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Iacobus Sannazarius
Arcadia

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  • Ecloga undicesima - Ergasto
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Ecloga undicesima - Ergasto

 

Poi che 'l soave stile e 'l dolce canto

sperar non lice più per questo bosco,

ricominciate, o Muse, il vostro pianto.

Piangi, colle sacrato, opaco e fosco,

e voi, cave spelunche e grotte oscure,

ululando venite a pianger nosco.

Piangete, faggi e querce alpestre e dure,

e piangendo narrate a questi sassi

le nostre lacrimose aspre venture.

Lacrimate voi, fiumi ignudi e cassi

d'ogni dolcezza; e voi, fontane e rivi,

fermate il corso e ritenete i passi.

E tu, che fra le selve occolta vivi,

Eco mesta, rispondi a le parole,

e quant'io parlo per li tronchi scrivi.

Piangete, valli abandonate e sole;

e tu, terra, depingi nel tuo manto

i gigli oscuri e nere le viole.

La dotta Egeria e la tebana Manto

con sùbito furor Morte n'ha tolta.

Ricominciate, Muse, il vostro pianto.

E se tu, riva, udisti alcuna volta

umani affetti, or prego che accompagni

la dolente sampogna, a pianger volta.

O erbe, o fior, che un tempo eccelsi e magni

re foste al mondo, et or per aspra sòrte

giacete per li fiumi e per li stagni,

venite tutti meco a pregar Morte,

che, se esser può, finisca le mie doglie,

e gli rincresca il mio gridarforte.

Piangi, Iacinto, le tue belle spoglie,

e radoppiando le querele antiche,

descrivi i miei dolori in le tue foglie.

E voi, liti beati e piagge apriche,

ricordate a Narcisso il suo dolore,

se giamai foste di miei preghi amiche.

Non verdeggi per campi erbafiore,

né si scerna più in rosa o in amaranto

quel bel vivo leggiadro almo colore.

Lasso, chi può sperar più gloria o vanto?

Morta è la , morto è 'l giudicio fido.

Ricominciate, Muse, il vostro pianto.

E mentre sospirando indarno io grido.

voi, ucelletti inamorati e gai,

uscite, prego, da l'amato nido.

O Filomena, che gli antichi guai

rinovi ogni anno, e con soavi accenti

da selve e da spelunche udir ti fai;

e se tu, Progne, è ver c'or ti lamenti

né con la forma ti fur tolti i sensi,

ma del tuo fallo ancor ti lagni e penti;

lasciate, prego, i vostri gridi intensi,

e fin che io nel mio dir diventi roco,

nessuna del suo mal ragione o pensi.

Ahi, ahi, seccan le spine; e poi che un poco

son state a ricoprar l'antica forza,

ciascuna torna e nasce al proprio loco.

Ma noi, poi che una volta il ciel ne sforza,

ventosol, né pioggia o primavera

basta a tornarne in la terrena scorza.

E 'l sol fuggendo ancor da mane a sera,

ne mena i giorni e 'l viver nostro inseme

e lui ritorna pur come prima era.

Felice Orfeo, che inanzi l'ore estreme,

per ricoprar colei che pianse tanto,

securo andò dove più andar si teme!

Vinse Megera, vinse Radamanto;

a pietà mosse il re del crudo regno.

Ricominciate, Muse, il vostro pianto.

Or perché, lasso, al suon del curvo legno

temprar non lice a me sì meste note,

ch'impetri grazia del mio caro pegno?

E se le rime mie non son sì note

come quelle d'Orfeo, pur la pietade

dovrebbe farle in ciel dolci e devote.

Ma se schernendo nostra umanitade

lei schifasse il venir, sarei ben lieto

di trovar all'uscir chiuse le strade.

O desir vano, o mio stato inquieto!

E so pur che con erba o con incanto

mutar non posso l'immortal decreto.

Ben può quel nitido uscio d'elefanto

mandarmi in sogno il volto e la favella.

Ricominciate, Muse, il vostro pianto.

Ma ristorar non può né darmi quella

che cieco mi lasciò senza il suo lume,

tòrre al cielperegrina stella.

Ma tu, ben nato aventuroso fiume,

convoca le tue Ninfe al sacro fondo,

e rinova il tuo antico almo costume.

Tu la bella Sirena in tutto il mondo

facesti nota con sì altera tomba:

quel fu 'l primo dolor, quest'è 'l secondo.

Fa che costei ritrove un'altra tromba

che di lei cante, acciò che s'oda sempre

il nome che da se stesso rimbomba.

E se per pioggia mai non si distempre

il tuo bel corso, aita in qualche parte

il rozzo stil, sì che pietade il tempre.

Non che sia degno da notarsi in carte,

ma che sul reste qui tra questi faggi,

così colmo d'amor, privo d'ogn'arte;

acciò che in questi tronchi aspri e selvaggi

leggan gli altri pastor che qui verranno

i bei costumi e gli atti onesti e saggi;

e poi crescendo ognor più di anno in anno,

memoria sia di lei fra selve e monti,

mentre erbe in terra e stelle in ciel saranno.

Fiere, ucelli, spelunche, alberi e fonti,

uomini e Dei quel nome eccelso e santo

esalteran con versi alteri e conti.

E perché al fine alzar conviemmi alquanto,

lassando il pastoral ruvido stile,

ricominciate, Muse, il vostro pianto.

Non fa per me più suono oscuro e vile,

ma chiaro e bello, che dal ciel l'intenda

quella altera ben nata alma gentile.

Ella coi raggi suoi fin qui si stenda,

ella aita mi porga, e mentre io parlo,

spesso a vedermi per pietà discenda.

E se 'l suo stato è tal, che a dimostrarlo

la lingua manche, a se stessa mi scuse,

e m'insegne la via d'in carte ornarlo.

Ma tempo ancor verrà che l'alme Muse

saranno in pregio; e queste nebbie et ombre

dagli occhi de' mortai fien tutte escluse.

Allor pur converrà c'ognuno sgombre

da sé questi pensier terreni e loschi,

e di salde speranze il cor s'ingombre.

Ove so che parranno incolti e foschi

i versi miei, ma spero che lodati

saran pur da' pastori in questi boschi.

E molti che oggi qui non son pregiati,

vedranno allor di fior vermigli e gialli

descritti i nomi lor per mezzo i prati.

E le fontane e i fiumi per le valli

mormorando diran quel c'ora io canto

con rilucenti e liquidi cristalli.

E gli alberi c'or qui consacro e pianto,

risponderanno al vento sibilando.

Ponete fine, o Muse, al vostro pianto.

Fortunati i pastor che, desiando

di venir in tal grado, han poste l'ale!

benché nostro non sia sapere il quando.

Ma tu, più c'altra, bella et immortale

anima, che dal ciel forse m'ascolti

e mi dimostri al tuo bel coro eguale,

impetra a questi lauri ombrosi e folti

grazia, che con lor sempre verdi fronde

possan qui ricoprirne ambo sepolti.

Et al soave suon di lucide onde

il cantar degli ucelli ancor si aggiunga,

acciò che il luogo d'ogni grazia abonde.

Ove, se 'l viver mio pur si prolunga

tanto, che, com'io bramo, ornar ti possa,

e da tal voglia il ciel non mi disgiunga,

spero che sovra te non avrà possa

quel duro, eterno, ineccitabil sonno

d'averti chiusa in così poca fossa;

se tanto i versi miei prometter ponno.

 

 

 




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