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Luigi Pulci
Il Morgante

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  • -23-
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-23-

 

Deus in adiutorium meum intende,
che sofferisti per noi dura croce
che la tua grazia e 'l tuo regno ci rende:
non mi lasciar perir presso alla foce,
poi che noi siamo al levar delle tende;
io te ne priego con sommessa voce,
che tutto loda il fin d'ogni opra nostra:
dunque il cammin fino in porto mi mostra.

 

Rinaldo pel deserto se n'andava.
Aveva il sol coperto il marin suolo,
la luna il lume suo tutto mostrava,
cedevon gli squadranti all'orïuolo,
quando Rinaldo la notte trovava
dove si sta quel Fuligatto solo,
e picchiò l'uscio d'un suo stran palagio,
fin che rispose il traditor malvagio,

 

e disse: - Chi se' tu? Che vai cercando? -
Disse Rinaldo: - A te mandato sono. -
Fuligatto gli aperse minacciando,
dicendo: - Se tu vai qui pel perdono,
io tel darò con la croce del brando. -
Dicea Rinaldo: - Dirti il vero è buono.
Sappi, ladron, che fuor di queste porte
non uscirò ch'io ti darò la morte:

 

io vengo per provar mia forza teco. -
Rispose Fuligatto: - Tu n'andrai
s'io ti do qualche mazzata di cieco.
Ecco, per Dio!, la serpe ch'io sognai,
che mi parea s'avviluppassi meco,
e per paura di ciò mi destai;
non mi parea poterla sviluppare:
tu se' la serpe, che non vuoi sbucare. -

 

Disse Rinaldo: - Pel contrario fia
che tu sarai la serpe, io lo spinoso,
che 'l misse un tratto per la sua follia
nella sua buca, chiedendo riposo;
poi lo voleva costei cacciar via
perché e' si voltolava, il doloroso;
onde e' rispose: «A non tenerti a bada
chi non ci può star, serpe, se ne vada». -

 

Fuligatto era tutto maraviglia:
«Chi fia costui?» dicea, «che cosa è questa?».
Prese al caval di sùbito la briglia
e mena un colpo a Rinaldo alla testa.
Rinaldo un salto della sella piglia
quando e' sentiva toccarsi la cresta:
dèttegli un pugno e sbrucagli l'orecchio,
e fe' di sangue un lago di Fucecchio;

 

e Fuligatto balza giù stordito.
Rinaldo nol toccò che s'è levato;
e come e' fu tutto in sé risentito,
diceva: - Io credo che tu sia incantato
qualche dïavol dell'abbisso uscito:
io son per questo pugno smemorato.
Per questa notte vo' che ci posiamo,
e domattina insieme combattiamo.

 

Non dubitar di tradimento o inganno. -
Disse Rinaldo: - Non temer pur tu. -
Così la notte in cagnesco si stanno.
E come il giorno in orïente fu,
armati fuori a campo se ne vanno;
e disfidati, sanza parlar più
ognun del campo a suo senno si tolse,
e con la lancia al nimico si volse;

 

e riscontrati, le lance volorno
in pezzi in aria; e 'l caval di Rinaldo
non resse, e' pie' dinanzi sinistrorno,
quantunque in sella si tenessi saldo;
sì che d'accordo pedon s'affrontorno:
perché Rinaldo, per la stizza caldo,
diceva: - Scendi in su la terra piana,
o io t'ammazzerò sotto l'alfana. -

 

Fuligatto smontò subitamente.
Quivi si dànno colpi di maestro.
Rinaldo per un colpo che si sente
s'inginocchiava dal lato sinestro;
poi si rizzò. Fuligatto pon mente:
parvegli tanto nel rizzarsi destro,
e ne' suoi colpifiero e sì forte,
che cominciò a dubitar della morte.

 

E quando egli ebbe un pezzo combattuto,
disse: - Baron, l'un di noi dèe morire:
dimmi il tuo nome, ch'almen conosciuto
t'abbi, s'io debbo alla fine perire. -
Disse Rinaldo: - Questo par dovuto.
Da Montalban Rinaldo mi fo dire. -
- Ah! - disse Fuligatto - se' tu desso
colui ch'a tutto il mondo è noto esplesso?

