Era già per lo
tramontare del sole tutto l'occidente sparso di mille varietà di nuvoli, quali
violati, quali cerulei, alcuni sanguigni, altri tra giallo e nero, e tali sì
rilucenti per la ripercussione de' raggi, che di forbito e finissimo oro
pareano. Per che essendosi le pastorelle di pari consentimento levate da sedere
intorno a la chiara fontana, i duo amanti pusero fine a le loro canzoni. Le
quali sì come con maraviglioso silenzio erano state da tutti udite, così con
grandissima ammirazione furono da ciascuno egualmente comendate, e massimamente
da Selvaggio, il quale non sapendo discernere quale fusse stato più prossimo a
la vittoria, amboduo giudicò degni di somma lode; al cui giudicio tutti consentemmo
di commune parere. E senza poterli più comendare che comendati ne gli avessemo,
parendo a ciascuno tempo di dovere omai ritornare verso la nostra villa, con
passo lentissimo, molto degli avuti piaceri ragionando, in camino ne mettemmo.
2 Il quale avegna che per la asprezza de l'incolto paese più montoso che piano
fusse, non di meno tutt'i boscarecci diletti che per simili luoghi da festevole
e lieta compagna prender si puoteno, ne diede et amministrò quella sera. E
primeramente avendosi nel mezzo de l'andare ciascuno trovata la sua piastrella,
tirammo ad un certo segno; al quale chi più si avvicinava, era, sì come
vincitore, per alquanto spazio portato in su le spalle da colui che perdea; a
cui tutti con lieti gridi andammo applaudendo dintorno e facendo maravigliosa
festa, sì come a tal gioco si richiedea. Indi di questo lasciandone, prendemmo
chi gli archi e chi le fionde, e con quelle di passo in passo scoppiando e
traendo pietre, ne diportammo; posto che con ogni arte et ingegno i colpi l'un
de l'altro si sforzasse di superare. Ma discesi nel piano e i sassosi monti
dopo le spalle lasciati, come a ciascuno parve, novelli piaceri a prendere
rincominciammo; ora provandone a saltare, ora a dardeggiare con li pastorali
bastoni, et ora leggierissimi a correre per le spiegate campagne; ove qualunque
per velocità primo la disegnata meta toccava, era di frondi di pallidi ulivi
onorevolmente a suon di sampogna coronato per guiderdone. Oltra di ciò, sì come
tra' boschi spesse volte addiviene, movendosi d'una parte volpi, d'altra
cavriuoli saltando, e quelli in qua et in là con nostri cani seguendo, ne
trastullammo, insino che agli usati alberghi da' compagni, che a la lieta cena
n'aspettavano, fummo ricevuti; ove dopo molto giocare, essendo gran pezza de la
notte passata, quasi stanchi di piacere, concedemmo alle esercitate membra
riposo. 3 Né più tosto la bella Aurora cacciò le notturne stelle, e 'l cristato
gallo col suo canto salutò il vicino giorno, significando l'ora che gli
accoppiati bovi sogliono a la fatica usata ritornare, che un de' pastori, prima
di tutti levatosi, andò col rauco corno tutta la brigata destando; al suono del
quale ciascuno, lasciando il pigro letto, se apparecchiò con la biancheggiante
alba a li novi piaceri. E cacciati da le mandre li volenterosi greggi e postine
con essi in via, li quali di passo in passo con le loro campane per le tacite
selve risvegliavano i sonnacchiosi ucelli, andavamo pensosi imaginando ove con
diletto di ciascuno avessemo commodamente potuto tutto il giorno pascere e
dimorare. E mentre così dubitosi andavamo, chi proponendo un luogo e chi un
altro, Opico, il quale era più che gli altri vecchio e molto stimato fra'
pastori, disse: 4 - Se voi vorrete ch'io vostra guida sia, io vi menarò in parte assai vicina di qui, e certo al mio
parere non poco dilettosa; de la quale non posso non ricordarmi a tutte ore,
però che quasi tutta la mia giovenezza in quella tra suoni e canti
felicissimamente passai; e già i sassi che vi sono mi conoscono, e sono ben
insegnati di rispondere agli accenti de le voci mie. Ove, sì come io stimo,
trovaremo molti alberi, nei quali io un tempo, quando il sangue mi era più
caldo, con la mia falce scrissi il nome di quella che sovra tutti gli greggi
amai; e credo già che ora le lettere inseme con gli alberi siano cresciute;
