisse:
in tal guisa ammazzano il virtuoso giovane. Il servo che lo seguiva, si era in
luogo riposto vergognosamente rifuggito.
In queslo
mezzo gli scelti sicarii assaltano ancora Lorenzo; e
per il primo Antonio da Volterra avventa la mano sinistra alla spalla di lui, e gl'indirizza il colpo nella gola. Quegli
intrepidamente si toglie il mantello, e l'avvolge alla mano diritta, trae tosto
il pugnale dal fodero da un sol colpo è ferito; e il riceve nel collo, nel mentre
che ei si svincola. Incontanente egli da prode e
coraggioso uomo impugnato lo stilo si volge a' sicarii, ed ingegnosamente da loro si guarda, e si difende.
Quelli sbigottiti si mettono in fuga. Né fuvvi
altrimenti alcuno aiuto per parte di Andrea, e Lorenzo
Cavalcanti, tardi nel difender lui (de' quali per
staffieri egli usava); il primo di essi è nel braccio ferito, e l'altro scampa
sano e salvo la vita.
Gli era un vedere il popolo che
tumultuava, uomini, donne, sacerdoti, fanciulli, andar
qua e là fuggendo, dove menavali la fuga. Tutto era di fremito e di dolore ripieno: nessuna voce udivasi nientemeno espressa: vi ebbero persino di quelli,
che credettero rovinare il tempio. Bernardo Bandini che ucciso avea Giuliano,
non contento pure di questo, va per Lorenzo. Quegli opportunamente si
era con altri pochi nel sacrario del tempio rifuggito. Bernardo
disavvedutamente uccide Francesco Nori (prudente
uomo, e soprastante alla mercatura della casa Medici)
di un sol colpo di spada, cacciatagli nel petto; il cui cadavere ancora
spirante fu nel sacrario medesimo portato, dove Lorenzo si era posto rinchiuso.
Allora io, con taluni altri, la porta, che era di bronzo, chiudemmo; in questa
forma dal pericolo cessammo, che dal Bandini ne
sovrastava.
In quello
stante che noi guardiamo la porta, gli altri sbigottirsi al di dentro, ed
essere per la ferita di Lorenzo accuorati. Ivi Antonio Rodolfo, virtuoso giovane, figliuolo di Iacopo, succhiargli la ferita. Lorenzo della
sua salute nessun pensiero si dava; anzi continuamente dimandava:
se Giuliano era salvo. Non però di meno talune fiate tutto adirato minacciava
insieme, e si querelava, che la sua vita, da chi mano si dovea,
veniva assaltata. Incontanente
una moltitudine di giovani, fedeli alla casa Medici, armati di pugnali innanzi
la porta del tempio si affollano; e, dandosi a conoscere per amici ed intrinsechi, gridano unanimemente: Esca, esca fuori
Lorenzo, innanzi che la fazione nemica non prenda vigore. Noi di dentro
intimoriti eravamo dubbiosi, se questi eran nemici,
od amici; domandiamo pertanto, se Giuliano era in salvo: al che quelli non
risposero nulla. Allora Sismondo Stufa, giovane
egregio, come quegli che insin da fanciullo
era stato con singolare amore e mirabile pietà a Lorenzo congiunto, monta su
per una scala, va subitamente al fenestrone, che mettea nel tempio, da quella parte ove l'organo è posto; e
dal cadavere di Giuliano, che vede steso per terra, viene tosto a sapere
l'assassinio. Guarda che quelli che stavano di fuori erano
amici: dà la voce, si aprisse la porta. Quelli in gran numero mettono Lorenzo
in mezzo ad un cerchio di armati; e, acciò non s'imbattesse nel cadavere di Giuliano, per una
via più lunga lo scortano a casa. Io mi vi trassi per la via più corta, ed
urtai in esso cadavere da molti colpi trafitto, che
imbrattato tutto di sangue miseramente giaceva. Quivi per il dolore grandissimo
vacillante, e mal fermo di mente, fui da taluni amici sollevato, ed a casa ridotto.
