Venuto Opico a la fine
del suo cantare, non senza gran diletto da tutta la brigata ascoltato, Carino
piacevolmente a me voltatosi, mi domandò chi e donde io era, e per qual cagione
in Arcadia dimorava. Al quale io, dopo un gran sospiro, quasi da necessità
constretto, così rispusi: 2 - Non posso, grazioso pastore, senza noia
grandissima ricordarmi de' passati tempi; li quali avegna che per me poco lieti
dir si possano, niente di meno avendoli a racontare ora che in maggiore
molestia mi trovo, mi saranno accrescimento di pena e quasi uno inacerbire di
dolore a la mal saldata piaga, che naturalmente rifugge di farsi spesso
toccare; ma perché lo sfogare con parole ai miseri suole a le volte essere alleviamento
di peso, il dirò pure. 3 Napoli, sì come ciascuno di voi molte volte può avere
udito, è ne la più fruttifera e dilettevole parte di Italia, al lito del mare
posta, famosa e nobilissima città, e di arme e di lettere felice forse quanto
alcuna altra che al mondo ne sia. La quale da popoli di Calcidia venuti sovra
le vetuste ceneri de la Sirena Partenope edificata, prese et ancora ritiene il
venerando nome de la sepolta giovene. 4 In quella dunque nacqui io, ove non da
oscuro sangue, ma, se dirlo non mi si disconviene, secondo che per le più
celebri parti di essa città le insegne de' miei predecessori chiaramente
dimostrano, da antichissima e generosa prosapia disceso, era tra gli altri miei
coetanei gioveni forse non il minimo riputato. E lo avolo del mio padre, da la
cisalpina Gallia, benché, se a' principii si riguarda, da la estrema Ispagna
prendendo origine, nei quali duo luoghi ancor oggi le reliquie de la mia
famiglia fioriscono, fu oltra a la nobilità de' maggiori per suoi proprii gesti
notabilissimo. Il quale, capo di molta gente con la laudevole impresa del terzo
Carlo ne l'ausonico regno venendo, meritò per sua virtù di possedere la antica
Sinuessa, con gran parte de' campi Falerni, e i monti Massici, inseme con la
picciola terra sovraposta al lito ove il turbulento Volturno prorumpe nel mare,
e Linterno, benché solitario, niente di meno famoso per la memoria de le
sacrate ceneri del divino Africano; senza che ne la fertile Lucania avea sotto
onorato titulo molte terre e castella, de le quali solo avrebbe potuto, secondo
che a la sua condizione si richiedeva, vivere abondantissimamente. Ma la
Fortuna, via più liberale in donare che sollicita in conservare le mondane
prosperità, volse che in discorso di tempo, morto il Re Carlo e 'l suo legittimo
successore Lanzilao, rimanesse il vedovo regno in man di femina. La quale da la
naturale inconstanzia e mobilità di animo incitata, agli altri suoi pessimi
fatti questo aggiunse, che coloro i quali erano stati e dal padre e dal
fratello con sommo onore magnificati, lei esterminando et umiliando annullò, e
quasi ad estrema perdizione ricondusse. Oltra di ciò quante e quali fussen le
necessitadi e gli infortunii che lo avolo e 'l padre mio soffersono, lungo
sarebbe a racontare, 5 Vegno a me adunque, il quale in quegli estremi anni che
la recolenda memoria del vittorioso Re Alfonso di Aragona passò da le cose
mortali a più tranquilli secoli, sotto infelice prodigio di comete, di
terremoto, di pestilenzia, di sanguinose battaglie nato et in povertà, o vero,
secondo i savii, in modesta fortuna nudrito; sì come la mia stella e i fati
volsono, appena avea otto anni forniti, che le forze di Amore a sentire
incominciai; e de la vaghezza di una
picciola fanciulla, ma bella e leggiadra più che altra che vedere mi
paresse giamai, e da alto sangue discesa, inamorato, con più diligenzia che ai
puerili anni non si conviene, questo mio desiderio teneva occolto. Per la qual
cosa colei, senza punto di ciò avvedersi, fanciullescamente meco giocando, di
giorno in giorno, di ora in ora più con le sue eccessive bellezze le mie tenere
medolle accendeva; intanto che con gli anni crescendo lo amore, in più adulta
età et a li caldi desii più inclinata pervenimmo. Né per tutto ciò la solita
conversazione cessando, anzi quella ognor più domesticamente ristringendosi, mi
era di maggiore noia cagione. Perché parendomi lo amore, la benivolenzia e la
affezzione grandissima da lei portatami, non essere a quel fine che io avrei
desiderato, e conoscendo me avere altro nel petto, che di fuori mostrare non mi
bisognava; né avendo ancora ardire di discoprirmegli in cosa alcuna, per non
perdere in un punto quel che in molti anni mi parea avere con industriosa
fatica racquistato; in sì fiera malinconia e dolore intrai, che 'l consueto
cibo e 'l sonno perdendone, più ad ombra di morte che ad uom vivo assomigliava.
