Se le lunghe rime di
Fronimo e di Selvaggio porsono universalmente diletto a ciascuno de la nostra
brigata, non è da dimandare. A me veramente, oltra al piacere grandissimo,
commossono per forza le lacrime, udendo sì ben ragionare de l'amenissimo sito
del mio paese. Che già mentre quelli versi durarono, mi parea fermamente essere
nel bello e lieto piano che colui dicea; e vedere il placidissimo Sebeto, anzi
il mio napolitano Tevere, in diversi canali discorrere per la erbosa campagna,
e poi tutto inseme raccolto passare soavemente sotto le volte d'un picciolo
ponticello, e senza strepito alcuno congiungersi col mare. Né mi fu picciola
cagione di focosi sospiri lo intender nominare Baie e Vesuvio, ricordandomi de'
diletti presi in cotali luoghi. Coi quali ancora mi tornaro a la memoria i
soavissimi bagni, i maravigliosi e grandi edificii, i piacevoli laghi, le
dilettose e belle isolette, i sulfurei monti, e con la cavata grotta la felice
costiera di Pausilipo, abitata di ville amenissime e soavemente percossa da le
salate onde. Et appresso a questo, il fruttifero monte sovraposto a la città,
et a me non poco grazioso, per memoria degli odoriferi roseti de la bella Antiniana,
celebratissima Ninfa del mio gran Pontano. A questa cogitazione ancora si
aggiunse il ricordarmi de le magnificenzie de la mia nobile e generosissima
patria. La quale di tesori abondevole, e di ricco et onorato populo copiosa,
oltra al grande circuito de le belle mura, contiene in sé il mirabilissimo
porto, universale albergo di tutto il mondo; e con questo le alte torri, i
ricchi templi, i superbi palazzi, i grandi et onorati seggi de' nostri
patrizii, e le strade piene di donne bellissime e di leggiadri e riguardevoli
gioveni. Che dirò io de' giochi, de le feste, del sovente armeggiare, di tante
arti, di tanti studii, di tanti laudevoli esercizii? che veramente non che una
città, ma qualsivoglia provincia, qualsivoglia opulentissimo regno ne sarebbe
assai convenevolmente adornato. E sopra tutto mi piacque udirla comendare de'
studii de la eloquenzia e de la divina altezza de la poesia; e tra le altre
cose, de le merite lode del mio virtuosissimo Caracciolo, non picciola gloria
de le volgari Muse; la canzone del quale, e se per lo coverto parlare fu poco
da noi intesa, non rimase però che con attenzione grandissima non fusse da
ciascuno ascoltata. Altro che se forse da Ergasto, il quale, mentre quel
cantare durò, in una fissa e lunga cogitazione vidi profondamente occupato, con
gli occhi sempre fermati in quel sepolcro, senza moverli punto né battere
palpebra mai, a modo di persona alienata; et a le volte mandando fuori alcune
rare lacrime, e con le labra non so che fra se stesso tacitamente submormorando.
2 Ma finito il cantare, e da diversi in diversi modi interpretato, perché la
notte si appressava e le stelle cominciavano ad apparere nel cielo, Ergasto,
quasi da lungo sonno svegliato, si drizzò in piedi, e con pietoso aspetto vèr
noi volgendosi disse: 3 - Cari pastori, sì come io stimo, non senza voluntà
degli Dii la fortuna a questo tempo ne ha qui guidati; con ciò sia cosa che 'l
giorno, il quale per me sarà sempre acerbo e sempre con debite lacrime onorato,
è finalmente a noi con opportuno passo venuto; e compiesi dimane lo infelice
anno, che con vostro commune lutto e dolore universale di tutte le circonstanti
selve, le ossa de la vostra Massilia furono consecrate a la terra. Per la qual
cosa, sì tosto come il sole, fornita
questa notte, averà con la sua luce cacciate le tenebre, e gli animali
