17 - DE
PROFUNDIS CLAMAVI
È l'ora in cui gli
augelli accovacciati
la testolina
ascondon sotto l'ala;
le lucciolette
ricamano i prati,
e canta a vespro la
fulva cicala.
Traversa il cielo
un vento accidioso,
della sua meta
incerto e senza lena;
al suo passaggio il
bosco pensieroso
saluta sì, ma
rispettoso appena.
Giù nel fosco
lontan di quando in quando
guizza un baleno
debole e perplesso;
d'amor regna
sull'orbe un senso blando,
e un vago accenno
di pietà con esso.
Raccogliti, cor
mio, l'ora è solenne!
Le rondini più e
più stringon le spire
dei vispi voli in
cui beâr le penne,
e le assal delle
gronde il sovvenire.
Così dell'uomo; la
flebile calma
sull'agonia
dell'universa luce
alle parvenze del
mister lo impalma,
e a un altar
malinconico lo adduce.
Raccogliti, cor
mio, povero core!
Raccogliti, e
preghiam; la prece è bella
qui dove un vale,
un sì del creatore
giunge col raggio
di ciascuna stella.
Onnipotente! oh!
fa' che non si ammali
la mia pallida
musa, illusione
ultima e santa dei
miei dì fatali!...
Il mio pan
quotidiano è la canzone.
Manda sul mio
cammino il mendicante
che guarda in viso
e che non sa cercare,
e allontanami il
giorno in cui, tremante,
non trovi il soldo
da potergli dare.
Fa' che ai coloni
del mesto villaggio,
non turbi i sonni
il perfido uragano,
e sorridan, non
curvi, al mio passaggio,
e i più vecchi mi
stringano la mano.
Ch'io possa sempre
adorarti, o Signore,
negli astri in cielo
e nei fiori in giardino;
dammi la calma e
dammi un po' d'amore
e permetti che viva
il mio bambino!
Agosto 1874
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