Da per tutto eravi
moltitudine di armati; da tutte le vie udivansi le
grida de' partigiani; ogni casa di voci e di strepito
risuonava. Vedeansi fanciulli,
vecchi, giovani, cherici, e laici prender le armi: la
casa de' Medici non altrimenti che se pubblica salute
ella fosse, andar tutti difendendo.
In questo mezzo il Priore di Pisa
viene in segreto abboccamento con Cesare Petrucci,
gonfaloniere, come dicono, di giustizia, col disegno di trucidarlo; e dice:
dover egli alcune cose per parte del papa riferire. Taluni fuorusciti perugini,
che consapevoli del delitto lo accompagnavano nel palagio
il podestà, si mettono nella camera della cancelleria per tener luogo
opportuno; le porte della stanza rinchiudono; né quelle, ove il caso volesse,
possono mai aprire; e così non tornare di nessuno
aiuto né a sé, né agli amici loro. Ma Cesare nel guardare il Salviati, che era titubante, temendo di frode, dà la voce
d'allarme a' sergenti. Il Salviati invaso
dalla paura si spinge fuori della stanza. Quegli si abbatte
in Iacopo figliuolo del Poggio; e poiché avea grande
vigor d'animo, presolo pe' capelli, lo gitta per terra, ed ordina alle guardie di tenerlo.
Incontanente con molti della Signoria corre in fretta
sull'alto del Palagio. Ivi tolto che ebbe uno spiedo
da una cucina (ché tale arma il timore e lo sdegno gli
avean dato tra mano) quanto può il più difende la
porta; e con grande intrepidezza di animo la vita sua e la pubblica fieramente
difende: il medesimo fanno gli altri ciascun per sé coraggiosamente.
Nel palagio
di Firenze ci ha di molte porte; le quali, serrate da'
sergenti, tengono i principali de' congiurati
disgiunti; i quali essendo in questa forma in molti drappelli divisi, perdono
ogni impeto e forza. In questo mezzo tutto il palagio
fremea al di dentro, e traevano colà pochissimi
cittadini.
Dall'altra parte Iacopo de' Pazzi,
come d'aver fallito il colpo di uccider Lorenzo s'avvide, consapevole di
essersi fatto reo di tanta scelleratezza, con ambedue le mani si percuotea nel volto. In quella che egli frettolosamente
moveva per la casa, prima che egli uscisse fuori del tempio, a cagione
dell'affanno dell'animo suo, cadde a terra. Come egli
si vide ultimamente essere a mal partito, deliberando di tentar la fortuna, con
pochissimi compagni se ne va dirittamente alla piazza del Palagio.
Nulla incontra di male: solo tutti detestavano il suo delitto, e gridavano la
croce addosso all'infame; il quale tutto intimorito a mala pena il suono della
sua voce lasciava sentire. Tostoché egli nessuno aiuto ebbe trovalo nel popolo, comincia a tremar
tutto, ed a venir manco di animo.
Quelli che da
alto del Palagio erano saliti, di grandi sassi e
dardi lanciano con violenza su Iacopo: egli sbigottito se ne ritorna a casa. Colà pure Francesco, il quale avendo in quel tumulto gravi ferite riportato, si era rifuggito
immantinente.
Indi a poco
tempo i partigiani di Lorenzo ricuperano il Palagio;
i Perugini, scassinata che fu la porta, furon tutti
tagliati a pezzi; dipoi fu fatto strage ancora degli altri. Iacopo del Poggio fu alle finestre
impiccato: il Cardinale2 intorniato da un
grosso corpo di armati, è in Palagio tradotto; ed a
fatica dalla furia della moltitudine il difendono. Parecchi, che erano usati
tenergli compagnia, furono dalla plebe uccisi: da per tutto fu dato il guasto;
sino gli stessi cadaveri furono bruttamente lacerati a brani. Di già un capo
umano era stato confitto in sur una lancia d'innanzi la casa di Lorenzo; e già aveano il rimanente del corpo strascinato. Niente tuttavia
udirsi, se non rumori di popolo da per tutto gridando:
Palle, Palle; che è l'arme della casa Medici. Laonde
Iacopo de'
Pazzi, perduto tutto, si delibera di fuggire; va con una mano di armati
alla porta, che dicesi alla Croce, e di là si mette in fuga.