De la qual cosa molte volte da lei domandato qual fusse la cagione, altro che
un sospiro ardentissimo in risposta non gli rendea. E quantunque nel
letticciuolo de la mia cameretta molte cose ne la memoria mi proponesse di
dirli, niente di meno quando in sua presenza era, impallidiva, tremava e
diveniva mutolo; in maniera che a molti forse, che ciò vedeano, diedi cagione
di sospettare. Ma lei, o che per innata bontà non se ne avvedesse giamai, o che
fusse di sì freddo petto che amore non potesse ricevere, o forse, quel che più
credibile è, che fusse sì savia che migliore di me sel sapesse nascondere, in
atti et in parole sovra di ciò semplicissima mi si mostrava. Per la qual cosa
io né di amarla mi sapea distraere, né dimorare in sì misera vita mi giovava.
Dunque per ultimo rimedio di più non stare in vita deliberai; e pensando meco
del modo, varie e strane condizioni di morte andai esaminando; e veramente o
con laccio, o con veleno, o vero con la tagliente spada avrei finiti li miei
tristi giorni, se la dolente anima da non so che viltà sovrapresa, non fusse
divenuta timida di quel che più desiderava. Dal che rivolto il fiero
proponimento in più regulato consiglio, presi per partito di abandonare Napoli
e le paterne case, credendo forse di lasciare amore e i pensieri inseme con
quelle. 6 Ma, lasso, che molto altrimente ch'io non avvisava mi avvenne; però
che se allora, veggendo e parlando sovente a colei che io tanto amo, mi
riputava infelice, sol pensando che la cagione del mio penare a lei non era
nota; ora mi posso giustamente sovra ogni altro chiamare infelicissimo,
trovandomi per tanta distanza di paese assente da lei, e forse senza speranza
di rivederla giamai, né di udirne novella che per me salutifera sia.
Massimamente ricordandomi in questa fervida adolescenzia de' piaceri de la
deliciosa patria tra queste solitudini di Arcadia, ove, con vostra pace il
dirò, non che i gioveni ne le nobili città nudriti, ma appena mi si lascia
credere che le selvatiche bestie vi possano con diletto dimorare. E se a me non
fusse altra tribulazione che la ansietà de la mente, la quale me continuamente
tene suspeso a diverse cose, per lo fervente desio ch'io ho di rivederla, non
potendolami né notte né giorno quale stia fatta riformare ne la memoria, si
sarebbe ella grandissima. 7 Io non veggio né monte né selva alcuna, che
tuttavia non mi persuada di doverlavi ritrovare, quantunque a pensarlo mi paia
impossibile. Niuna fiera né ucello né ramo vi sento movere, ch'io non mi gire paventoso per mirare se fusse dessa in
queste parti venuta ad intendere la misera vita ch'io sostegno per lei.