usciranno a pascere per le selve, voi similmente convocando gli altri pastori,
verrete qui a celebrar meco i debiti officii e i solenni giochi in memoria di
lei, secondo la nostra usanza. Ove ciascuno de la sua vittoria averà da me quel
dono, che da le mie facultà si puote espettare. - 4 E così detto, volendo Opico
con lui rimanere, perché vecchio era, non gli fu permesso; ma datigli alquanti
gioveni in sua compagna, la maggior parte di noi quella notte si restò con
Ergasto a veghiare. Per la qual cosa, essendo per tutto oscurato, accendemmo di
molte fiaccole intorno a la sepoltura, e sovra la cima di quella ne ponemmo una
grandissima, la quale forse da lunge a' riguardanti si dimostrava quasi una
chiara luna in mezzo di molte stelle. Così tutta quella notte tra fochi, senza
dormire, con suavi e lamentevoli suoni si passò; ne la quale gli ucelli ancora,
quasi studiosi di superarne, si sforzavano per tutti gli alberi di quel luogo a
cantare; e i silvestri animali, deposta la solita paura, come se demesticati
fusseno, intorno a la tomba giacendo, parea che con piacere maraviglioso ne
ascoltasseno. 5 E già in questo la vermiglia Aurora alzandosi sovra la terra,
significava a' mortali la venuta del sole, quando di lontano a suon di sampogna
sentimmo la brigata venire, e dopo alquanto spazio, rischiarandosi tuttavia il
cielo, gli cominciammo a scoprire nel piano; li quali tutti in schiera venendo
vestiti e coverti di frondi, con rami lunghissimi in mano, parevano da lungi a
vedere non uomini che venisseno, ma una verde selva che tutta inseme con gli
alberi si movesse vèr noi. A la fine giunti sovra al colle ove noi dimoravamo,
Ergasto ponendosi in testa una corona di biancheggianti ulivi, adorò prima il
sorgente sole: dopo a la bella sepoltura voltatosi, con pietosa voce,
ascoltando ciascuno, così disse: 6 - Materne ceneri, e voi castissime e
reverende ossa, se la inimica Fortuna il potere mi ha tolto di farve qui un
sepolcro eguale a questi monti, e circondarlo tutto di ombrose selve con cento
altari dintorno, e sovra a quelli ciascun matino cento vittime offrirvi, non mi
potrà ella togliere che con sincera voluntà et inviolabile amore questi pochi
sacrificii non vi renda e con la memoria e con le opre, quanto le forze si
stendono, non vi onore. - 7 E così dicendo, fe' le sante oblazioni, basciando
religiosamente la sepoltura. Intorno a la quale i pastori ancora collocarono i
grandi rami che in mano teneano, e chiamando tutti ad alta voce la divina
anima, ferono similmente i loro doni: chi uno agnello, chi uno favo di mèle,
chi latte, chi vino, e molti vi offersono incenso con mirra et altre erbe
odorifere. 8 Allora Ergasto, fornito questo, propose i premii a coloro che
correre volesseno; e facendosi venire un bello e grande ariete, le cui lane
eran bianchissime e lunghe tanto che quasi i piedi gli toccavano, disse: 9 -
Questo sarà di colui, a cui nel correre la sua velocità e la Fortuna
concederanno il primo onore. Al secondo è apparecchiata una nova e bella
fiscina, convenevole instrumento al sordido Bacco; e 'l terzo rimarrà contento
di questo dardo di genebro, il quale ornato di sì bel ferro, potrà e per dardo
servire e per pastorale bastone. - 10 A queste parole si ferono avanti Ofelia e
Carino, gioveni leggerissimi et usati di giungere i cervii per le selve; e dopo
questi, Logisto e Galicio, e 'l figliuolo di Opico chiamato Partenopeo, con
Elpino e Serrano, et altri lor compagni
più gioveni e di minore estima. E ciascuno postosi al dovuto ordine, non fu sì