 

Odo che se' di casa di Chiarmonte;
odo che hai tre buon fratei carnali;
odo che tu uccidesti Fieramonte;
odo se' il fior de' guerrier naturali;
odo se' nievo a Buovo d'Agrismonte;
odo in battaglia più che gli altri vali;
odo che hai Frusberta, il nobil brando;
odo che se' cugin del conte Orlando.

 

Io son della tua fama innamorato. -
E disse tanto che Rinaldo va,
amico suo, fratello e congiurato,
drento al palagio, e grande onor gli fa.
Poi s'accordorno mutar luogo e fato;
e Fuligatto il suo palagio arso ha,
dicendo: - Mai più uom vo' che qui vegna
dove stata è la tua persona degna.

 

Andianne ove ti piace alla ventura. -
In questo un gran serpente ch'era piatto
si scuopre, quando al cul sente l'arsura:
aggraticciossi al collo a Fuligatto,
tanto che tramortì per la paura.
Rinaldo con la spada tanto ha fatto
che finalmente gliel levò da dosso;
ma prima gli tagliò la carne e l'osso,

 

ed anco poi con la coda pur guizza.
Fuligatto parea che fussi morto,
donde Rinaldo avea gran duolo e stizza
restar soletto; e dolevasi a torto,
ché Fuligatto alla fine si rizza.
E risentito e ripreso conforto
e ringraziando que' che in Cielo stanno,
pel gran deserto alla lor via ne vanno.

 

E poi che molto furon cavalcati,
due lïon morti in un luogo foresto
nel mezzo della strada hanno trovati.
Disse Rinaldo: - Che vorrà dir questo?
Questi lïon chi ha così ammazzati? -
Ma Fuligatto se n'accorse presto,
e disse: - E' fia Spinardo sanza fallo,
che dicon ch'è mezzo uom, mezzo cavallo.

 

Nel Monte Periglioso suole stare:
per certo noi dobbiamo esservi presso;
una fromba e tre dardi suol portare. -
Disse Rinaldo: - E' sarà stato desso.
Non si potre' questa bestia trovare? -
Rispose Fuligatto: - E' suole spesso
tra questi boschi andar cercando prede. -
E intanto una bandiera appresso vede

 

con certi Macometti molto strana.
Cominciono a studiare allora il passo.
Questo Spinardo stava in una tana
nascoso, come l'orso o come il tasso;
sente venire il cavallo e l'alfana:
sùbito misse nella fromba un sasso
e prese i dardi, ed assaltò costoro,
e mugghia e soffia che pareva un toro.

 

L'alfana per le mugghia è spaventata:
non la potea Fuligatto tenere;
poi disse, quando e' l'ha rassicurata:
- Io vo', Rinaldo, mi facci un piacere:
s'io uccidrò questa bestia sfrenata,
tu creda in Macometto, ché è dovere;
se tu l'uccidi, la tua fede vaglia;
ma che mi doni la prima battaglia. -

 

Rinaldo rispondea ch'era contento.
Ma ogni cosa ha sentito Spinardo:
rise fra sé di tal ragionamento,
e dètte a Fuligatto con un dardo;
nel braccio tutto gliel ficcava drento.
Rinaldo s'arrecava a Bellosguardo,
e vide Fuligatto sbigottito
cader giù dell'alfana tramortito;

 

gridò: - Pagan traditor, c'hai tu fatto?
Tu se' bestia per certo e traditore.
Ma per Dio! che, se morto è Fuligatto,
io ti trarrò colle mie mani il core. -
Non gli rispose Spinardo a quel tratto:
disserra un dardo con molto furore,
e tra le gambe passa di Rinaldo,
e fischia come serpe quando è in caldo.

 

Rinaldo grida: - Io ne farò vendetta.
Se tu se' pazzo, io non son Salamone. -
Questo Spinardo il terzo dardo getta:
Rinaldo trasse d'uno stramazzone,
e poi che l'aste taglia, con gran fretta
si difilava a lui come il falcone
quando ha veduto i colombi o le starne,
ovver come il lïon che vuol far carne.