onde prego gli Dii che sempre le conservino in esaltazione e fama eterna di
lei. - 5 A tutti egualmente parve di seguitare il consiglio di Opico, et ad un
punto al suo volere rispondemmo essere apparecchiati. Né guari oltra a duo
milia passi andati fummo, che al capo di un fiume chiamato Erimanto pervenimmo;
il quale da piè di un monte per una rottura di pietra viva con un rumore
grandissimo e spaventevole e con certi bollori di bianche schiume si caccia
fòre nel piano, e per quello transcorrendo, col suo mormorio va fatigando le
vicine selve. La qual cosa di lontano a chi solo vi andasse, porgerebbe di
prima intrata paura inestimabile, e certo non senza cagione; con ciò sia cosa
che per commune opinione de' circunstanti populi si tiene quasi per certo che
in quel luogo abiteno le Ninfe del paese; le quali per porre spavento agli
animi di coloro che approssimare vi si volessono, facciano quel suono così
strano ad udire. Noi, perché stando a tale strepito non avriamo potuto né di parlare
né di cantare prendere diletto, cominciammo pian piano a poggiare il non aspro
monte, nel quale erano forse mille tra cipressi e pini sì grandi e sì spaziosi,
che ognun per sé averebbe quasi bastato ad umbrare una selva. E poi che fummo a
la più alta parte di quello arrivati, essendo il sole di poco alzato, ne
ponemmo confusamente sovra la verde erba a sedere. Ma le pecore e le capre, che
più di pascere che di riposarse erano vaghe, cominciarono ad andarsi
appicciando per luoghi inaccessibili et ardui del selvatico monte, quale
pascendo un rubo, quale un arboscello che allora tenero spuntava da la terra;
alcuna si alzava per prendere un ramo di salce, altra andava rodendo le tenere
cime di querciole e di cerretti; molte, bevendo per le chiare fontane, si
rallegravano di vedersi specchiate dentro di quelle; in maniera che chi di
lontano vedute le avesse, avrebbe di leggiero potuto credere che pendesseno per
le scoverte ripe. 6 La quali cose mentre noi taciti con attento occhio
miravamo, non ricordandone di cantare né di altra cosa, ne parve subitamente da
lungi udire un suono come di piva e di naccari, mescolato con molti gridi e
voci altissime di pastori. Per che alzatine da sedere, rattissimi verso quella
parte del monte onde il rumore si sentiva ne drizzammo, e tanto per lo
inviluppato bosco andammo, che a quella pervenimmo. Ove trovati da dieci
vaccari, che intorno al venerando sepolcro del pastore Androgeo in cerchio
danzavano, a guisa che sogliono sovente i lascivi Satiri per le selve la mezza
notte saltare, aspettando che dai vicini fiumi escano le amate Ninfe, ne
ponemmo con loro inseme a celebrare il mesto officio. De' quali un più che gli
altri degno stava in mezzo del ballo, presso a l'alto sepolcro in uno altare
novamente fatto di verdi erbe. E quivi, secondo lo antico costume, spargendo
duo vasi di novo latte, duo di sacro sangue, e duo di fumoso e nobilissimo
vino, e copia abondevole di tenerissimi fiori di diversi colori; et
accordandosi con suave e pietoso modo al suono de la sampogna e de' naccari,
cantava distesamente le lode del
sepolto pastore: 7 - Godi, godi, Androgeo, e se dopo la morte a le
quiete anime è concesso il sentire, ascolta le parole nostre; e i solenni
onori, i quali ora i tuoi bifolci ti rendono, ovunque felicemente dimori,
benigno prendi et accetta. Certo io creggio che la tua graziosa anima vada ora
a torno a queste selve volando, e veda e senta puntalmente ciò che per noi oggi
in sua ricordazione si fa sovra la nova sepultura. La qual cosa se è pur vera,
or come può egli essere che a tanto chiamare non ne risponda? Deh, tu solevi
col dolce suono de la tua sampogna tutto il nostro bosco di dilettevole armonia
far lieto: come ora in picciol luogo richiuso, tra freddi sassi sei constretto
di giacere in eterno silenzio? Tu con le tue parole dolcissime sempre
ripacificavi le questioni de' litiganti pastori: come ora gli hai, partendoti,
lasciati dubbiosi e scontenti oltra modo? O nobile padre e maestro di tutto il
nostro stuolo, ove pari a te il troveremo? i cui ammaestramenti seguiremo noi?
