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Ioannes Paulus PP. II
Pastor bonus

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12. Siccome, dunque, il compito della Curia romana è ecclesiale, esso postula la cooperazione dell'intera Chiesa, alla quale è totalmente orientato. Effettivamente, nessuno, nella Chiesa, è separato dagli altri, anzi ciascuno forma con tutti gli altri un unico e medesimo corpo.

E tale cooperazione si effettua per mezzo di quella comunione, di cui ho parlato fin dall'inizio, comunione di vita, di amore e di verità, per la cui formazione il Popolo messianico è stato voluto da Cristo Signore, e viene da lui assunto come strumento di redenzione e inviato nel mondo intero come luce nel mondo e sale della terra (cfr. «Lumen Gentium», 9). Pertanto, come la Curia romana ha il dovere di stare in comunione con tutte le Chiese, così è necessario che i pastori delle Chiese particolari, da essi rette «come vicari e legati di Cristo» (cfr. «Lumen Gentium», 27), cerchino in ogni modo di stare in comunione con la Curia romana, per sentirsi sempre più strettamente uniti al successore di Pietro mediante queste relazioni, improntate a reciproca fiducia.

Questa mutua comunicazione tra il centro e, per così dire, la periferia della Chiesa, non ingrandisce l'autorità di nessuno, ma promuove al massimo l'intercomunione di tutti a guisa di un corpo vivo che consta di tutte le membra e opera con la loro interazione. Questo fatto fu felicemente espresso da Paolo VI: «Risulta evidente che al movimento centripeto verso il cuore della Chiesa debba corrispondere un altro movimento centrifugo, giungendo in certo modo a tutte e singole le Chiese, a tutti e singoli i pastori ed i fedeli, di modo che venga espresso e manifestato quel tesoro di verità, di grazia e di unità, del quale Cristo Signore e redentore ci ha costituiti partecipi, custodi e dispensatori» (Pauli VI «Sollicitudo Omnium Ecclesiarum», die 24 iun. 1969: AAS 61 [1969] 475).

Tutto questo ha lo scopo di offrire più efficacemente al Popolo di Dio il ministero della salvezza: quel ministero, cioè, che prima di ogni cosa richiede il reciproco aiuto tra i pastori delle Chiese particolari e il pastore della Chiesa universale, cosicché tutti, congiungendo le loro forze, si adoperino per adempiere la legge della salvezza delle anime.

E nient'altro intesero i sommi Pontefici se non provvedere in modo sempre più proficuo alla salvezza delle anime, quando istituirono la Curia romana e la adattarono a nuove situazioni createsi nella Chiesa e nel mondo, come dimostra la storia. Ben a ragione, quindi, Paolo VI delineava la Curia come «un cenacolo permanente», totalmente consacrato alla Chiesa (cfr. Pauli VI «Allocutio ad eos qui sacris Exercitationibus in Palatio Apostolico interfuerunt», die 17 mar. 1973: Insegnamenti di Paolo VI, XI [1973] 257). Io stesso ho sottolineato che la vocazione di quanti in essa collaborano ha come unica direttiva e norma il premuroso servizio della e alla Chiesa (cfr. «Allocutio ad Curiam Romanam», 1, die 28 iun. 1986: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, IX, 1 [1986] 1954). E nella presente e nuova legge sulla Curia romana ho voluto che si stabilisse che tutte le questioni siano trattate dai dicasteri «sempre in forme e con criteri pastorali, con l'attenzione rivolta sia alla giustizia e al bene della Chiesa, sia soprattutto alla salvezza delle anime» («Pastor Bonus», articolo 15: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XI, 2 [1988] 2364).




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