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L'uscio tarlato e
nero chiuse a doppia chiave,
e al chiodo che
pendeva da una sconnessa trave
sorrise come al
volto di una donna amorosa,
o alle socchiuse
foglie di un bottoncin di rosa.
Poi da un angolo
trasse una corda sottile,
milionesima parte
d'una che in campanile
dimagrò
stiracchiata da un monaco scortese,
ora saran tre
secoli morto di mal francese.
L'attortigliò, la
strinse, montò, l'avvinse al chiodo,
e poi la smunta
faccia, muto, cacciò nel nodo...
Ma in quellistante
il sole ruppe una nube in alto,
e un raggio immenso
il mondo scese a baciar d'un salto.
Fu il cader di una
maschera, cieca, stonata, abbietta,
che discopra una
pura faccia di giovinetta;
tale il mondo
sorrise e le faccie mortali,
chine ai libri o
alla mota, confitte ai capezzali,
dal pianto
affaticate, o róse dalla noia,
guardaron tutte in
cielo e risero di gioia.
L'uomo che si
appiccava gettò la corda e, come
chi, mentre altrove
è assorto, sente chiamarsi a nome,
alla finestra
corse, cacciò la testa fuori,
tra due piccoli
vasi di sitibondi fiori,
e immobile
restovvi.
Di nubi accavallate
scorrean cime e
voragini, a trotto, a volo, a ondate,
e un passero,
tranquillo sotto l'orrenda scena,
lieto osservava i
piccoli figli seduti a cena
nel niduccio
ravvolto alla vicina gronda;
e, se avesse
cantato il caso di Ildegonda,
di più soavi trilli
non avrebbe guaito,
tra i fumanti comignoli,
la molle eco del sito.
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