3 - I
TRE AMANTI DI BELLA
-1-
La stanzuccia di
Steno stava accosciata in alto
di un palazzo
affittato da un ebreo di Rialto;
palazzo in cui da
secoli i topi son signori,
e che allora un
patrizio, roso dai creditori,
avea, dopo molto
esitare, esitato,
dicendo: va la
casa, ma mi resta il casato.
Però il dì della
vendita l'aule antiche degli avi
cigolando gemettero
dalle tarlate travi:
gemettero
d'angoscia, giacché una legge arcana
affratella le cose
alla famiglia umana.
Si ricordano, e
serbano l'orror della mitraglia,
nel desolato
aspetto, i campi di battaglia;
certi monti han
profili beffardi e minaccianti
perché memori
ancora del passo dei giganti;
sospira al re
lontano il velluto dei troni,
e alle nonne
defunte pensano i seggioloni;
sicché il vecchio
palazzo di cui vi parlo adesso
sul torbido canale
pianse il passato anch'esso.
E le quattro
cariatidi curve sotto il balcone,
e i putti che
coll'ali sostengono il blasone,
bassorilievi e
fregi lombardi e bisantini,
d'antiche gesta
memori e di antichi quattrini,
presero l'aria cupa
di un popolo di sasso
che più non sappia
illudersi su questo mondo basso;
e il Dio delle
leggende, nella facciata nera,
profeta malinconico,
piantò la sua bandiera.
Oh le feste di un
tempo! Conviti e serenate
e variopinte
gondole alla soglia affollate!
Quando dame e
patrizi, fanciulle e cavalieri,
giungevano al
palazzo con paggi e trombettieri,
a esilararsi
l'animo dalle cure di Stato
tra mantellini
serici e gonne di broccato;
a sfoggiar la
ginnastica delle battaglie mute,
degli sguardi
fatali, delle parole argute;
ad affrettar
l'arrivo della gioconda bara,
tra una botte di
Cipro e una sembianza cara!
Dove, più di una
volta, il vecchio senatore,
per il giurato
premio di una notte d'amore,
vendette alla
bellezza il suo voto in Consiglio;
dove il capro e la
volpe, la tigre ed il coniglio,
piume al cappello e
spada al fianco, in giubba o in manto,
in toga o in
armatura, riso celando o pianto,
le labbra tormentavansi
e si rompean le mani
in proteste di
affetto svanito all'indomani;
dove, bersaglio
agli occhi, ai motti ed agli inchini,
era passato, bello
di gloria, il Morosini;
dove intorno al
damasco dei tavoli seduti
delle nuove
d'allora cianciavano i canuti:
narravano Cromvello
pensoso e turbolento,
e il papa
Rospigliosi pacifico e contento;
come, amando una
patria, cadeva il re Sobieschi,
e amando una
regina, periva il Monaldeschi;
questo ed altro
narravano, mentre in crocchi geniali
le matrone alla
moda leggean le Provinciali.
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