tosto dato il segno, che ad un tempo tutti cominciarono a stendere i passi per
la verde campagna con tanto impeto, che veramente saette o fólgori avresti
detto che stati fusseno; e tenendo sempre gli occhi fermi ove arrivare
intendeano, si sforzava ciascuno di avanzare i compagni. Ma Carino con
maravigliosa leggerezza era già avanti a tutti. Appresso al quale ma di bona
pezza seguiva Logisto, e dopo Ofelia; a le cui spalle era sì vicino Galicio,
che quasi col fiato il collo gli riscaldava e i piedi in quelle medesme pedate
poneva, e se più lungo spazio a correre avuto avessono, lo si avrebbe senza
dubbio lasciato dopo le spalle. E già vincitore Carino poco avea a correre, che
la disegnata meta toccata avrebbe, quando, non so come, gli venne fallito un
piede, o sterpo o petra o altro che se ne fusse cagione; e senza potere punto
aitarsi, cadde subitamente col petto e col volto in terra. Il quale, o per
invidia non volendo che Logisto la palma guadagnasse, o che da vero levar si
volesse, non so in che modo ne l'alzarsi gli oppose davanti una gamba, e con la
furia medesma che colui portava, il fe' parimente a sé vicino cadere. Caduto
Logisto, cominciò Ofelia con maggiore studio a sforzare i passi per lo libero
campo, vedendosi già esser primo; a cui il gridare de' pastori e 'l plauso
grandissimo aggiungevano animo a la vittoria. Tal che arrivando finalmente al
destinato luogo, ottenne, sì come desiderava, la prima palma. E Galicio, che
più che gli altri appreso gli era, ebbe il secondo pregio, e 'l terzo
Partenopeo. 11 Qui con gridi e rumori cominciò Logisto a lamentarsi de la frode
di Carino, il quale opponendogli il piede, gli avea tolto il primo onore, e con
instanzia grandissima il dimandava. Ofelia in contrario diceva esser suo, e con
ambe le mani si tenea per le corna il guadagnato ariete. Le voluntà de' pastori
in diverse parti inclinavano, quando Partenopeo, figliuolo di Opico, sorridendo
disse: 12 - E se a Logisto date il primo dono, a me, che sono ora il terzo,
quale darete? - 13 A cui Ergasto con lieto volto rispose: 14 - Piacevolissimi
gioveni, i premii che già avuti avete, vostri saranno; a me fia licito aver
pietà de l'amico. - 15 E così dicendo, donò a Logisto una bella pecora con duo
agnelli. Il che vedendo Carino, ad Ergasto voltosi, disse: 16 - Se tanta pietà
hai degli amici caduti, chi più di me merita esser premiato? che senza dubbio
sarei stato il primo, se la medesma sòrte che nocque a Logisto, non fusse a me
stata contraria. - 17 E dicendo queste parole, mostrava il petto, la faccia e
la bocca tutta piena di polvere; per modo che movendo riso a' pastori, Ergasto
fe' venire un bel cane bianco, e tenendolo per le orecchie, disse: 18 - Prendi
questo cane, il cui nome è Asterion, nato d'un medesmo padre con quel mio
antico Petulco, il quale sovra tutti i cani fedelissimo et amorevole, meritò
per la sua immatura morte essere da me pianto, e sempre con sospiro
ardentissimo nominato. - 19 Acquetato era il rumore e 'l dire de' pastori,
quando Ergasto cacciò fuori un bel palo grande e lungo e ponderoso per molto ferro,
e disse: 20 - Per duo anni non arà mistiero di andare a la città né per zappe
né per pale né per vomeri colui che in trar questo sarà vincitore; ché 'l
medesmo palo gli sarà e fatica e premio. - 21 A queste parole Montano et Elenco
con Eugenio et Ursacchio si levarono in piedi; e passando avanti e postisi ad
ordine, cominciò Elenco ad alzare di
terra il palo; e poi che fra sé molto bene esaminato ebbe il peso di quello,
con tutte sue forze si mise a trarlo, né però molto da sé il poteo dilungare.