In tutto il qual mezzo tempo al palagio de' Medici il popolo trarsi in folla con affetto mirabile, e maravigliosa sollecitudine; dimandar
tosto i traditori al supplizio; non perdonare né a vituperio, né a minacce di
sorta, insino che gli scellerati non si ordinasse,
venissero menati a morte.
Quivi la casa di Iacopo de' Pazzi
a stento fu dal guasto campata. Francesco tutto ignudo e pien
di ferite da dentro l'istessa casa del
zio è, quasi semivivo, tratto al capestro da Pietro Corsino; il quale era colà
corso, seguito da una grossa mano di suoi partigiani. Ei non era agevol cosa tenere in freno il popolo infuriato.
Incontanente da quella istessa finestra, ove pendeva Francesco de'
Pazzi, sopra esso corpo spento è ancora il vescovo di Pisa appiccato. Il quale
essendo gettato giù, si avventa co' denti nel cadavere di esso Francesco (il che, stimo, parrà
a tutti maraviglioso; sebbene a niuno non fu ignoto);
e con tutto che soffocato era dal laccio, con gli occhi furiosamente aperti la
mammella di lui tenea fortemente stretta. Dopo di lui
ambedue i Iacopi della
famiglia Salviati vengono altresì impiccati.
Mi ricorda d'essermi ridotto in Palagio (ché la casa era già tutta
in calma), ed ivi cadaveri bruttamente pesti e dimembrati
qua e là vidi stesi per terra; su i quali il popolo usava dileggi assai, ed
assai crudeltà.
La casa de' Medici era per molte
ragioni grata al popolo; il perché tutti allora l'assassinio di Giuliano
imprecavano, e contro l'infame delitto andavan
gridando: Che un giovane egregio, letizia della fiorentina gioventù, era stato
con perfidia, con frode, e con tradimento da persone ucciso, cui niente caleva; e che una famiglia vile e sacrilega, di Dio nemica
e degli uomini, avea tanta infamia commesso. La memoria recente altresì del suo valore mettea
forte stimolo nella plebe. Perciocché, celebrandosi pochi anni innanzi
la giostra de' cavalieri, il maraviglioso valore
di Giuliano avea quello di tutti superato, e n'avea a casa riportato la palma e le spoglie; la qual cosa
acquista grandemente l'amore e la benevolenza del volgo. A questo aggiugnevasi ancora la crudeltà del delitto; poiché nullo
di più scellerato dir si potea, o pensare, che a
tanta atrocità di scelleraggine si agguagliasse.
Fremevan tutti, che il giovane pio ed innocente,
dentro il tempio, tra l'altare ed il sacrifizio era
stato crudelmente trucidato; l'ospitalità violata, violato il sacrificio, il
tempio di umano sangue polluto:
insin Lorenzo, al quale solo era la repubblica di
Firenze affidata; quel Lorenzo medesimo, in cui eran
tutte le speranze e ricchezze del popolo riposte, veniva col ferro assaltato:
il che l'andavan gridando nefandissima
cosa. Già da tutti i municipii, come quelli che eran più vicini alla città, gran copia trarre d'armati al Palagio, pe' trivii, e principalmente alla
casa de' Medici: ciascuno addimostrava
dalla parte sua ogni cura e sollecitudine: i cittadini in folla co' loro figliuoli e vassalli profferivan
l'opera loro, la mano, e le sostanze; andavan tutti
dicendo: che dal solo Lorenzo non pur la pubblica salute, ma la privata eziandio pendeva.
Per parecchi dì egli era un veder
continuamente da tutte le parti arrecare armi a casa Lorenzo; trasportar carne,
e pane, e tutto che al vitto facea d'uopo.