Similmente niuna altra cosa vedere vi posso, che prima non mi sia cagione di
rimembrarmi con più fervore e sollicitudine di lei. E mi pare che le concave
grotte, i fonti, le valli, i monti, con tutte le selve la chiamino, e gli alti
arbusti risoneno sempre il nome di lei. Tra i quali alcuna volta trovandomi io,
e mirando i fronzuti olmi circondati da le pampinose viti, mi corre amaramente
ne l'animo con angoscia incomportabile, quanto sia lo stato mio difforme da
quello degli insensati alberi, i quali, da le care viti amati, dimorano
continuamente con quelle in graziosi abracciari; et io per tanto spazio di
cielo, per tanta longinquità di terra, per tanti seni di mare dal mio desio
dilungato, in continuo dolore e lacrime mi consumo. 8 Oh quante volte e' mi
ricorda che vedendo per li soli boschi gli affettuosi colombi con suave
mormorio basciarsi, e poi andare desiderosi cercando lo amato nido, quasi da
invidia vinto ne piansi, cotali parole dicendo: «Oh felici voi, ai quali senza
suspetto alcuno di gelosia è concesso dormire e veghiare con secura pace! Lungo
sia il vostro diletto, lunghi siano i vostri amori; acciò che io solo di dolore
spettaculo possa a' viventi rimanere!». 9 Elli interviene ancora spesse fiate
che guardando io, sì come per usanza ho preso in queste vostre selve, i
vagabundi armenti, veggio tra i fertili campi alcun toro magrissimo appena con
le deboli ossa sostinere la secca pelle, il quale veramente senza fatica e
dolore inestimabile non posso mirare, pensando un medesmo amore essere a me et
a lui cagione di penosa vita. Oltra a queste cose mi soviene che fuggendo tal
ora io dal consorzio de' pastori, per poter meglio ne le solitudini pensare a'
miei mali, ho veduto la inamorata vaccarella andare sola per le alte selve
muggendo e cercando il giovene giovenco, e poi stanca gittarsi a la riva di
alcun fiume, dimenticata di pascere e di dar luogo a le tenebre de la oscura
notte; la qual cosa quanto sia a me che simile vita sostegno noiosa a
riguardare, colui solamente sel può pensare, che lo ha pruovato o pruova. Elli
mi viene una tristezza di mente incurabile, con una compassione grandissima di
me stesso, mossa da le intime medolle, la quale non mi lascia pelo veruno ne la
persona, che non mi si arricci; e per le raffreddate estremità mi si move un
sudore angoscioso, con un palpitare di core sì forte, che veramente s'io nol
desiderasse, temerei che la dolente anima se ne volesse di fuori uscire. 10 Ma
che più mi prolungo io in racontar quello che a ciascuno può essere manifesto?
Io non mi sento giamai da alcun di voi nominare «Sannazaro», quantunque cognome
a' miei predecessori onorevole stato sia, che, ricordandomi da lei essere stato
per adietro chiamato «Sincero», non mi sia cagione di sospirare. Né odo mai
suono di sampogna alcuna, né voce di qualunque pastore, che gli occhi miei non
versino amare lacrime; tornandomi a la memoria i lieti tempi, nei quali io le
mie rime e i versi allora fatti cantando, mi udia da lei sommamente comendare.
E per non andare ogni mia pena puntalmente racontando, niuna cosa m'aggrada,
nulla festa né gioco mi può non dico accrescere di letizia, ma scemare de le
miserie; a le quali io prego qualunque Idio esaudisce le voci de' dolorosi, che
o con presta morte, o con prospero succedimento ponga fine. - 11 Rispose allora
Carino al mio lungo parlare: 12 - Gravi sono i tuoi dolori, Sincero mio, e
veramente da non senza compassione grandissima ascoltarsi; ma dimmi, se gli Dii
ne le braccia ti rechino de la desiata donna, quali furon quelle rime, che non molto tempo è ti udii cantare ne la
pura notte? de le quali se le parole non mi fusseno uscite di mente, del modo
mi ricorderei. Et io in guidardone ti donerò questa sampogna di sambuco, la
quale io con le mie mani colsi tra monti asprissimi e da le nostre ville
lontani, ove non credo che voce giamai pervenisse di matutino gallo, che di
suono privata l'avesse; con la quale spero che, se da li fati non ti è tolto,
con più alto stile canterai gli amori di Fauni e di Ninfe nel futuro. E sì come
insino qui i principii de la tua adolescenzia hai tra semplici e boscarecci
canti di pastori infruttuosamente dispesi, così per lo inanzi la felice
giovenezza tra sonore trombe di poeti chiarissimi del tuo secolo, non senza
speranza di eterna fama trapasserai. - 13 E questo detto, si tacque; et io
l'usata lira sonando così cominciai:
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