 

E fu tanto il furore e la tempesta
che 'l porfiro affettato arebbe allora,
e con la spada gli fésse la testa,
perché la furia e la rabbia lavora;
ed anco quivi Frusberta non resta:
féssegli il collo, e tutto il busto ancora
dove la bestia è congiunta con l'uomo;
e morto fece in su la terra un tomo;

 

e nel cader, con ira molto acerba
gridò: - Macon, s'io non son vendicato,
Lucifero il suo luogo giù ti serba. -
Rinaldo a Fuligatto è ritornato,
e la ferita gli sanò con erba
come piacque a Colui che gli ha insegnato.
Ma Fuligatto, come e' fu guarito,
era a veder come un cieco smarrito;

 

e come pazzo a Rinaldo n'andava,
e con la spada lo vuol ristorare
del beneficio, ed un colpo menava.
Rinaldo il colpo non istà aspettare,
perché e' conobbe colui vagillava,
e lascialo a suo modo disfogare.
Ma Fuligatto si ravvide presto
e chiese perdonanza assai di questo.

 

Disse Rinaldo: - Chiedi pur merzede
a quel Signor che la grazia t'ha fatto. -
E cominciògli a predicar la Fede,
tanto che fu contento Fuligatto
e disse che in Gesù si fida e crede,
ed osservò, come e' promisse, il patto.
Rinaldo a una fonte lo battezza,
e quivi co' dottor si scandalezza:

 

ed uno e tre, e Padre e Figlio e Verbo,
e lo Spirito santo poi incarnato
e preso, come noi, carne osso e nerbo,
e crucifisso, e poi nel Limbo entrato,
per liberarci dal peccato acerbo
del primo padre pel pome vietato;
e disse di Giosef e di Maria,
e fece un lago di teologia.

 

Poi rimontorno a cavallo ed a alfana.
Ora è qui stato alcun ch'ebbe credenzia
che Rinaldo il gittò nella fontana
disavveduto, per la gran potenzia,
ché non poté ritener ben la mana:
non so s'io me l'appruovo per sentenzia,
ché dicon che e' vi bevve più d'un sorso,
se non che e' fu da Rinaldo soccorso.

 

Lasciàgli pure andare al lor camino.
Avevon già passata una montagna
di notte, e come apparve poi il mattino,
vidon molti pagan per la campagna.
Disse Rinaldo: - O giusto Iddio divino,
che gente è questa sì feroce e magna?
Or ti conosco, car mio Fuligatto:
non mi lasciar, fratello, a questo tratto. -

 

Disse colui: - Non creder ch'io ti manchi:
morte da te mi può divider solo;
dove tu andrai sarotti sempre a' fianchi.
Andiàn pur presto assaltar questo stuolo,
ché io per me gli stimo men che i granchi. -
Ecco il signor che innanzi viene a volo:
fannosi incontro a questo capitano
e salutorno, e così fe' il pagano.

 

Domandorno il pagan com'egli ha nome.
Rispose: - Io son d'Ulivante Pilagi:
a Saliscaglia vo a posar le some,
perché Rinaldo e' suoi fratei malvagi
offeso m'hanno non ti dico come,
datoci morte e tormenti e disagi,
ed or si vanno con le dame a spasso;
ma insin di qua si sentirà il fracasso.

 

Cotesta alfana, per Macon! m'attaglia. -
Disse Rinaldo: - Ed a me il tuo cavallo. -
Disse il pagan: - Proviàgli alla battaglia. -
Disse Rinaldo: - Suona pur, ch'io ballo.
- Io vo' ch'ella mi porti a Saliscaglia.
- Tu farai, innanzi vi sia, più d'un callo.
- Io vi sarò, e farò mia vendetta. -
Disse Rinaldo: - Come n'hai tu fretta!

