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Iacobus Sannazarius
Arcadia

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  • Prosa quarta
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Prosa quarta

 

Piacque maravigliosamente a ciascuno il cantare di Galicio, ma per diverse maniere. Alcuni lodarono la giovenil voce piena di armonia inestimabile; altri il modo suavissimo e dolce, atto ad irretire qualunque animo stato fusse più ad amore ribello; molti comendarono le rime leggiadre e tra' rustici pastori non usitate; e di quelli ancora vi furono, che con più ammirazione estolsero la acutissima sagacità del suo avvedimento, il quale constretto di nominare il mese a' greggi et a' pastori dannoso, sì come saggio evitatore di sinestro augurio in sì lieto giorno, disse «il mese inanzi aprile». Ma io che non men desideroso di sapere chi questa Amaranta si fusse, che di ascoltare l'amorosa canzone era vago, le orecchie alle parole de lo inamorato pastore e gli occhi ai volti de le belle giovenette teneva intentissimamente fermati, stimando per li movimenti di colei che dal suo amante cantare si udiva, poteria senza dubitazione alcuna comprendere. E con accorto sguardo or questa or quella riguardando, ne vidi una che tra le belle bellissima giudicai; li cui capelli erano da un sottilissimo velo coverti, di sotto al quale duo occhi vaghi e lucidissimi scintillavano, non altrimente che le chiare stelle sogliono nel sereno e limpido cielo fiammeggiare. E 'l viso alquanto più lunghetto che tondo, di bella forma, con bianchezza non spiacevole ma temperata, quasi al bruno dechinando, e da un vermiglio e grazioso colore accompagnato, reimpieva di vaghezza gli occhi che 'l miravano. Le labra erano tali che le matutine rose avanzavano; fra le quali, ogni volta che parlava o sorrideva, mostrava alcuna parte de' denti, di tanto strana e maravigliosa leggiadria, che a niuna altra cosa che ad orientali perle gli avrei saputo assomigliare. Quindi a la marmorea e delicata gola discendendo, vidi nel tenero petto le picciole e giovenili mammelle, che a guisa di duo rotondi pomi la sottilissima veste in fuori pingivano; per mezzo de le quali si discerneva una vietta bellissima et oltra modo piacevole a riguardare; la quale, però che ne le secrete parti si terminava, di a quelle con più efficacia pensare mi fu cagione. Et ella delicatissima e di gentile e rilevata statura, andava per li belli prati, con la bianca mano cogliendo i teneri fiori. De' quali avendo già il grembo ripieno, non più tosto ebbe dal cantante giovene udito «Amaranta» nominare, che abandonando le mani e 'l seno, e quasi essendo a se medesma uscita di mente, senza avvedersene ella, tutti gli caddero, seminando la terra di forse venti varietà di colori. Di che poi quasi ripresa accorgendosi, divenne non altrimente vermiglia nel viso, che suole tal volta il rubicondo aspetto de la incantata luna o vero ne lo uscire del sole la purpurea aurora mostrarsi a' riguardanti. Onde ella non per bisogno, credo, che a ciò la astringesse, ma forse pensando di meglio nascondere la sopravenuta rossezza che da donnesca vergogna li procedea, si bassò in terra da capo a coglierli, quasi come di altro non gli calesse, scegliendo i fiori bianchi dai sanguigni e i persi dai violati. Da la qual cosa io che intento e sollicitissimo vi mirava, presi quasi per fermo argomento, colei dovere essere la pastorella di cui sotto confuso nome cantare udiva. 2 Ma lei dopo brieve intervallo di tempo fattasi de' racolti fiori una semplicetta corona, si mescolò tra le belle compagne; le quali similmente avendo spogliato lo onore ai prati e quello a sé posto, altere con suave passo  procedevano, sì come Naiade o Napee state fusseno, e con la diversità de' portamenti oltra misura le naturali bellezze augmentavano. Alcune portavano ghirlande di ligustri con fiori gialli e tali vermigli interposti; altre aveano mescolati i gigli bianchi e i pulpurini con alquante frondi verdissime di arangi per mezzo; quella andava stellata di rose, quell'altra biancheggiava di gelsomini; tal che ognuna per sé e tutte inseme più a divini spirti che ad umane creature assomigliavano; per che molti con maraviglia diceano: - O fortunato il posseditore di cotali bellezze! - Ma veggendo elle il sole di molto alzato, e 'l caldo grandissimo sopravenire, verso una fresca valle piacevolmente inseme scherzando e motteggiandosi drizzarono i passi loro. A la quale in brevissimo spazio pervenute, e trovativi i vivi fontichiari, che di purissimo cristallo pareano, cominciarono con le gelide acque a rinfrescarsi i belli volti da non maestrevole arte rilucenti; e retiratesi le schiette maniche insino al cubito, mostravano ignude le candidissime braccia, le quali non poca bellezza alle tenere e delicate mani sopragiungevano. Per la qual cosa noi più divenuti volenterosi di vederle, senza molto indugiare, presso al luogo ove elle stavano ne avvicinammo, e quivi appiè di una altissima elcina ne ponemmo senza ordine alcuno a sedere. 