Già si tacevano i duo
pastori dal cantare espediti, quando tutti da sedere levati, lasciando Uranio
quivi con duo compagni, ne ponemmo a seguitare le pecorelle, che di gran pezza
avante sotto la guardia de' fidelissiini cani si erano avviate. E non ostante
che i fronzuti sambuchi coverti di fiori odoriferi la ampia strada quasi tutta
occupasseno, il lume de la luna era sì chiaro, che non altrimente che se giorno
stato fusse ne mostrava il camino. E così passo passo seguitandole, andavamo
per lo silenzio de la serena notte, ragionando de le canzoni cantate e
comendando maravigliosamente il novo cominciare di Montano, ma molto più il
pronto e securo rispondere di Uranio, al quale niente il sonno, quantunque
appena svegliato a cantare incominciasse, de le merite lode scemare potuto
avea. Per che ciascuno ringraziava li benigni Dii, che a tanto diletto ne
aveano sì impensatamente guidati. Et <alcuna> volta avveniva che mentre
noi per via andavamo così parlando, i fiochi fagiani per le loro magioni
cantavano, e ne faceano sovente per udirli lasciare interrotti i ragionamenti,
li quali assai più dolci a tal maniera ne pareano, che se senza sì piacevole
impaccio gli avessemo per ordine continuati. Con cotali piaceri adunque ne
riconducemmo a le nostre capanne; ove con rustiche vivande avendo prima
cacciata la fame, ne ponemmo sovra l'usata paglia a dormire, con sommo
desiderio aspettando il novo giorno, nel quale solennemente celebrar si dovea
la lieta festa di Pales, veneranda Dea de' pastori. 2 Per reverenza de la
quale, sì tosto come il sole apparve in oriente, e i vaghi ucelli sovra li
verdi rami cantarono dando segno de la vicina luce, ciascuno parimente levatosi
cominciò ad ornare la sua mandra di rami verdissimi di querce e di corbezzoli,
ponendo in su la porta una lunga corona di frondi e di fiori di ginestre e
d'altri; e poi con fumo di puro solfo andò divotamente attorniando i saturi
greggi, e purgandoli con pietosi preghi, che nessun male li potesse nocere né
dannificare. Per la qual cosa ciascuna capanna si udì risonare di diversi
instrumenti. Ogni strada, ogni borgo, ogni trivio si vide seminato di verdi
mirti. Tutti gli animali egualmente per la santa festa conobbero desiato
riposo. I vomeri, i rastri, le zappe, gli aratri e i gioghi similmente ornati
di serte di novelli fiori mostrarono segno di piacevole ocio. Né fu alcuno
degli aratori, che per quel giorno pensasse di adoperare esercizio né lavoro
alcuno; ma tutti lieti con dilettevoli giochi intorno agl'inghirlandati buovi
per li pieni presepi cantarono amorose canzoni. Oltra di ciò li vagabundi
fanciulli di passo in passo con le semplicette verginelle si videro per le
contrade esercitare puerili giochi, in segno di commune letizia. 3 Ma per
potermo divotamente offrire i voti fatti ne le necessità passate sovra i
fumanti altari, tutti inseme di compagnia ne andammo al santo tempio. Al quale
per non molti gradi poggiati, vedemmo in su la porta dipinte alcune selve e
colli bellissimi e copiosi di alberi fronzuti e di mille varietà di fiori; tra
i quali si vedeano molti armenti che andavano pascendo e spaziandosi per li
verdi prati, con forse dieci cani dintorno che li guardavano; le pedate dei
quali in su la polvere naturalissime si discernevano. De' pastori alcuni
mungevano, alcuni tondavano lane, altri sonavano sampogne, e tali vi erano, che
pareva che cantando si ingegnasseno di accordarsi col suono di quelle. Ma
quel che più intentamente mi piacque di
mirare, erano certe Ninfe ignude, le quali dietro un tronco di castagno stavano
quasi mezze nascose, ridendo di un montone, che per intendere a rodere una
ghirlanda di quercia che dinanzi agli occhi gli pendea, non si ricordava di
pascere le erbe che dintorno gli stavano. In questo venivano quattro Satiri con
le corna in testa e i piedi caprini per una macchia di lentischi pian piano,
per prenderle dopo le spalle; di che elle avedendosi, si mettevano in fuga per
lo folto bosco, non schivando né pruni né cosa che li potesse nocere. De le
quali una più che le altre presta, era poggiata sovra un càrpino, e quindi con
un ramo lungo in mano si difendea; le altre si erano per paura gittate dentro un
fiume, e per quello fuggivano notando, e le chiare onde poco o niente gli
nascondevano de le bianche carni. Ma poi che si vedevano campate dal pericolo,
stavano assise da l'altra riva affannate et anelanti, asciugandosi i bagnati
capelli; e quindi con gesti e con parole pareva che increpare volessono coloro
che giungere non le avevano potuto. 4 Et in un de' lati vi era Apollo
biondissimo, il quale appoggiato ad un bastone di selvatica oliva guardava gli
armenti di Admeto a la riva di un fiume; e per attentamente mirare duo forti
tori che con le corna si urtavano, non si avvedea del sagace Mercurio, che in
abito pastorale, con una pelle di capra appiccata sotto al sinestro umero, gli
furava le vacche. Et in quel medesmo spazio stava Batto, palesatore del furto,
transformato in sasso, tenendo il dito disteso in gesto di dimostrante. E poco
