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Vedi la selva delle
quercie estatiche
drizzar nel buio le
braccia ritorte,
funebre asilo di
civette e d'upupe
in vago sonno
assorte?
Le diresti Titani,
a cui l'olimpica
ira inchiodava i
piè possenti al suolo,
da mill'anni
seguenti delle nuvole
e invidianti il
volo.
Sai perché sì
lontano i rami allungano
dal poderoso
tronco?... Un dì, la plebe
che le giovani
piante errar vedevano
per le feraci
glebe,
intenta ai riti
della bionda Cerere,
balzò alla picca,
alla corazza, al brando,
e si accalcò
dinnanzi a un frate pallido
che proclamava un
bando.
Poi, fu un urlo
terribile: e partirono.
Le alte cime mirâr
nel polverìo
quei mille e mille
all'oriente perdersi,
cantando preci a
Dio.
Non più brillar di
falci in mezzo all'alighe
né vociar di
bifolchi, e comitive
tornanti a sera con
a spalle i pargoli;
non più donne
giulive,
inghirlandate di
spiche e di mammole!...
Sol qualche vecchio
errante, all'imbrunire,
sovra cui la
tristezza, colle tenebre,
lenta, parea
salire.
Muto il castello,
deserto il tugurio!
Si sentìa che la
vita in altra terra
battea, che tutte
avea rapite l'anime
quella lontana
guerra.
E fu allor che alle
quercie malinconica
si fe' la balda
gioventù ferace:
però pensâr che,
dopo qualche secolo,
dovea tornar la
pace;
che popolata
rivedrian di mandrie
la valle, e che il
meriggio alla frescura
ricondurrebbe delle
ombrìe balsamiche
una gente futura.
Ed assorte in
pensier di spaventevoli
colpi di scimitarre
e catapulte,
in mezzo all'alta
noia ed al misterio
delle camgagne
inculte,
intrecciarono i
rami, e avvilupparono
fronde a fronde, in
feroci atteggiamenti;
e, contesti di
vòlte e d'archi, eressero
mistici monumenti ;
onde il venturo
mandrian, destandosi
là sotto: «Ecco -
dicesse alle sue donne -
che fér le quercie
mentre i miei bisavoli
pugnavann a
Sïonne».
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