Il qual colpo fu sùbito segnato da Ursacchio; ma credendosi forse che in ciò
solo le forze bastare gli dovesseno, benché molto vi si sforzasse, il trasse
per forma che fe' tutti ridere i pastori, e quasi davanti ai piedi sel fe'
cadere. Il terzo che 'l tirò fu Eugenio, il quale di bono spazio passò i duo
precedenti. Ma Montano, a cui l'ultimo tratto toccava, fattosi un poco avanti,
si bassò in terra, e prima che il palo prendesse, due o tre volte dimenò la
mano per quella polvere; dopo, presolo, et aggiungendo alquanto di destrezza a
la forza, avanzò di tanto tutti gli altri, quanto due volte quello era lungo. A
cui tutti i pastori applausono, con ammirazione lodando il bel tratto che fatto
avea. Per la qual cosa Montano, presosi il palo, si ritornò a sedere. 22 Et
Ergasto fe' cominciare il terzo gioco, il quale fu di tal sòrte. Egli di sua
mano con un de' nostri bastoni fe' in terra una fossa, picciola tanto, quanto
solamente con un piè vi si potesse fermare un pastore, e l'altro tenere alzato,
come vedemo spesse volte fare a le grue. Incontro al quale un per uno
similmente con un piè solo aveano da venire gli altri pastori, e far prova di
levarlo da quella fossa e porvisi lui. Il perdere, tanto de l'una parte quanto
de l'altra, era toccare con quel piè che suspeso tenevano, per qualsivoglia
accidente, in terra. Ove si videro di molti belli e ridiculi tratti, ora
essendone cacciato uno et ora un altro. Finalmente toccando ad Ursacchio di
guardare il luogo, e venendoli un pastore molto lungo davanti, sentendosi lui ancora
scornato del ridere de' pastori, e cercando di emendare quel fallo che nel
trare del palo commesso avea cominciò a servirse de le astuzie, e bassando in
un punto il capo, con grandissima prestezza il puse tra le cosce di colui che
per attaccarsi con lui gli si era appressato; e senza fargli pigliar fiato, sel
gettò con le gambe in aere per dietro le spalle, e sì lungo come era, il
distese in quella polvere. La maraviglia, le risa e i gridi de' pastori furono
grandi. Di che Ursacchio prendendo animo, disse: 23 - Non possono tutti gli
uomini tutte le cose sapere. Se in una ho fallato, ne l'altra mi basta avere
ricoprato lo onore. - 24 A cui Ergasto ridendo affermò che dicea bene; e
cavandosi dal lato una falce delicatissima col manico di bosso, non ancora
adoprata in alcuno esercizio, gliela diede. 25 E sùbito ordinò i premii a
coloro che lottare volessono, offrendo di dare al vincitore un bel vaso di
legno di acero, ove per mano del padoano Mantegna, artefice sovra tutti gli
altri accorto et ingegnosissimo, eran dipinte molte cose; ma tra l'altre una
Ninfa ignuda, con tutti i membri bellissimi, dai piedi in fuori, che erano come
quegli de le capre. La quale sovra un gonfiato otre sedendo, lattava un
picciolo Satirello, e con tanta tenerezza il mirava, che parea che di amore e
di carità tutta si struggesse; e 'l fanciullo ne l'una mammella poppava, ne
l'altra tenea distesa la tenera mano, e con l'occhio la si guardava, quasi
temendo che tolta non gli fosse. Poco discosto da costoro si vedean duo
fanciulli pur nudi, i quali avendosi posti duo volti orribili di mascare,
cacciavano per le bocche di quelli le picciole mani, per porre spavento a duo
altri che davanti gli stavano; de' quali l'uno fuggendo si volgea indietro e
per paura gridava, l'altro caduto già in terra piangeva, e non possendosi
altrimente aitare, stendeva la mano per
graffiarli. Ma di fuori del vaso correva a torno a torno una vite carica
di mature uve; e ne l'un de' capi di quella un serpe si avolgeva con la coda, e
con la bocca aperta venendo a trovare il labro del vaso, formava un bellissimo
e strano manico da tenerlo. 26 Incitò molto gli animi de' circonstanti a dovere
lottare la bellezza di questo vaso; ma pure stettono a vedere quello che i
maggiori e più reputati facessono. Per la qual cosa Uranio, veggendo che
nessuno ancora si movea, si levò sùbito in piedi e spogliatosi il manto,
cominciò a mostrare le late spalle. Incontro al quale animosamente uscì
Selvaggio, pastore notissimo e molto stimato fra le selve. La espettazione de'
circonstanti era grande, vedendo duo tali pastori uscire nel campo. Finalmente
l'un verso l'altro approssimatosi, poi che per bono spazio riguardati si ebbero
