SELVAGGIO
Ergasto
mio, perché solingo e tacito
pensar ti
veggio? Oimè, che mal si lassano
le
pecorelle andare a lor ben placito!
Vedi
quelle che 'l rio varcando passano;
vedi quei
duo monton che 'nsieme correno
come in un
tempo per urtar s'abassano.
Vedi c'al
vincitor tutte soccorreno
e vannogli
da tergo, e 'l vitto scacciano
e con
sembianti schivi ognor l'aborreno.
E sai ben
tu che i lupi, ancor che tacciano,
fan le
gran prede; e i can dormendo stannosi,
però che i
lor pastor non vi s'impacciano.
Già per li
boschi i vaghi ucelli fannosi
i dolci
nidi, e d'alti monti cascano
le nevi,
che pel sol tutte disfannosi.
E par che
i fiori per le valli nascano,
et ogni ramo
abbia le foglia tenere,
e i puri
agnelli per l'erbette pascano.
L'arco
ripiglia il fanciullin di Venere,
che di
ferir non è mai stanco, o sazio
di far de
le medolle arida cenere.
Progne
ritorna a noi per tanto spazio
con la
sorella sua dolce cecropia
a
lamentarsi de l'antico strazio.
A dire il
vero, oggi è tanta l'inopia
di pastor
che cantando all'ombra seggiano,
che par
che stiamo in Scitia o in Etiopia.
Or poi che
o nulli o pochi ti pareggiano
a cantar
versi sì leggiadri e frottole,
deh canta
omai, che par che i tempi il cheggiano.
ERGASTO
Selvaggio
mio, per queste oscure grottole
Filomena
né Progne vi si vedono,
ma meste
strigi et importune nottole.
Primavera
e suoi dì per me non riedono,
né truovo
erbe o fioretti che mi gioveno,
ma solo
pruni e stecchi che 'l cor ledono.
Nubbi mai
da quest'aria non si moveno,
e veggio,
quando i dì son chiari e tepidi,
notti di
verno, che tonando pioveno.
Perisca il
mondo, e non pensar ch'io trepidi;
ma attendo
sua ruina, e già considero
che 'l cor
s'adempia di pensier più lepidi.
Caggian
baleni e tuon quanti ne videro
i fier
giganti in Flegra, e poi sommergasi
la terra e
'l ciel, ch'io già per me il desidero.
Come vuoi
che 'l prostrato mio cor ergasi
a poner
cura in gregge umile e povero,
ch'io
spero che fra' lupi anzi dispergasi?
Non truovo
tra gli affanni altro ricovero
che di
sedermi solo appiè d'un acero,
d'un
faggio, d'un abete o ver d'un sovero;
ché
pensando a colei che 'l cor m'ha lacero
divento un
ghiaccio, e di null'altra curomi,
né sento
il duol ond'io mi struggo e macero.
SELVAGGIO
Per
maraviglia più che un sasso induromi,
udendoti
parlar sì malinconico,
e 'n
dimandarti alquanto rassicuromi.
Qual è
colei c'ha 'l petto tanto erronico,
che t'ha
fatto cangiar volto e costume?
Dimel, che
con altrui mai nol commonico.
ERGASTO
Menando un
giorno gli agni presso un fiume,
vidi un
bel lume in mezzo di quell'onde,
che con
due bionde trecce allor mi strinse,
e mi
dipinse un volto in mezzo al core
che di
colore avanza latte e rose;
poi si
nascose in modo dentro all'alma,
che
d'altra salma non mi aggrava il peso.
Così fui
preso; onde ho tal giogo al collo,
ch'il
pruovo e sollo più c'uom mai di carne,
tal che a
pensarne è vinta ogni alta stima.
Io vidi
prima l'uno e poi l'altro occhio;
fin al
ginocchio alzata al parer mio
in mezzo
al rio si stava al caldo cielo;
lavava un
velo, in voce alta cantando.
Oimè, che
quando ella mi vide, in fretta
la
canzonetta sua spezzando tacque,
e mi dispiacque
che per più mie' affanni
si scinse
i panni e tutta si coverse;
poi si
sommerse ivi entro insino al cinto,
tal che
per vinto io caddi in terra smorto.
E per
conforto darmi, ella già corse,
e mi
soccorse, sì piangendo a gridi,
c'a li
suo' stridi corsero i pastori
che eran
di fuori intorno a le contrade,
e per
pietade ritentàr mill'arti.
Ma i
spirti sparti al fin mi ritornaro
e fen
riparo a la dubbiosa vita.
Ella
pentita, poi ch'io mi riscossi,
allor
tornossi indietro, e 'l cor più m'arse,
sol per
mostrarse in un pietosa e fella.
La
pastorella mia spietata e rigida,
che notte
e giorno al mio soccorso chiamola,
e sta
soperba e più che ghiaccio frigida,
ben sanno
questi boschi quanto io amola;
sannolo
fiumi, monti, fiere et omini,
c'ognor
piangendo e sospirando bramola.
Sallo,
quante fiate il dì la nomini,
il gregge
mio, che già a tutt'ore ascoltami,
o ch'egli
in selva pasca o in mandra romini.
Eco
rimbomba, e spesso indietro voltami
le voci
che sì dolci in aria sonano,
e nell'orecchie
il bel nome risoltami.
Quest'alberi
di lei sempre ragionano
e ne le
scorze scritta la dimostrano,
c'a
pianger spesso et a cantar mi spronano.
Per lei li
tori e gli arieti giostrano.
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