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L'uom se ne va
senza indagar l'arcano:
giunto alla meta,
al teunine abborrito,
al dì che tutto
strugge,
si accorge di aver
stretto nella mano
un po' d'aria che
sfugge.
Egli, o s'illuda
alle apparenze incerte,
o preghi, ignaro
del Nume, o allibito
sghignazzi in
faccia al cielo,
o del Real dorma
sul seno inerte,
vive e muore in un
velo.
I suoi piacer sanno
di tosco, i mali
gli aizzan l'alma
ai giubili vietati
che presente e non
trova:
è dalla culla
all'avel (due guanciali!)
ciò che sempre s'innova.
Carlo, ne san più
assai gli immensi boschi
sovra cui sono i
secoli passati;
dove, immobile e
chino,
al suon dei rami
palpitanti e foschi,
meditava il
bramino.
Di certezze più
ricca è la brughiera
che, a dispetto dei
geli, eterna il fiore
del luppolo e del
timo;
sa dove porta la
regal riviera
le sue pietre e il
suo limo.
Pane immortale, fra
le biade, irride,
coi suoi cori di
Fauni, al mietitore;
lo stagno, a cento
a cento,
cader dal fiero
campanil rivide
le crocette
d'argento.
E la montagna che
si specchia al lago
vince in gloria la
Vénere di Milo:
prima che il greco
artista
sfidasse il sol
colla divina imago,
di quel masso alla
vista,
che stendea lungo
il limpido orizzonte,
sotto il raggio
lunar, l'ermo profilo,
qualche pastor
poeta
fermò la greggia e,
colla gioia in fronte,
disse : «È costì la
meta!».
Sì, ciò che l'uom
calpesta e per cui passa
senza tender l'orecchio
e alzar le ciglia,
ciò con cui io
favello
pel tramite dei
versi, e in te trapassa
pel veggente
pennello,
Carlo, è un tesoro
che ci ha dato Iddìo
come ci diè gli
amici e la famiglia!...
Oh! dimmi, quante
volte
ha le tue fedi un
blando nuvolìo
nelle sue spire
avvolte!
Dimmi che cosa sa
narrar la terra
dissepellita
dall'aratro appena,
quanti avvisi
divini
la primavera dal
suo sen disserra...
Dimmi i cenni
marini!
Spesso io mi curvo
al tripode profondo,
atomo qual mi sono:
e l'alma scena
m'agita e mi sublima;
e mi inabisso nei
mister del mondo
per risalirne in
cima!
Un dì (lontano come
i dì felici)
per una landa
erravo ove tu avresti
una tela eternata;
e pensavo a mia madre
ed agli amici,
e alla patria
lasciata.
Trovai quel parco.
In mezzo era un castello:
di fulgori
splendean biechi e funesti,
pel tramonto, i
suoi vetri.
Là stetti e appresi
ciò che fosse quello
ch'altri chiamava:
spetri.
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