Sogliono il più de le
volte gli alti e spaziosi alberi negli orridi monti da la natura produtti, più
che le coltivate piante, da dotte mani espurgate, negli adorni giardini a'
riguardanti aggradare; e molto più per i soli boschi i selvatichi ucelli sovra
i verdi rami cantando, a chi gli ascolta piacere, che per le piene cittadi,
dentro le vezzose et ornate gabbie non piacciono gli ammaestrati. Per la qual
cosa ancora, sì come io stimo, addiviene, che le silvestre canzoni vergate ne
li ruvidi cortecci de' faggi dilettino non meno a chi le legge, che li colti
versi scritti ne le rase carte degli indorati libri; e le incerate canne de'
pastori porgano per le fiorite valli forse più piacevole suono, che li tersi e
pregiati bossi de' musici per le pompose camere non fanno. E chi dubita che più
non sia a le umane menti aggradevole una fontana che naturalmente esca da le
vive pietre, attorniata di verdi erbette, che tutte le altre ad arte fatte di
bianchissimi marmi, risplendenti per molto oro? Certo che io creda niuno.
Dunque in ciò fidandomi, potrò ben io fra queste deserte piagge, agli
ascoltanti alberi, et a quei pochi pastori che vi saranno, racontare le rozze
ecloghe, da naturale vena uscite; così di ornamento ignude esprimendole, come
sotto le dilettevoli ombre, al mormorio de' liquidissimi fonti, da' pastori di
Arcadia le udii cantare; a le quali non una volta ma mille i montani Idii da
dolcezza vinti prestarono intente orecchie, e le tenere Ninfe, dimenticate di
perseguire i vaghi animali, lasciarono le faretre e gli archi appiè degli alti
pini di Menalo e di Liceo. Onde io, se licito mi fusse, più mi terrei a gloria
di porre la mia bocca a la umile fistula di Coridone, datagli per adietro da
Dameta in caro duono, che a la sonora tibia di Pallade, per la quale il male
insuperbito Satiro provocò Apollo a li suoi danni. Che certo egli è migliore il
poco terreno ben coltivare, che 'l molto lasciare per mal governo miseramente
imboschire.
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