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Era il buon tempo.
Il Fauno, guardia del porticato,
fu la più mesta
vittima dello splendor passato;
egli che nel
marmoreo malinconico cuore
una notte ricorda
di gioia e di dolore,
in cui, fra il
lieto stuolo per la soglia accorrente,
una vaga fanciulla,
pallida, sorridente,
dal padre
inosservata staccossi, che volgea
parlando a un
Mocenigo, su per l'ampia scalea,
e accanto al
piedestallo fermossi, curïosa
e tranquilla, a
osservare la sua faccia rugosa.
I begli occhi
profondi, le nudità seguendo,
di uno scultor di
Rodi artifizio stupendo,
avean finito a
spingere una mano affilata
a palpargli le
vertebre della schiena curvata...
Mai, dopo i colpi
arcani del divino scalpello,
gli avea concesso
il mondo un istante più bello...
L'angelo sparve.
All'alba ripassò, ma un piumato
cinquantenne
patrizio le camminava al lato,
e, assorta nel
colloquio, dimenticò la schiena
tutta per lei di
elettriche scintille ancor ripiena.
Povero Fauno! e in
estasi, già da due lustri, aspetta
che ripassi per
l'atrio la bella giovinetta;
ed ogni notte,
quando batte a San Marco l'ora
che la conobbe, ei
freme sull'ampia base ancora,
dalle piante
caprine fino all'irsuto mento,
come uno stel di
mammola che si dimena al vento;
e intanto donna
Bella, la fanciulla curiosa,
di messer Diego
Alvaro già da due lustri è sposa.
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