sotto quale disciplina viveremo ormai securi? Certo io non so chi ne fia per lo
inanzi fidata guida nei dubbiosi casi. O discreto pastore, quando mai più le
nostre selve ti vedranno? quando per questi monti fia mai amata la giustizia,
la drittezza del vivere e la riverenza degli Dii? Le quai cose tutte sì
nobilmente sotto le tue ali fiorivano; per maniera che forse mai in nessun
tempo il riverendo Termino segnò più egualmente gli ambigui campi che nel tuo.
Oimè, chi nei nostri boschi omai canterà le Ninfe? chi ne darà più ne le nostre
avversità fidel consiglio? e ne le mestizie piacevole conforto e diletto, come
tu facevi, cantando sovente per le rive de' correnti fiumi dolcissimi versi?
Oimè, che appena i nostri armenti sanno senza la tua sampogna pascere per li
verdi prati; li quali mentre vivesti solevanosi dolcemente al suono di quella
ruminare l'erbe sotto le piacevoli ombre de le fresche elcine. Oimè, che nel
tuo dipartire si partirono inseme con teco da questi campi tutti li nostri Dii.
E quante volte dopo avemo fatto pruova di seminare il candido frumento, tante
in vece di quello avemo ricolto lo infelice loglio con le sterili avene per li
sconsolati solchi; et in luogo di viole e d'altri fiori sono usciti pruni con
spine acutissime e velenose per le nostre campagne. 8 Per la qual cosa,
pastori, gittate erbe e fronde per terra, e di ombrosi rami coprite i freschi
fonti, però che così vuole che in suo onore si faccia il nostro Androgeo. O
felice Androgeo, addio, eternamente addio! Ecco che il pastorale Apollo tutto
festivo ne viene al tuo sepolcro per adornarti con le sue odorate corone. E i
Fauni similmente con le inghirlandate corna, e carichi di silvestri duoni, quel
che ciascun può ti portano: de' campi le spiche, degli arbosti i racemi con
tutti i pampini, e di ogni albero maturi frutti. Ad invidia dei quali le
convicine Ninfe, da te per adietro tanto amate e riverite, vengono ora tutte
con canistri bianchissimi pieni di fiori e di pomi odoriferi a renderti i
ricevuti onori. E quel che maggiore è, e del quale più eterno duono a le
sepolte ceneri dare non si può, le Muse ti donano versi; versi ti donano le
Muse; e noi con le nostre sampogne ti cantamo e cantaremo sempre, mentre gli
armenti pasceranno per questi boschi. E questi pini e questi cerri e questi
piatani che dintorno ti stanno, mentre il mondo sarà, susurreranno il nome tuo;
e i tori parimente con tutte le paesane torme in ogni stagione avranno
riverenza a la tua ombra, e con alte voci muggendo ti chiameranno per le
rispondenti selve. Tal che da ora inanzi sarai sempre del numero de' nostri
Dii; e sì come a Bacco et a la santa
Cerere, così ancora a' tuoi altari i debiti sacrificii, se sarà freddo,
faremo al foco, se caldo, a le fresche ombre. E prima i velenosi tassi
sudaranno mèle dolcissimo, e i dolci fiori il faranno amaro; prima di inverno
si meteranno le biade, e di estate coglieremo le nere olive, che mai per queste
contrade si taccia la fama tua. 9 Queste parole finite, subitamente prese a
sonare una suave cornamusa che dopo le spalle li pendea; a la melodia de la
quale Ergasto, quasi con le lacrime <in> su gli occhi, così aperse le
labra a cantare:
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