più basso si vedeva pur Mercurio, che sedendo ad una gran pietra con gonfiate
guance sonava una sampogna, e con gli occhi torti mirava una bianca vitella che
vicina gli stava, e con ogni astuzia si ingegnava di ingannare lo occhiuto
Argo. 5 Da l'altra parte giaceva appiè di un altissimo cerro un pastore
adormentato in mezzo de le sue capre, et un cane gli stava odorando la tasca
che sotto la testa tenea; il quale, però che la Luna con lieto occhio il
mirava, stimai che Endimione fusse. Appresso di costui era Paris, che con la falce
avea cominciato a scrivere «Enone» a la corteccia di un olmo, e per giudicare
le ignude Dee che dinanzi gli stavano, non la avea potuto ancora del tutto
fornire. Ma quel ch'è non men sottile a pensare che dilettevole a vedere, era
lo accorgimento del discreto pintore, il quale avendo fatta Giunone e Minerva
di tanto estrema bellezza che ad avanzarle sarebbe stato impossibile, e
diffidandosi di fare Venere sì bella come bisognava, la dipinse volta di
spalle, scusando il difetto con la astuzia. E molte altre cose leggiadre e
bellissime a riguardare, de le quali io ora mal mi ricordo, vi vidi per diversi
luoghi dipinte. 6 Ma entrati nel tempio, et a l'altare pervenuti, ove la
imagine de la santa Dea si vedea, trovammo un sacerdote di bianca veste vestito
e coronato di verdi fronde, sì come in sì lieto giorno et in sì solenne officio
si richiedeva, il quale a le divine cerimonie con silenzio mirabilissimo ne
aspettava. Né più tosto ne vide intorno al sacrificio ragunati, che con le
proprie mani uccise una bianca agna, e le interiori di quella divotamente per
vittima offerse nei sacrati fochi, con odoriferi incensi e rami di casti ulivi
e di teda e di crepitanti lauri inseme con erba sabina; e poi spargendo un vaso
di tepido latte, inginocchiato e con le braccia distese verso l'oriente così
cominciò: 7 - O riverenda Dea, la cui maravigliosa potenzia più volte nei
nostri bisogni si è dimostrata, porgi pietose orecchie ai preghi divotissimi de
la circunstante turba. La quale ti chiede umilmente perdono del suo fallo, se
non sapendo avesse seduto o pasciuto
sotto alcuno albero che sacrato fusse, o se entrando per li inviolabili boschi,
avesse con la sua venuta turbate le sante Driade e i semicapri Dii dai sollacci
loro; e se per necessità di erbe avesse con la importuna falce spogliate le
sacre selve de' rami ombrosi, per subvenire alle famulente pecorelle, o vero se
quelle per ignoranza avessono violate le erbe de' quieti sepolcri, o turbati
con li piedi i vivi fonti, corrumpendo de le acque la solita chiarezza. Tu, Dea
pietosissiana, appaga per loro le deità offese, dilungando sempre morbi et
infirmità dai semplici greggi e dai maestri di quelli. Né consentire che gli
occhi nostri non degni veggiano mai per le selve le vendicatrici Ninfe, né la
ignuda Diana bagnarse per le fredde acque, né di mezzo giorno il silvestre
Fauno, quando da caccia tornando stanco, irato sotto ardente sole transcorre
per li lati campi. Discaccia da le nostre mandre ogni magica bestemmia et ogni
incanto che nocevole sia; guarda i teneri agnelli dal fascino de' malvagi occhi
de' invidiosi; conserva la sollicita turba degli animosi cani, securissimo
sussidio et aita de le timide pecore, acciò che il numero de le nostre torme
per nessuna stagione si sceme, ne si truove minore la sera al ritornare che 'l
matino all'uscire; né mai alcun de' nostri pastori si veggia piangendo
riportarne a l'albergo la sanguinosa pelle appena tolta al rapace lupo. Sia
lontana da noi la iniqua fame, e sempre erbe e frondi et acque chiarissime da
bere e da lavarle ne soverchino; e di ogni tempo si veggiano di latte e di
prole abondevoli e di bianche e mollissime lane copiose, onde i pastori
ricevano con gran letizia dilettevole guadagno. - 8 E questo quattro volte
detto, et altre tante per noi tacitamente murmurato, ciascun per purgarsi
lavatosi con acqua di vivo fiume le mani, indi di paglia accesi grandissimi
fochi, sovra a quelli cominciammo tutti per ordine destrissimamente a saltare,
per espiare le colpe commesse nei tempi passati. 9 Ma porti i divoti preghi, e
i solenni sacrificii finiti, uscimmo per un'altra porta ad una bella pianura
coverta di pratelli delicatissimi, li quali, sì come io stimo, non erano stati
giamai pasciuti né da pecore né da capre, né da altri piedi calcati che di
Ninfe; né credo ancora che le susurranti api vi fusseno nodate a gustare i
teneri fiori che vi erano; sì belli e sì intatti si dimostravano. Per mezzo dei
quali trovammo molte pastorelle leggiadrissime, che di passo in passo si
andavano facendo nove ghirlandette; e quelle in mille strane maniere ponendosi
sovra li biondi capelli, si sforzava ciascuna con maestrevòe arte di superare
le dote de la natura. Fra le quali Galicio veggendo forse quella che più amava,
senza essere da alcuno di noi pregato, dopo alquanti sospiri ardentissimi,
sonandogli il suo Eugenio la sampogna, così suavemente cominciò a cantare,
tacendo ciascuno:
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