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Gaspara Stampa Rime IntraText CT - Lettura del testo |
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-243-
Dettata dal dolor cieco ed insano, vattene al mio signor, lettera amica, baciando a lui la generosa mano. E digli che dal dì, che la nimica mia stella me lo tolse, il cibo mio è sol noia, dolor, pianto e fatica. Ben fu 'l ciel al mio ben contrario e rio, ch'a pena mi mostrò l'amato obietto, che, misera, da me lo dipartìo. O brevi gioie, o fral uman diletto! o nel regno d'Amor tesor fugace, subito mostro e subito intercetto! Il bel paese, che superbo giace fra 'l Rodano e la Mosa, or mi contende la suprema cagion d'ogni mia pace. Mentre ivi il mio signor gradito intende a l'onorate giostre, a' pregi, a' ludi, di cui sì chiara a noi fama s'estende, io, misera, che 'n lui tutti i miei studi, tutte le voglie ho poste, essendo lunge, conven che disiando agghiacci e sudi. E sì fiero il martìr m'assale e punge, ch'io mi vivo sol d'esso e vivrommi anco fin che 'l ciel, conte, a me vi ricongiunge. Voi, qual guerrier vittorioso e franco, ferite altrui con l'onorata lancia; io son ferita qui dal lato manco. O per me poco aventurosa Francia! o bel paese, avverso a' miei disiri, che 'mpallidir mi fai spesso la guancia! Dovunque avien che gli occhi volga e giri, non vi trovando voi, conte, mi resto senza speranza, preda de' sospiri. Voi prometteste ben di scriver presto, non possendo tornar, per porger èsca fra tanto al mio disir atro e funesto: non possendo tornar, per porger ésca da la memoria vostra la mia fede, e che del mio dolor poco v'incresca. È questa de l'amor mio la mercede? e de la vostra fede è questo il pegno? Misera donna ch'ad amante crede! Credetti amar un cavalier più degno e 'l più bel che mai fosse, ed or m'aveggio che la credenza mia non giunge al segno. Empia fortuna, or che mi pòi far peggio, rottemi le promesse di colui, senza cui, d'ogni mal preda, vaneggio?
Io non spero giamai che, come fui vostra, conte, una volta, non sia sempre; così non foste voi, conte, d'altrui! Non so perché la vita non si stempre, non so com'or con voi ragioni e scriva, afflitta sì de l'amorose tempre. Ma, lassa, che dich'io? perché mi priva sì 'l duol del vero mio conoscimento, ch'io tema d'una fé tenace e viva? Non sète voi quel pieno d'ardimento, di senno e di valor, ch'a mille prove trovato ho fido cento volte e cento? Perché debb'io temer ch'essendo altrove, da me partito a pena, in voi sì tosto novo amor a' miei danni si rinove? Deh, dolce conte mio, per quelle e queste fra noi ore lietissime passate, ond'io mi piacqui e voi vi compiaceste, più lungamente omai non indugiate a scrivermi due versi solamente, se 'l mio diletto e la mia vita amate. Ché, non potendo veder voi presente, il veder vostre carte darà certo qualche soccorso a l'affannata mente. Questo al mio grand'amor è picciol merto, ma sarà nondimeno ampio ristoro al faticoso mio poggiar ed erto. Ben felice è lo stato di coloro, che per buona fortuna e destro fato han sempre presso il lor caro tesoro! Misera me, che m'è 'l mio ben vietato, allor che più bramava e più devea essergli caramente ognor a lato! La mia fortuna instabilmente rea mi vi diè tosto e tosto mi vi tolse, che maggior danno far non mi potea. Ma voi, se dentro il vostro cor s'accolse giamai vera pietà di chi v'adora, di chi più voi, che la sua vita, volse, non fate, com'ho detto, più dimora di scrivermi e poi far tosto ritorno, se non volete comportar ch'io mora, come sto per morir di giorno in giorno.
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