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In base alla comunione, che in un certo senso tiene insieme tutta la Chiesa, si
spiega e realizza anche la struttura gerarchica della Chiesa, dotata dal
Signore di natura collegiale e insieme primaziale, quand'egli «costituì gli
apostoli a modo di collegio o ceto stabile, a capo del quale mise Pietro,
scelto di mezzo a loro» («Lumen Gentium», 19). Qui si tratta della speciale
partecipazione dei pastori della Chiesa al triplice ufficio di Cristo, cioè del
Magistero, della santificazione e del governo: gli apostoli insieme con Pietro
- i Vescovi insieme col Vescovo di Roma. Per adoperare nuovamente le parole del
Concilio Vaticano II, «i Vescovi dunque assunsero il ministero della comunità
con i loro collaboratori sacerdoti e diaconi, presiedendo in luogo di Dio al
gregge, di cui sono pastori, quali maestri della dottrina, sacerdoti del sacro
culto, ministri del governo. Come quindi permane l'ufficio dal Signore concesso
singolarmente a Pietro, il primo degli apostoli, e da trasmettersi ai suoi
successori, così permane l'ufficio degli apostoli di pascere la Chiesa, da
esercitarsi in perpetuo dal sacro ordine dei Vescovi» («Lumen Gentium», 20).
Così avviene che «questo collegio, in quanto composto da molti, esprime la
varietà e l'universalità del Popolo di Dio; in quanto poi è raccolto sotto un
solo capo, significa l'unità del gregge di Cristo» («Lumen Gentium», 22).
Il potere e
l'autorità dei Vescovi hanno il carattere di diaconia, secondo il modello di
Cristo stesso, il quale «non è venuto per essere servito, ma per servire e dare
la propria vita in riscatto per molti» (Mc 10,45). Occorre perciò intendere ed
esercitare il potere nella Chiesa secondo le categorie del servire, di modo che
l'autorità abbia la pastoralità come carattere principale.
Ciò riguarda
ogni Vescovo nella sua Chiesa locale; ma tanto più riguarda il Vescovo di Roma
nel servizio petrino in favore della Chiesa universale: infatti la Chiesa di
Roma presiede «all'assemblea universale della carità» (S. Ignatii Antiocheni
«Epist. ad Romanos», inscriptio: «Patres Apostolici», Tubingae 1901, I, 252), e
quindi serve alla carità. Di qui l'antica denominazione di «servo dei servi di
Dio», con cui viene chiamato per definizione il successore di Pietro.
Per tali
motivi, il Pontefice romano si è sempre dato cura anche dei problemi delle
Chiese particolari, a lui deferiti dai Vescovi oppure conosciuti in qualche
altro modo, affinché, dopo di averne presa una più completa conoscenza, potesse
confermare nella fede i fratelli (cfr. Lc 22,32) in virtù del suo ufficio di
Vicario di Cristo e di pastore di tutta la Chiesa. Era infatti convinto che la
reciproca comunione tra i Vescovi del mondo intero ed il Vescovo di Roma, nei
vincoli di unità, di carità e di pace, fosse di grandissimo vantaggio per
l'unità della fede e della disciplina da promuovere e mantenere in tutta la
Chiesa (cfr. «Lumen Gentium», 22.23.25).
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