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Emilio Praga
Fiabe e leggende

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  • 4 - PAESAGGI - A CARLO MANCINI
    • -2-
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-2-

 

L'uom se ne va senza indagar l'arcano:

giunto alla meta, al teunine abborrito,

al che tutto strugge,

si accorge di aver stretto nella mano

un po' d'aria che sfugge.

 

Egli, o s'illuda alle apparenze incerte,

o preghi, ignaro del Nume, o allibito

sghignazzi in faccia al cielo,

o del Real dorma sul seno inerte,

vive e muore in un velo.

 

I suoi piacer sanno di tosco, i mali

gli aizzan l'alma ai giubili vietati

che presente e non trova:

è dalla culla all'avel (due guanciali!)

ciò che sempre s'innova.

 

Carlo, ne san più assai gli immensi boschi

sovra cui sono i secoli passati;

dove, immobile e chino,

al suon dei rami palpitanti e foschi,

meditava il bramino.

 

Di certezze più ricca è la brughiera

che, a dispetto dei geli, eterna il fiore

del luppolo e del timo;

sa dove porta la regal riviera

le sue pietre e il suo limo.

 

Pane immortale, fra le biade, irride,

coi suoi cori di Fauni, al mietitore;

lo stagno, a cento a cento,

cader dal fiero campanil rivide

le crocette d'argento.

 

E la montagna che si specchia al lago

vince in gloria la Vénere di Milo:

prima che il greco artista

sfidasse il sol colla divina imago,

di quel masso alla vista,

 

che stendea lungo il limpido orizzonte,

sotto il raggio lunar, l'ermo profilo,

qualche pastor poeta

fermò la greggia e, colla gioia in fronte,

disse : «È costì la meta!».

 

Sì, ciò che l'uom calpesta e per cui passa

senza tender l'orecchio e alzar le ciglia,

ciò con cui io favello

pel tramite dei versi, e in te trapassa

pel veggente pennello,

 

Carlo, è un tesoro che ci ha dato Iddìo

come ci diè gli amici e la famiglia!...

Oh! dimmi, quante volte

ha le tue fedi un blando nuvolìo

nelle sue spire avvolte!

 

Dimmi che cosa sa narrar la terra

dissepellita dall'aratro appena,

quanti avvisi divini

la primavera dal suo sen disserra...

Dimmi i cenni marini!

 

Spesso io mi curvo al tripode profondo,

atomo qual mi sono: e l'alma scena

m'agita e mi sublima;

e mi inabisso nei mister del mondo

per risalirne in cima!

 

Un (lontano come i felici)

per una landa erravo ove tu avresti

una tela eternata;

e pensavo a mia madre ed agli amici,

e alla patria lasciata.

 

Trovai quel parco. In mezzo era un castello:

di fulgori splendean biechi e funesti,

pel tramonto, i suoi vetri.

stetti e appresi ciò che fosse quello

ch'altri chiamava: spetri.

 

 




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