dal capo insino ai piedi, in un impeto furiosamente si ristrinsero con le forti
braccia; e ciascuno deliberato di non cedere, parevano a vedere duo rabbiosi
orsi o duo forti tori, che in quel piano combattessono. E già per ogni membro
ad ambiduo correva il sudore, e le vene de le braccia e de le gambe si
mostravano maggiori e rubiconde per molto sangue; tanto ciascuno per la
vittoria si affaticava. Ma non possendosi in ultimo né gittare né dal luogo
movere, e dubitando Uranio che a coloro, i quali intorno stavano, non
rincrescesse lo aspettare, disse: - Fortissimo et animosissimo Selvaggio, il
tardare, come tu vedi, è noioso: o tu alza me di terra, o io alzarò te; e del
resto lassiamo la cura agli Dii -; e così dicendo il sospese da terra. Ma
Selvaggio, non dimenticato de le sue astuzie, gli diede col talone dietro a la
giuntura de le ginocchia una gran botta, per modo che facendoli per forza
piegare le gambe il fe' cadere sopino, e lui senza potere aitarsi gli cadde di
sopra. Allora tutti i pastori maravigliati gridarono. Dopo questo, toccando la
sua vicenda a Selvaggio di dovere alzare Uranio, il prese con ambedue le
braccia per mezzo; ma per lo gran peso e per la fatica avuta non possendolo
sustinere, fu bisogno, quantunque molto vi si sforzasse, che ambiduo così
giunti cadessono in quella polvere. A l'ultimo alzatisi, con malo animo si
apparecchiavano a la terza lotta. Ma Ergasto non volse che le ire più avanti
procedessono, et amichevolmente chiamatili, gli disse: 27 - Le vostre forze non
son ora da consumarsi qui per sì picciolo guidardone. Eguale è di ambiduo la
vittoria, et eguali doni prenderete. - 28 E così dicendo, a l'uno diede il bel
vaso, a l'altro una cetara nova, parimente di sotto e di sopra lavorata e di
dolcissimo sòno; la quale egli molto cara tenea per mitigamento e conforto del
suo dolore. 29 Avevano per aventura la precedente notte i compagni di Ergasto
dentro la mandra preso un lupo; e per una festa il tenean così vivo legato ad
un di quegli alberi. Di questo pensò Ergasto dover fare in quel giorno lo
ultimo gioco; et a Clonico voltandosi, il quale per niuna cosa ancora levato si
era da sedere, gli disse: 30 - E tu lasserai oggi così inonorata la tua
Massilia, che in sua memoria non abbii di te a mostrare prova alcuna? Prendi,
animoso giovene, la tua fronda, e fa conoscere agli altri che tu ancora ami
Ergasto. - 31 E questo dicendo, a lui et agli altri mostrò il legato lupo, e
disse: 32 - Chi per difendersi da le piogge del guazzoso verno desidera un
cucullo o tabarro di pelle di lupo, adesso con la sua fionda in quel versaglio
sel può guadagnare. - 33 Allora Clonico e Partenopeo e Montano, poco
avanti vincitore nel palo, con Fronimo
cominciarono a scingersi le fionde et a scoppiare fortissimamente con quelle; e
poi gittate fra loro le sòrti, uscì prima quella di Montano, l'altra appresso
fu di Fronimo, la terza di Clonico, la quarta di Partenopeo. Montano adunque
lieto ponendo una viva selce ne la rete de la sua fronda, e con tutta sua forza
rotandolasi intorno al capo, la lasciò andare. La quale furiosamente stridendo
pervenne a dirittura ove mandata era; e forse a Montano avrebbe sovra al palo
portata la seconda vittoria, se non che il lupo impaurito per lo romore,
tirandosi indietro, si mosse dal luogo ove stava, e la pietra passò via.
Appresso a costui tirò Fronimo, e benché indrizzasse bene il colpo verso la
testa del lupo, non ebbe ventura in toccarla, ma vicinissimo andandoli, diede
in quel albero e levògli un pezzo de la scorza; e 'l lupo tutto atterrito fe'
movendosi grandissimo strepito. In questo parve a Clonico di dovere aspettare
che 'l lupo si fermasse, e poi sì tosto come quieto il vide, liberò la pietra;
la quale drittissima verso quello andando, diede in la corda con che a l'albero
legato stava, e fu cagione che il lupo, facendo maggiore sforzo, quella
rumpesse. E i pastori tutti gridarono, credendo che al lupo dato avesse: ma quello
sentendosi sciolto, sùbito incominciò a fuggire. Per la qual cosa Partenopeo,
che tenea già la fionda in posta per tirare, vedendolo traversare per salvarsi
in un bosco che da la man sinestra gli stava, invocò in sua aita i pastorali
