Piacque
maravigliosamente a ciascuno il cantare di Galicio, ma per diverse maniere.
Alcuni lodarono la giovenil voce piena di armonia inestimabile; altri il modo
suavissimo e dolce, atto ad irretire qualunque animo stato fusse più ad amore
ribello; molti comendarono le rime leggiadre e tra' rustici pastori non
usitate; e di quelli ancora vi furono, che con più ammirazione estolsero la
acutissima sagacità del suo avvedimento, il quale constretto di nominare il
mese a' greggi et a' pastori dannoso, sì come saggio evitatore di sinestro
augurio in sì lieto giorno, disse «il mese inanzi aprile». Ma io che non men
desideroso di sapere chi questa Amaranta si fusse, che di ascoltare l'amorosa
canzone era vago, le orecchie alle parole de lo inamorato pastore e gli occhi
ai volti de le belle giovenette teneva intentissimamente fermati, stimando per
li movimenti di colei che dal suo amante cantare si udiva, poteria senza
dubitazione alcuna comprendere. E con accorto sguardo or questa or quella
riguardando, ne vidi una che tra le belle bellissima giudicai; li cui capelli
erano da un sottilissimo velo coverti, di sotto al quale duo occhi vaghi e
lucidissimi scintillavano, non altrimente che le chiare stelle sogliono nel
sereno e limpido cielo fiammeggiare. E 'l viso alquanto più lunghetto che
tondo, di bella forma, con bianchezza non spiacevole ma temperata, quasi al
bruno dechinando, e da un vermiglio e grazioso colore accompagnato, reimpieva
di vaghezza gli occhi che 'l miravano. Le labra erano tali che le matutine rose
avanzavano; fra le quali, ogni volta che parlava o sorrideva, mostrava alcuna
parte de' denti, di tanto strana e maravigliosa leggiadria, che a niuna altra
cosa che ad orientali perle gli avrei saputo assomigliare. Quindi a la marmorea
e delicata gola discendendo, vidi nel tenero petto le picciole e giovenili
mammelle, che a guisa di duo rotondi pomi la sottilissima veste in fuori
pingivano; per mezzo de le quali si discerneva una vietta bellissima et oltra
modo piacevole a riguardare; la quale, però che ne le secrete parti si
terminava, di a quelle con più efficacia pensare mi fu cagione. Et ella
delicatissima e di gentile e rilevata statura, andava per li belli prati, con
la bianca mano cogliendo i teneri fiori. De' quali avendo già il grembo
ripieno, non più tosto ebbe dal cantante giovene udito «Amaranta» nominare, che
abandonando le mani e 'l seno, e quasi essendo a se medesma uscita di mente,
senza avvedersene ella, tutti gli caddero, seminando la terra di forse venti
varietà di colori. Di che poi quasi ripresa accorgendosi, divenne non
altrimente vermiglia nel viso, che suole tal volta il rubicondo aspetto de la
incantata luna o vero ne lo uscire del sole la purpurea aurora mostrarsi a'
riguardanti. Onde ella non per bisogno, credo, che a ciò la astringesse, ma
forse pensando di meglio nascondere la sopravenuta rossezza che da donnesca
vergogna li procedea, si bassò in terra da capo a coglierli, quasi come di
altro non gli calesse, scegliendo i fiori bianchi dai sanguigni e i persi dai
violati. Da la qual cosa io che intento e sollicitissimo vi mirava, presi quasi
per fermo argomento, colei dovere essere la pastorella di cui sotto confuso
nome cantare udiva. 2 Ma lei dopo brieve intervallo di tempo fattasi de'
racolti fiori una semplicetta corona, si mescolò tra le belle compagne; le
quali similmente avendo spogliato lo onore ai prati e quello a sé posto, altere
con suave passo procedevano, sì come
Naiade o Napee state fusseno, e con la diversità de' portamenti oltra misura le
naturali bellezze augmentavano. Alcune portavano ghirlande di ligustri con
fiori gialli e tali vermigli interposti; altre aveano mescolati i gigli bianchi
e i pulpurini con alquante frondi verdissime di arangi per mezzo; quella andava
stellata di rose, quell'altra biancheggiava di gelsomini; tal che ognuna per sé
e tutte inseme più a divini spirti che ad umane creature assomigliavano; per
che molti con maraviglia diceano: - O fortunato il posseditore di cotali
bellezze! - Ma veggendo elle il sole di molto alzato, e 'l caldo grandissimo
sopravenire, verso una fresca valle piacevolmente inseme scherzando e
motteggiandosi drizzarono i passi loro. A la quale in brevissimo spazio
pervenute, e trovativi i vivi fonti sì chiari, che di purissimo cristallo
pareano, cominciarono con le gelide acque a rinfrescarsi i belli volti da non
maestrevole arte rilucenti; e retiratesi le schiette maniche insino al cubito,
mostravano ignude le candidissime braccia, le quali non poca bellezza alle