A Lorenzo medesimo, né la ferita,
né la paura, e il dolore che sentito avea grandissimo
della morte del fratello, lo tennero dal provvedere alle sue bisogne; rende
grazie a tutti i cittadini: a ciascun di loro ei si mostra strettamente tenuto:
dichiara di riconoscer solo da loro la ottenuta
salvezza: di quando in quando al popolo sollecito della sua salute dalle
finestre si rappresenta. Al che tutto il popolo far plauso, ed acclamare: levar
tutti le mani al cielo; della sua salute rallegrarsi
ed esultar per la gioia. Egli a tutto era intento: non si perdea
né di animo, né di consiglio.
Mentre queste cose accadono, fu annunziato che Giovanfrancesco
da Tolentino, prefetto d'Imola, con una mano di scelti cavalieri era
violentemente da' suoi confini nella nostra terra entrato; e che il medesimo in
quello stante fatto avea Lorenzo da Città di Castello
da quella parte, che i confini senesi mettono, nel fiorentino. Per molti
corrieri e lettere ne siamo avvertiti: in qualunque
modo fu allora da' nostri respinto, e tornossene a
casa. Sendo buia la notte, furon
messe le sentinelle per la città; la casa di Lorenzo fu diligentemente
guardata: ne' quadrivii,
nella piazza, per tutta la città sentinelle di armati.
Il dì appresso Giovanni Bentivoglio, cavaliere di Bologna, e principale di quella
repubblica, uomo per molti uffizii strettissimo alla
casa de' Medici,
con alquante compagnie di cavalieri e con molte compagnie di pedoni era in suo
aiuto venuto nel Mugello. Ed ecco tutta la città
riempirsi di soldatesca. Ma, temendo gli Otto, de'
quali era capo Dionigi Pucci, che i soldati avidi
della preda non facesser tumulto, scelti quelli che
custodissero la città, dánno ordine che gli altri,
siccome eran prima quivi venuti, al proprio paese, o
in qualunque altro luogo venisse loro a grado, ritornassero.
In questo mezzo
Renato de' Pazzi, il quale il giorno avanti che l'assassinio fu
compiuto, si era nella villa del Mugello ridotto, ed ivi radunava soldati, con
i due fratelli Niccolò e Giovanni è tratto prigione. Giovanni de' Pazzi,
fratello di Guglielmo e di Francesco, viene in un giardino allato alla casa sua
sorpreso. Quelli che Iacopo inseguirono, ormai abbandonato da
tutti, il prendono in Falterona. Il primo, che
il raggiunse, fu un cotal
contadino per nome Alessandro dell'età di venti anni e più: costui gli mise le
mani addosso. Ma Iacopo, offerendogli sette monete di oro, cominciò a scongiurarlo, perché gli desse la morte:
il che non piacque punto al villano. In quella, che ei maggiormente lo prega, è
preso a bastonate dal fratello di Alessandro. Allora egli atterrito ben comprese esser vero ciò che si dice: Il
destino conduce chi vuole, chi non vuole trascina. Egli è menato in
Firenze col presidio degli Otto; e, per non lasciarlo straziar dalla plebe, è
ridotto in Palagio, ove senza veruno oltraggio, fatta
la confession del delitto, dopo poche ore pagò la
pena col laccio. Costui già presso a finir la vita non lascia niente della sua
indole fiera e rabbiosa: esclama di voler dare l'anima sua in mano
all'avversario. Dopo di lui fu ancora alla stessa guisa morto
Renato; i rimanenti fratelli menati a' ferri; il più
piccolo de' quali Galeotto, essendo ancor giovinetto,
vestito da donna, si era dato subitamente in fuga; ma conosciuto che venne, è
nel medesimo carcere tradotto; quivi non molto di poi traggono ancora Andrea de' Pazzi, arrestato in fuga, fratello di Renato.
Il Bandini
andando fuggendo pervenne in Città di Castello; onde, unitosi ad una brigata di armati, passò in Siena.