Dii; e fortissimamente lasciando andare il sasso, volse la sua sòrte che al
lupo, il quale con ogni sua forza intendeva a correre, ferì ne la tempia sotto
la manca orecchia, e senza farlo punto movere, il fe' sùbito morto cadere. Onde
ciascuno di maraviglia rimase attonito, et ad una voce tutto lo spettacolo
chiamò vincitore Partenopeo; et ad Opico volgendosi, che già per la nova
allegrezza piangea, si congratulavano, facendo maravigliosa festa. Et Ergasto
allora lieto fattosi incontro a Partenopeo, lo abbracciò, e poi coronandolo
d'una bella ghirlanda di fronde di baccari, gli diede per pregio un bel
cavriuolo, cresciuto in mezzo de le pecore et usato di scherzare tra i cani e
di urtare coi montoni, mansuetissimo e caro a tutti i pastori. Appresso a
Partenopeo, Clonico che rotto avea il legame del lupo, ebbe il secondo dono; il
quale fu una gabbia nova e bella, fatta in forma di torre, con una pica
loquacissima dentro, ammaestrata di chiamare per nome e di salutare i pastori;
per modo che chi veduta non la avesse, udendola solamente parlare, si avrebbe
per fermo tenuto che quella uomo fusse. Il terzo premio fu dato a Fronimo, che
con la pietra ferì ne l'albero presso a la testa del lupo; il quale fu una
tasca da tenere il pane, lavorata di lana mollissima e di diversi colori. Dopo
dei quali toccava a Montano l'ultimo pregio, quantunque al tirare stato fosse
il primo. A cui Ergasto piacevolmente e quasi mezzo sorridendo disse: 34 -
Troppo sarebbe oggi stata grande la tua ventura, Montano, se così ne la fionda
fossi stato felice, come nel palo fosti -; e così dicendo, si levò dal collo
una bella sampogna di canna fatta solamente di due voci, ma di grandissima
armonia nel sonare, e gliela diede; il quale lietamente prendendola ringraziò.
35 Ma forniti i doni, rimase ad Ergasto un delicatissimo bastone di pero
selvatico, tutto pieno di intagli e di varii colori di cera per mezzo, e ne la
sua sommità investito d'un nero corno di bufalo, sì lucente che veramente
avresti detto che di vetro stato fusse. Or questo bastone Ergasto il donò ad
Opico, dicendogli: 36 - E tu ancora ti ricorderai di Massilia, e per suo
amore prenderai questo dono, per lo
quale non ti sarà mistiero lottare, né correre, né fare altra prova. Assai per
te ha oggi fatto il tuo Partenopeo, il quale nel correre fu de' primi, e nel
trare de la fionda, senza controversia, è stato il primo. - 37 A cui Opico
allegro rendendo le debite grazie, così rispose: 38 - I privilegii de la
vecchiezza, figliuol mio, son sì grandi, che, o vogliamo, o non vogliamo, semo
costretti di obedirli. Oh quanto ben fra gli altri mi avresti in questo giorno
veduto adoperare, se io fusse di quella età e forza che io era, quando nel
sepolcro di quel gran pastore Panormita furono posti i premii, sì come tu oggi
facesti, ove nessuno, né paesano né forastiero si possette a me agguagliare.
Ivi vinsi Crisaldo, figliuolo di Tirreno, ne le lotte; e nel saltare passai di
gran lunga il famoso Silvio; così ancora nel correre mi lasciai dietro Idalogo
et Ameto, i quali eran fratelli e di velocità e scioltezza di piedi avanzavano
tutti gli altri pastori. Solamente nel saettare fui superato da un pastore che
avea nome Tirsi; e questo fu per cagione che colui, avendo uno arco fortissimo
con le punte guarnite di corno di capra, possea con più securtà tirarlo che non
facea io, il quale di semplice tasso avendolo, dubitava di spezzarlo; e così mi
vinse. Allora era io fra' pastori, allora era io fra' gioveni conosciuto; ora
sovra di me il tempo usa le sue ragioni. Voi dunque a cui la età il permette,
vi esercitate ne le prove giovenili; a me e gli anni e la natura impongono
altre leggi. Ma tu, acciò che questa festa da ogni parte compita sia, prendi la
sonora sampogna, figliuol mio, e fa che colei che si allegrò d'averti dato al
mondo, si rallegri oggi di udirti cantare: e dal cielo con lieta fronte mire et
ascolte il suo sacerdote celebrare per le selve la sua memoria. 39 Parve ad
Ergasto sì giusto quello che Opico dicea, che senza farli altra risposta, prese
di man di Montano la sampogna che poco avanti donata li avea; e quella per bono
spazio con pietoso modo sonata, vedendo ciascuno con attenzione e silenzio
aspettare, non senza alcun sospiro mandò fuora queste parole:
|