tenere e delicate mani sopragiungevano. Per la qual cosa noi più divenuti
volenterosi di vederle, senza molto indugiare, presso al luogo ove elle stavano
ne avvicinammo, e quivi appiè di una altissima elcina ne ponemmo senza ordine
alcuno a sedere. 3 Ove come che molti vi fusseno et in cetere et in sampogne
espertissimi, non di meno a la più parte di noi piacque di volere udire Logisto
et Elpino a pruova cantare; pastori belli de la persona e di età giovenissimi;
Elpino di capre, Logisto di lanate pecore guardatore; ambiduo coi capelli
biondi più che le mature spiche, ambiduo di Arcadia, et egualmente a cantare et
a rispondere apparecchiati. Ma volendo Logisto non senza pregio contendere,
depuse una bianca pecora con duo agnelli, dicendo: 4 - Di questi farai il
sacrificio a le Ninfe, se la vittoria del cantare fia tua; ma se quella li
benigni fati a me concederanno, il tuo domestico cervo per merito de la
guadagnata palma mi donarai. - 5 - Il mio domestico cervo - rispuse Elpino -
dal giorno che prima a la lattante madre il tolsi, insino a questo tempo, lo ho
sempre per la mia Tirrena riserbato, e per amor di lei con sollicitudine
grandissima in continue delicatezze nudrito, pettinandolo sovente per li puri
fonti et ornandoli le ramose corna con serte di fresche rose e di fiori; onde
egli avvezzato di mangiare a la nostra tavola, si va il giorno a suo diporto
vagabundo errando per le selve, e poi quando tempo li pare, quantunque tardi
sia, se ne ritorna a la usata casa; ove trovando me che sollicitissimo lo
aspetto, non si può veder sazio di lusingarme, saltando e facendomi mille
giochi dintorno. Ma quel che di lui più che altro mi aggrada, è che conosce et
ama sovra tutte le cose la sua donna, e pazientissimo sostiene di farse porre
il capestro e di essere tocco da le sue mani; anzi di sua voluntà li para il
mansueto collo al giogo e tal fiata gli umeri a l'imbasto; e contento di essere
cavalcato da lei, la porta umilissimo per li lati campi senza lesione o pur
timore di pericolo alcuno. E quel monile che ora gli vedi di marine cochiglie,
con quel dente di cinghiale che a guisa di una bianca luna dinanzi al petto gli
pende, lei per mio amore gliel puse, et in mio nome gliel fa portare. Dunque
questo non vi porrò io; ma il mio pegno sarà tale, che tu stesso, quando il
vedrai, il giudicarai non che bastevole, ma maggiore del tuo. Primeramente io
ti dipongo un capro, vario di pelo, di corpo grande, barbuto, armato di quattro
corna, et usato di vincere spessissime volte ne l'urtare; il quale senza pastore bastarebbe solo a
conducere una mandra quantunque grande fusse. Oltra di ciò un nappo nuovo di
faggio, con due orecchie bellissime del medesmo legno, il quale, da ingegnoso
artefice lavorato, tiene nel suo mezzo dipinto il rubicondo Priapo che
strettissimamente abraccia una Ninfa, et a mal grado di lei la vuol basciare;
onde quella di ira accesa torcendo il volto indietro, con tutte sue forze
intende a svilupparsi da lui, e con la manca mano gli squarcia il naso, con
l'altra gli pela la folta barba. E sonovi intorno a costoro tre fanciulli
ignudi e pieni di vivacità mirabile, de' quali l'uno con tutto il suo podere si
sforza di tòrre a Priapo la falce di mano, aprendoli puerilmente ad uno ad uno
le rustiche dite; l'altro con rabbiosi denti mordendoli la irsuta gamba, fa
segnale al compagno che gli porga aita; il quale intento a fare una sua
picciola gabbia di paglia e di giunchi, forse per rinchiudervi i cantanti
grilli, non si move dal suo lavoro per agiutarli. Di che il libidinoso idio
poco curandosi, più si restringe seco la bella Ninfa, disposto totalmente di
menare a fine il suo proponimento. Et è questo mio vaso di fuori circondato
d'ogn'intorno d'una ghirlanda di verde pimpinella, ligata con un brieve che
contene queste parole: Da tal radice nasce Chi del mio mal si pasce. E giuroti
per le deità de' sacri fonti, che giamai le mie labra nol toccarono, ma sempre
lo ho guardato nettissimo ne la mia tasca, dall'ora che <per> una capra e
due grandi fiscelle di premuto latte il comparai da un navigante, che nei
nostri boschi venne da lontani paesi. - 6 Allor Selvaggio, che in ciò giudice
era stato eletto, non volle che pegni si ponesseno, dicendo che assai sarebbe
se 'l vincitore ne avesse la lode e 'l vinto la vergogna. E così detto, fe'
cenno ad Ofelia che sonasse la sampogna, comandando a Logisto che cominciasse
et ad Elpino che, alternando, a vicenda rispondesse. Per la qual cosa appena il
suono fu sentito, che Logisto con cotali parole il seguitò:
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