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Musa mia, che sì pronta e sì cortese a pianger fosti meco ed a cantare le mie gioie d'amor tutte, e l'offese, in tempre oltra l'usato aspre ed amare movi meco dolente e sbigottita con le sorelle a pianger e a gridare in questa aspra ed amara dipartita, che per far me da me stessa partire hanno Fortuna e 'l mio signor ordita. E, perché forse non potrem supplire noi soli a tanta doglia, in parte al pianto queste rive e quest'onde fa' venire: onde, che meco si compiacquer tanto ch'or lunge sospirando io chiamo e canto. Questi, Amor, son gli usati frutti tui, brevissimi diletti e lunghe doglie, ch'io provo, che tua serva sono e fui. Ché, come toglie agli arbori le foglie tosto l'autunno, così di tua mano, se si dona alcun ben, tosto si toglie. Tu mi donasti, ed or mi tien lontano quanto ben tu puoi darmi, e quanto vede di caro il sol, tornando a l'oceàno. E, bench'io sia sicura di sua fede, bench'io riposi in quanto m'ha promesso, ne le dolci parole che mi diede, quando 'l disio m'assale, ch'è sì spesso, non essendo qui meco chi l'appaga, la vita mia è un morir espresso. Donne, cui punge l'amorosa piaga, di lassar dipartir l'amato bene non sia alcuna di voi che sia vaga; perché son poi maggior assai le pene di quel ch'altri si crede o che s'aspetta, qualor l'amara disianza viene. Niuna cosa a noi piace o diletta, se non v'è quel che ne la fa piacere, quel ch'ogni nostra gioia fa perfetta. Io quel che voglio non posso volere, se quel ch'amo non ho presso o dintorno, quel che le noie mie torna in piacere. Tu, che fai ora a Lendenara giorno, almo mio sole, ed a me notte oscura, sole, a cui sempre col pensier ritorno,
de l'alta fede mia sincera e pura tien'almen la memoria che si deve, che durerà fin che mia vita dura. E, se degna pietà ti move, in breve scrivi o vieni o manda, sì ch'io sia scema di cura dispietata e greve. quant'io sarò sicura d'esser cara e d'esser presso a chi 'l mio cor desia, il mio cor, ch'ora alberga in Lendenara.
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