 

E' fu sempre un ribaldo, un traditore. -
Disse Rinaldo: - Io me ne maraviglio;
sentito ho ragionar del suo valore:
non gli saresti, Pilagi, famiglio.
- Dunque tu vuoi pigliarla per suo amore? -
Disse Rinaldo: - E per suo amor la piglio.
- Piglia del campo - rispose il pagano;
e volse un suo morel tutto balzano.

 

Rinaldo non istette a pigliar lucciole:
voltò il cavallo in aria con un salto
per dare al saracino altro che succiole;
ma come e' giunse in sul bel dell'assalto,
o che 'l destriere inciampi o ch'egli sdrucciole,
si ritrovò con esso in su lo smalto;
e quando e' vide pur che non si rizza,
l'uccise con un pugno per istizza.

 

Maladetto sia tu, - dicea - rozzone!
Maladetto sia l'orzo ch'io t'ho dato!
Maladetto sia il fren, caval poltrone!
Maladetto sia io che t'ho stregghiato!
Maladetto sia il tuo primo padrone!
Maladetto sia mai chi t'ha allattato!
Maladetto sia l'erba c'hai pasciuto!
Maladetto sia il ch'io t'ebbi avuto! -

 

Intanto Fuligatto grida forte
e con la lancia in su la resta viene,
e disfidato avea Pilagi a morte,
e con gli spron sollecitava bene;
e come dato per fato era e sorte,
la lancia gli cacciava per le rene
e traboccato morto è in su la terra;
donde per questo appiccata è la guerra.

 

Egli avea diecimila combattenti:
addosso a Fuligatto ognun si volse.
Rinaldo d'ira diruggina i denti,
e di Pilagi il balzan presto tolse,
e come l'orso irato tra gli armenti
il sacco in tutto di sua furia sciolse;
e mai non fu quanto quel gagliardo;
ma e' si dolea che non avea Baiardo.

 

«Dove se' tu, Baiardo mio?» diceva;
e sempre tonda menava Frusberta:
a mosca cieca quel tratto faceva:
tristo a colui ch'aspettava l'offerta!
e braccia e capi balzar si vedeva:
tutta la terra pareva coperta
di gente smozzicata saracina,
da poter far mortito o gelatina.

 

L'un sopra l'altro a traverso giù balza:
non si fe' mai di bestie tanto strazio,
tanto che 'l sangue alle cigne quivi alza,
e pur Rinaldo non pare ancor sazio.
Già per fuggire era piano ogni balza,
ma non avevon con lui tanto spazio;
e Fuligatto assai n'avea distrutti,
tanto che morti o fuggiti son tutti.

 

E poi che fu la battaglia finita,
e Fuligatto una vesta vedia
ch'avea Pilagi, ed halla a sé vestita,
che in campo bianco un lïon nero avia.
Rinaldo tanto gli parve pulita
ch'un'altra presto per sé ne volia.
E lascian questa gente morta e afflitta
e ritornorno alla lor via diritta.

 

Tutto quel giorno cavalcato aviéno
per boschi, per burron, per mille chiane,
e non s'avevon messo nulla in seno:
saltato in aria arebbono a un pane,
ché vi vedean come l'arcobaleno
la fame. In questo e' senton due campane,
e scorson dalla lunga un romitoro,
che non facea mai festa sanza alloro,

 

più tosto sanza pane o cacio o carne;
de' pesci avea, ch'egli sta sopra un fiume.
Al romitoro si studiano andarne,
ché per la fame non veggon già lume:
parranno loro i pesci più che starne;
la porta bussan, come era costume.
Venne un romito e disse: - Ave Maria. -
Disse Rinaldo: - Se del pan ci fia;

 

se non, lodato sia quello agnol nero. -
Disse il romito: - Sète voi cristiani? -
Disse Rinaldo: - Questo abbi per vero.
Aresti tu da darci almen due pani,
per Dio, romito? Ch'abbiamo il sentiero
per questi boschi smarritostrani. -
Disse il romito: - Di voi assai m'incresce
ch'io non ci ho pan, ma e' ci sarà del pesce. -

 

E poi toglieva una sua rete in collo,
e disse: - Intanto qui vi poserete,
e fate il fuoco mentre ch'io m'immollo:
so che de' pesci io n'empierò la rete,
tanto ch'ognun di voi sarà satollo;
e de' sermenti pe' cavalli arete. -
Così smontorno, e dèttono a' cavalli
certi sermenti dur più che coralli.