3 Ove come che molti vi fusseno et in cetere et in sampogne espertissimi, non di meno a la più parte di noi piacque di volere udire Logisto et Elpino a pruova cantare; pastori belli de la persona e di età giovenissimi; Elpino di capre, Logisto di lanate pecore guardatore; ambiduo coi capelli biondi più che le mature spiche, ambiduo di Arcadia, et egualmente a cantare et a rispondere apparecchiati. Ma volendo Logisto non senza pregio contendere, depuse una bianca pecora con duo agnelli, dicendo: 4 - Di questi farai il sacrificio a le Ninfe, se la vittoria del cantare fia tua; ma se quella li benigni fati a me concederanno, il tuo domestico cervo per merito de la guadagnata palma mi donarai. - 5 - Il mio domestico cervo - rispuse Elpino - dal giorno che prima a la lattante madre il tolsi, insino a questo tempo, lo ho sempre per la mia Tirrena riserbato, e per amor di lei con sollicitudine grandissima in continue delicatezze nudrito, pettinandolo sovente per li puri fonti et ornandoli le ramose corna con serte di fresche rose e di fiori; onde egli avvezzato di mangiare a la nostra tavola, si va il giorno a suo diporto vagabundo errando per le selve, e poi quando tempo li pare, quantunque tardi sia, se ne ritorna a la usata casa; ove trovando me che sollicitissimo lo aspetto, non si può veder sazio di lusingarme, saltando e facendomi mille giochi dintorno. Ma quel che di lui più che altro mi aggrada, è che conosce et ama sovra tutte le cose la sua donna, e pazientissimo sostiene di farse porre il capestro e di essere tocco da le sue mani; anzi di sua voluntà li para il mansueto collo al giogo e tal fiata gli umeri a l'imbasto; e contento di essere cavalcato da lei, la porta umilissimo per li lati campi senza lesione o pur timore di pericolo alcuno. E quel monile che ora gli vedi di marine cochiglie, con quel dente di cinghiale che a guisa di una bianca luna dinanzi al petto gli pende, lei per mio amore gliel puse, et in mio nome gliel fa portare. Dunque questo non vi porrò io; ma il mio pegno sarà tale, che tu stesso, quando il vedrai, il giudicarai non che bastevole, ma maggiore del tuo. Primeramente io ti dipongo un capro, vario di pelo, di corpo grande, barbuto, armato di quattro corna, et usato di vincere spessissime volte ne l'urtare; il  quale senza pastore bastarebbe solo a conducere una mandra quantunque grande fusse. Oltra di ciò un nappo nuovo di faggio, con due orecchie bellissime del medesmo legno, il quale, da ingegnoso artefice lavorato, tiene nel suo mezzo dipinto il rubicondo Priapo che strettissimamente abraccia una Ninfa, et a mal grado di lei la vuol basciare; onde quella di ira accesa torcendo il volto indietro, con tutte sue forze intende a svilupparsi da lui, e con la manca mano gli squarcia il naso, con l'altra gli pela la folta barba. E sonovi intorno a costoro tre fanciulli ignudi e pieni di vivacità mirabile, de' quali l'uno con tutto il suo podere si sforza di tòrre a Priapo la falce di mano, aprendoli puerilmente ad uno ad uno le rustiche dite; l'altro con rabbiosi denti mordendoli la irsuta gamba, fa segnale al compagno che gli porga aita; il quale intento a fare una sua picciola gabbia di paglia e di giunchi, forse per rinchiudervi i cantanti grilli, non si move dal suo lavoro per agiutarli. Di che il libidinoso idio poco curandosi, più si restringe seco la bella Ninfa, disposto totalmente di menare a fine il suo proponimento. Et è questo mio vaso di fuori circondato d'ogn'intorno d'una ghirlanda di verde pimpinella, ligata con un brieve che contene queste parole: Da tal radice nasce Chi del mio mal si pasce. E giuroti per le deità de' sacri fonti, che giamai le mie labra nol toccarono, ma sempre lo ho guardato nettissimo ne la mia tasca, dall'ora che <per> una capra e due grandi fiscelle di premuto latte il comparai da un navigante, che nei nostri boschi venne da lontani paesi. - 6 Allor Selvaggio, che in ciò giudice era stato eletto, non volle che pegni si ponesseno, dicendo che assai sarebbe se 'l vincitore ne avesse la lode e 'l vinto la vergogna. E così detto, fe' cenno ad Ofelia che sonasse la sampogna, comandando a Logisto che cominciasse et ad Elpino che, alternando, a vicenda rispondesse. Per la qual cosa appena il suono fu sentito, che Logisto con cotali parole il seguitò

 

 




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