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Era un gaio
cervello
già di togate
zucche nella dotta Bologna,
e di dottori in
fieri la gioia e la vergogna;
gran rompitor di
ciotole, gran maestro d'imbrogli,
Satana dei mariti e
Messia delle mogli,
gettando
nell'azzurro degli inconsci trent'anni
la fortuna di Rolla
e il cor di Don Giovanni,
vivea la vita come
può viverla un uccello,
in aria, a caso, a
voli dal fiore all'arboscello,
immemore del prima,
del dopo indifferente,
pigro, annoiato,
strano, volubile e innocente.
Solea dir d'esser
nato alla vita mondana
dall'abbraccio di
un diavolo con una Dea pagana;
però a far certo il
prossimo d'essere un grande infame,
lo credereste? a
volte patito avea la fame
per dar l'ultimo
scudo a un cieco o a un saltimbanco...
Vivaddio! colle
piume in testa e il ferro al fianco,
in quel tempo di
balde e facili avventure,
di follie
malinconiche e di allegre paure,
vi giuro, o mie
fanciulle, che, con vostro permesso,
diverso come or
sono, stato sarei lo stesso!
Ora tutto è
svanito! e ( perché nol direi? )
i nostri dì son
tetri senz'essere men rei;
nel lenzuolo del
Solito sepolta è l'avventura;
il bardo e il
cavaliero davanti alla Questura
in ginocchio han
deposto il brando e il colascione;
il motto erra sul
lastrico del popolo padrone;
tolto è all'oro il
tripudio delle superbe offese,
tolta al vulgo la
gloria delle balzane imprese;
della Corte
d'Assise Baiardo è un latitante,
e Fanfulla è un
evaso dal medico curante;
si è sicuri e
difesi, si è posati e dabbene,
parliam di colti
allori e d'infrante catene,
ma interrogate il
cuore di tutti, ad uno ad uno,
e troverete un
viscere d'aria e d'amor digiuno!
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