 

Questo romito molti pesci prese,
ed empiene la zucca e 'l pellicino.
Rinaldo e Fuligatto il fuoco accese.
Torna il romito, e va per trar del vino;
un angel presto dal Ciel giù discese,
e disse: - Porterai al paladino,
quale è Rinaldo, questa mia vivanda,
e di' che il suo Gesù dal Ciel la manda. -

 

Torna il romito, e presenta a costoro
questa vivanda piena di dolcezza,
e dice come Iddio la manda loro:
donde ciascun ripien fu d'allegrezza;
ben parea certo dello etterno coro:
vedi che Cristo i suoi fedeli apprezza!
Dicea il romito: - Statevi a vostro agio;
ma, a mio parer, vi sarà assai disagio. -

 

La casa cosa parea bretta e brutta,
vinta dal vento, e la natta e la notte
stilla le stelle, ch'a tetto era tutta;
del pane appena ne dètte ta' dotte;
pere avea pure e qualche fratta frutta,
e svina, e svena di botto una botte;
poscia per pesci lasche prese all'esca;
ma il letto allotta alla frasca fu fresca.

 

Lasciàgli come il bruco in su le frasche
Rinaldo e Fuligatto insino al giorno,
ch'a questo modo smaltiran le lasche
e il mosto e ciò che la sera mangiorno;
perch'altra fantasia par che mi nasche:
sento di lungi chiamarmi col corno,
e suona, quel che chiama, quanto puote,
ché qui comincian le dolenti note.

 

Ricciardetto, ove t'ho io lasciato?
Tu non sai, lasso, del futuro ancora.
Omè, ch'io veggo il mondo avviluppato!
Un serpente esce della terra fora
con sette bocche, e fuoco arà gittato,
e molta gente con esse divora:
farà tremar le mura di Parigi
e Montalban, che v'è sol Malagigi.

 

Non creder vendicato il Veglio sia:
ben surgerà di lui qualche rampollo,
e tanta gente per lui morta fia
ch'ognun di sangue si vedrà satollo:
andrà sozzopra tutta Pagania.
Io sento già della rovina il crollo,
e fia sentito insin giù d'Acheronte,
perché spianar si vedrà più d'un monte.

 

Parrà che in Giusaffà dica la tromba:
«Venite tutti all'etterno giudicio,
uscite del sepulcro e della tomba;
recate il bene scritto e 'l malificio».
Omè, già negli orecchi mi rimbomba!
Io veggo rovinare ogni edificio,
pietra sopra pietra rimanere,
tanto che Giove potrebbe temere.

 

Veggo i lïoni uscir delle spilonche,
e tigri e l'altre fiere aspre arrabbiate,
e tante lance andar per l'aria tronche,
e pianger le fanciulle scapigliate;
uscir gli spirti delle infernal conche,
e degli abissi l'anime mal nate.
Tu ti darai ancor pace, omè, meschina
Gerusalem, se 'l tuo Sïon rovina?

 

Io veggo tutta in arme Bambillona
e gli stendardi già levati al vento:
non è contenta Antea della corona,
non è del padre suo lo sdegno spento:
già mosso è il campo, e la tuba risuona.
O Carlo, presto sarai in gran tormento.
O Iddio, la terra già triema e l'abisso:
credo Tu sia di nuovo crucifisso.

 

Io veggo il sole oscurare e la luna,
e, come a Giosuè, fermarsi accenna.
Oh, quanta gente in Francia si raguna!
Correrà sangue il gran fiume di Senna.
Ben si sfoga a suo modo la Fortuna,
e fiacca in terra e in mar più d'una antenna.
Dirén quel che seguì nel nuovo canto
con la virtù del Santo, Santo, Santo.

 

 




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