Napoleone aiutato da Pietro Vespucci si mise in salvo con la fuga: dopo alquanti dì fu pure Giovambattista fatto morire. Antonio da Volterra, e
Stefano, che ferirono Lorenzo, si tennero pochi dì nascosti nella Badia di
Firenze. Il che saputo, il popolo vi accorre subitamente in folla; a fatica si
tengono dall'infuriare contro di essi monaci, che
quelli per iscrupolo ebbero manifestati; i presi sicarii martoriano crudelmente; ed infine mutilato loro il
naso, troncate le orecchie, tutti gonfii e pesti da'
moltissimi pugni, fatta la confessione, vengono menati al capestro. Fu di poi
decretato pubblicamente, e fatto annunziare per il banditore un premio a
coloro, che avessero o il Bandini
o Napoleone uccisi, o vivi li traesser prigioni.
Guglielmo de' Pazzi, il quale, confidando nella parentela, si era nella
casa di Lorenzo messo in salvo, una con i suoi servi è confinato a ben
venticinque miglia dalla città. Inoltre molte stragi seguirono; e di tutti i
complici, altri furono uccisi, altri stretti ne' ferri,
ovvero cacciati in esilio.
Come in Roma pervenne la notizia
del fatto, il dolore fu grandissimo, e maravigliosa
fu la gioia di tutti per la salvezza di Lorenzo.
L'esequie di Giuliano molto magnificamente si
fecero; e nella Chiesa di S. Lorenzo si compierono i funerali: moltissimi
giovani addossarono il bruno. Egli era stato da ben
diciannove ferite trafitto: era vissuto venticinque anni.
Come si seppe che Napoleone fu da
Pietro Vespucci campato, lui pure prendono
incontanente. Costui, prodigo insino
dall'infanzia, avea i beni paterni del tutto
consumati: il perché di buon'ora scadde pure dal
diritto della eredità lasciatagli in testamento dal
padre. In casa strema miseria avea, grandissimi debiti
al di fuori; onde non pure lo stato presente della repubblica recavagli molestia, ma e delle novità
desideroso era. Costui adunque, come fu
l'assassinio di Giuliano compiuto, sendo egli di
subitanea e pronta risoluzione, cominciò a levar forte le grida contro
l'assassinio di Giuliano: e, tostoché vide tutto il
popolo, tutti i cittadini tener per Lorenzo, corse subitamente a dare il guasto
alla casa de' Pazzi; ed abbattutosi in soldati avidissimi di preda, poco
mancò che in sommo pericolo non ponesse tutta la città, i beni e le sostanze de' cittadini, se Pietro Corsino, egregio giovane non fosse
contro alla ferocia di lui accorso: insino a tal
segno avea l'impetuoso e furibondo uomo inanimito il popolo e tutti i soldati alla preda.
Finalmente non solo egli fu nelle carceri menato, ma
pure Marco, figliuolo di lui, fu a cinque miglia dalla città confinato.
Dopo pochi giorni, essendo molte
piogge seguite, incontanente da tutte le terre vicine
trasse in città gran moltitudine di gente, gridando:
che era nefanda cosa che il corpo di Iacopo de' Pazzi
stesse in luogo sagro sepolto: che non per altro era
tanto tempo piovuto, se non perché ebbero contro ogni diritto e ragione
sotterrato in chiesa uno scellerato uomo, il quale neanco
in sul morire né dell'anima, né di Dio volle sapere. Il che, giusta l'antica superstizion de' contadini, al grano ancora in latte danno e nocumento
recava: il medesimo andava pure la plebe, come in tal caso incontra, da per
tutto dicendo. E tosto traggono in folla ad esso luogo
della sepoltura; e, disotterrato il cadavere di lui,
lungo le mura della città il seppellirono. Ed in quello stante (talmente alla superstizion della plebe arrideva la fortuna) il cielo, che
era di nubi ricoperto, cominciò a dare lo splendore
del sole. Il dì appresso (il che parve simile ad un prodigio) una gran
moltitudine di fanciulli, tutti come da arcane faci di
furie accesi, cavan fuori di nuovo il sotterrato
cadavere; e non so chi, che questo vietava, poco mancò, che non lo uccidessero
con sassi. Gli stringono il capestro con il quale era stato
morto, con assai strazii e villani schiamazzi per tutte le vie della città il
trascinano. Altri poi andando ridicolosamente innanzi
ordinavano a quelli, che incontravano per istrada, di
far luogo, dicendo che essi menavano un insigne cavaliere; altri con mazze e
pungiglioni percuotendolo lo avvisavano che non indugiasse a venire da'
cittadini, che aspettavanlo in piazza. Tostoché il cadavere fu alla casa sua tradotto, a picchiar
l'uscio col capo il sospingono insiememente dicendo: Quale de' famigliari è dentro? quale di loro in sul tornare egli a casa il riceverà con sì
gran seguito?
