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Quelle estreme
parole non le ha don Diego intese?
O credere non vuole
che Dio possa far tanto
per strappar dalle
viscere di un uom l'ultimo pianto?
Perché nell'atrio
oscuro s'inòltra, e brancicando
per l'ingombro
cammino colla punta del brando,
al livido barlume
dell'imminente aurora,
attonito,
atterrito, l'aula squallida esplora?
Un'arcana potenza
lo strascina; il suo passo
l'eco fievole
sembra invitar: fra l'ammasso
lutulento
s'innalzano, come in sogno, figure
che gli fan cenno,
e sfumano. Egli vacilla, eppure
retroceder non
vuole : non può, forse!
Repente
gli appare il
Fauno.
Orrore!
Gli si schiara la
mente,
riconosce il
palazzo dove Bella ha incontrato
e chiesta al padre.
È questo il portico
incantato
per cui passò,
premendo il suo braccio di neve,
braccio di fata,
ahi lasso! di una piuma men greve...
Scorser due lustri
appena, ed era l'ora istessa!
Come splendean le
faci! Con che fronte dimessa
qual per pudore
inconscio, accanto alla sfacciata
nudità di quel
Fauno era colei passata!...
Quel Fauno!. .
Ah! fuggi, fuggi,
misero conte Alvaro!
A sollevar le nubi
del tuo passato amaro
non sei solo qui
dentro... fuggi... un mister qui regna...
di tremuli vapori
l'aria fosca si impregna...
par profumi
l'ambrosia!
Miracolo!
Che avvenne?
. . . . . . .
La leggenda
s'arresta a un segreto solenne:
come cadder
dall'alto di San Marco sei ore,
il palazzo fu
scosso da un immenso fragore.
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