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Emilio Praga
Fiabe e leggende

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  • 3 - I TRE AMANTI DI BELLA
    • -3-
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-3-

 

Quando entrò nel palazzo l'Ebreo conquistatore

tutto mutò sembianza, tutto mutò colore,

e all'amante di sasso crebber le noie e il danno.

Tra le colonne, intorno al piedestallo, or stanno

casse di sego, mucchi di corde e chiodi usati,

arazzi e vecchi mobili ghermiti o sequestrati,

bottiglie senza tappo, vecchi stocchi sguarniti,

pelli e corna di buffalo e ermellini ammuffiti,

libri venduti all'alba da un notaio balzano,

e la sera mutati in vetri di Murano;

qui, ammonticchiati al prezzo di un bacio o di un ducato,

la gonna della vedova, l'assisa del soldato;

qui un po' di tutto e un tutto di niente, a sbalzi, a caso

arraffato dall'ugna della miseria, e al naso

della beffarda Usura, fior della fame, offerto!

 

Quanto agli appartamenti per molti giorni incerto

fu il novello padrone circa modum tenendi:

eran tappezzerie, candelabri stupendi,

tele piene del genio di seppelliti artisti,

dei poveri antenati ambizïosi acquisti...

Rividero il sereno venduti al forastiero;

e quel giorno gli scheletri piansero in cimitero,

gli scheletri obliati dei divini pittori,

cui certo un non s'erano pagati che i colori,

mentre l'ebreo, felice dell'oro conquistato,

d'esserne debitore ai morti avea scordato,

né un pensier, né una lagrima, né un fiorellin soltanto

avea, passando a caso, gettato in camposanto.

Fatto il vuoto, divise l'aule immense e i saloni,

come se li allestisse per nidi di piccioni,

in camerette anguste, in stanzuccie pigmee;

lamentandosi molto che Bacchi e Citeree

e Silfidi ed Amori, sulle volte dipinti,

non si potesser vendere perché alla calce avvinti.

Si vendicò tagliandoli coi muri a centellini,

e dandone una parte a tutti gli inquilini.

E qui vedi una Venere che ha la bella sembianza,

le braccia e il seno eburneo nella vicina stanza;

qui il piè di una baccante e sbuca una cetra,

poi del fanciul terribile un piede e la faretra,

poi Giunone che al laccio della parete appresa

ha l'ala azzurra e piangere ti sembra dell'offesa.

Un tal del primo piano cui toccò in sorte parte

di un'imagine nuda che non vo' porre in carte,

lagnossi al proprietario e voleva andar via;

l'ebreo gli rispondeva: «Questa è un'allegoria,

l'ha pinta il Tintoretto, è un egregio disegno»

e l'altro a replicargli: «Fu un pittoraccio indegno!».

Più di una vecchia cabale astruse avea cavate

numerando le membra sul capo suo librate,

e quando un mendicante che stava al quinto piano

vi fu trovato morto col suo rosario in mano,

«Io bene, io ben sapevalo - ronzava una donnetta -

quella nicchia portava la cifra maledetta,

tra braccia e gambe e piedi e dita bianche e scure,

le ho ben contate un giorno, son tredici pitture!».

E più il povero Ebreo non l'avrebbe affittata,

se Steno, il giovinetto dall'aria sventurata,

dal crin lungo le spalle cadente in brune anella,

non l'avesse, bizzarro caso, trovata bella,

quando seppe che dentro v'era stato il becchino.

Steno vi prese alloggio quello stesso mattino.

 

 




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