Venendo loro vietato di ridarsi alla piazza,
muovono per Arno, e colà vi gittano il cadavere; il
quale andando a galla, una gran moltitudine di contadini levando alti gridi e
schiamazzi il seguiva dappresso. Onde è fama che altri non per giuoco detto avesse, che tutto a suo talento intervenuto
sarebbe, se quell'accompagnamento di popolo che egli
ebbe estinto, l'avesse avuto ancora vivente.
Oltre di che molte canzoni
burlesche in dispregio di Iacopo de' Pazzi ed in abbominio di tutti i
congiurati furon per tutta la città da' fanciulli
cantate; molti infamatorii libelli contro di loro in
ogni parte si scrisse. I beni de' quali furon venduti all'incanto;
e fu per decreto del Senato stabilito, che nessuno da quel giorno in poi
togliesse il nome di quella famiglia; che le arme de'
Pazzi in nessun luogo più rimanessero; che niuno finalmente nella nostra
repubblica con essi in parentela si legasse: chi facesse il contrario, egli
farebbe contro della repubblica, e dell'autorità del senato.
Per tanta mutazion
di cose sono stato sovente della incostanza dell'umana
fortuna ammaestrato; e del dolore incredibile di tutti per la morte di Giuliano
mi sono grandemente maravigliato.
Di costui qual forma di corpo, e
qual portamento e costumi si ebbe, dirò brevemente.
Ebbe gran persona; membruto di corpo; il petto alto e largo; le braccia ritonde e nerborute; forti giunture, ventre raccolto, cosce
torose, le gambe alquanto piene; gli occhi neri e vivi, viso severo, di color bruno; la chioma folta, i
capelli neri e lunghi dalla fronte rivolti in dietro; nell'andare a cavallo e
nel tirar l'arco maestro; nel salto e nella palestra eccellente; della caccia solea maravigliosamente prender
diletto; tollerava lungamente la fame ed il vegghiare:
era di sì poco bere, che talune fiate fino ad un intero giorno si tenne
agevolmente dal bere. L'animo avea grande; e costanza
grandissima; religioso e ben costumato; della pittura massimamente, e della
musica, e di ogni maniera di gentili arti si
dilettava; alla poesia era mezzanamente disposto. Scrisse alcuni versi toscani
mirabilmente gravi e pieni di sentenze; si piaceva di spesso legger versi
amorosi: era facondo e prudente, ma risoluto per niente. Egli non solamente
amava moltissimo la gentilezza, ma esso stesso era gentile; i mentitori, ed i
vendicativi ebbe grandemente in odio. Modesto
nell'ornamento della persona; nel resto molto elegante e magnifico. Avea l'andar
grave, e decoroso, e tutto pieno di dignità: molta cortesia, e moltissima
amorevolezza; venerava il suo fratello, e grandemente l'amava; avea gran fermezza e virtù. Queste e tante altre
cose il rendevano, mentre visse, al popolo ed a' suoi carissimo; queste cose medesime lasciano in tutti noi
una acerbissima e luttuosa memoria del giovane illustre. Onde preghiamo Dio, ottimo massimo, che si piaccia
«Di far che l'alma sciolta dal
suo velo
«Si conforti beata almen nel cielo.
L'anno MCCCLXXVIII.
FINE
|