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Iacobus Sannazarius
Arcadia

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  • A la Sampogna
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A la Sampogna

 

Ecco che qui si compieno le tue fatiche, o rustica e boscareccia sampogna, degna per la tua bassezza di non da più colto, ma da più fortunato pastore che io non sono, esser sonata. Tu a la mia bocca et a le mie mani sei non molto tempo stata piacevole esercizio, et ora, poi che così i fati vogliono, imporrai a quelle con lungo silenzio forse eterna quiete. Con ciò sia cosa che a me conviene, prima che con esperte dite sappia misuratamente la tua armonia esprimere, per malvagio accidente da le mie labra disgiungerti, e, quali che elle si siano, palesare le indòtte note, atte più ad appagare semplici pecorelle per le selve, che studiosi popoli per le cittadi; facendo sì come colui che offeso da notturni furti nei suoi giardini, coglie con isdegnosa mano i non maturi frutti dai carichi rami; o come il duro aratore, il quale dagli alti alberi inanzi tempo con tutti i nidi si affretta a prendere i non pennuti ucelli, per tema che da serpi o da pastori non gli siano preoccupati. Per la qual cosa io ti prego, e quanto posso ti ammonisco, che de la tua selvatichezza contentandoti, tra queste solitudini ti rimanghi. 2 A te non si appertiene andar cercando gli alti palagi de préncipi, né le superbe piazze de le populose cittadi, per avere i sonanti plausi, gli adombrati favuri, o le ventose glorie, vanissime lusinghe, falsi allettamenti, stolte et aperte adulazioni de l'infido volgo. Il tuo umile suono mal si sentirebbe tra quello de le spaventevoli buccine o de le reali trombe. Assai ti fia qui tra questi monti essere da qualunque bocca di pastori gonfiata, insegnando le rispondenti selve di risonare il nome de la tua donna, e di piagnere amaramente con teco il duro et inopinato caso de la sua immatura morte, cagione efficacissima de le mie eterne lacrime e de la dolorosa et inconsolabile vita ch'io sostegno; se pur si può dir che viva, chi nel profondo de le miserie è sepelito. 3 Dunque, sventurata, piagni; piagni, che ne hai ben ragione. Piagni, misera vedova; piagni, infelice e denigrata sampogna, priva di quella cosa che più cara dal cielo tenevi. Né restar mai di piagnere e di lagnarti de le tue crudelissime disventure, mentre di te rimanga calamo in queste selve; mandando sempre di fuori quelle voci, che al tuo misero e lacrimevole stato son più conformi. E se mai pastore alcuno per sòrte in cose liete adoprar ti volesse, fagli prima intendere che tu non sai se non piagnere e lamentarti, e poi con esperienzia e veracissimi effetti esser così gli dimostra, rendendo continuamente al suo soffiare mesto e lamentevole suono; per forma che temendo egli di contristare le sue feste, sia costretto allontanartesi da la bocca, e lasciarti con la tua pace stare appiccata in questo albero, ove io ora con sospiri e lacrime abondantissime ti consacro in memoria di quella, che di avere infin qui scritto mi è stata potente cagione; per la cui repentina morte la materia or in tutto è mancata a me di scrivere, et a te di sonare. 4 Le nostre Muse sono estinte; secchi sono i nostri lauri; ruinato è il nostro Parnaso; le selve son tutte mutole; le valli e i monti per doglia son divenuti sordi. Non si trovano più Ninfe o Satiri per li boschi; i pastori han perduto il cantare; i greggi e gli armenti appena pascono per li prati, e coi lutulenti piedi per isdegno conturbano i liquidi fonti, né si degnano, vedendosi mancare il latte, di nudrire più i parti loro. Le fiere similmente abandonano le  usate caverne; gli ucelli fuggono dai dolci nidi; i duri et insensati alberi inanzi a la debita maturezza gettano i lor frutti per terra; e i teneri fiori per le meste campagne tutti communemente ammarciscono. Le misere api dentro ai loro favi lasciano imperfetto perire lo incominciato mèle. Ogni cosa si perde, ogni speranza è mancata, ogni consolazione è morta. 5 Non ti rimane altro omai, sampogna mia, se non dolerti, e notte e giorno con ostinata perseveranza attristarti. Attrìstati adunque, dolorosissima; e quanto più puoi, de la avara morte, del sordo cielo, de le crude stelle, e de' tuoi fati iniquissimi ti lamenta. E se tra questi rami il vento per aventura movendoti ti donasse spirito, non far mai altro che gridare, mentre quel fiato ti basta. 6 Né ti curare, se alcuno usato forse di udire più esquisiti suoni, con ischifo gusto schernisse la tua bassezza o ti chiamasse rozza; ché veramente, se ben pensi, questa è la tua propria e principalissima lode, pur che da' boschi e da' luoghi a te convenienti non ti diparta. Ove ancora so che non mancheran di quegli, che con acuto giudicio esaminando le tue parole, dicano te in qualche luogo non bene aver servate le leggi de' pastori, né convenirsi ad alcuno passar più avanti che a lui si appertiene. A questi, confessando ingenuamente la tua colpa, voglio che rispondi, niuno aratore trovarsi mai sì esperto nel far de' solchi, che sempre prometter si possa, senza deviare, di menarli tutti dritti. Benché a te non picciola scusa fia, lo essere in questo secolo stata prima a risvegliare le adormentate selve, et a mostrare a' pastori di cantare le già dimenticate canzoni. Tanto più che colui il quale ti compose di queste canne, quando in Arcadia venne, non come rustico pastore ma come coltissimo giovene, benché sconosciuto e peregrino di amore, vi si condusse. Senza che in altri tempi sono già stati pastoriaudaci, che insino a le orecchie de' romani consuli han sospinto il loro stile; sotto l'ombra de' quali potrai tu, sampogna mia, molto ben coprirti e difendere animosamente la tua ragione. 7 Ma se forse per sòrte alcun altro ti verrà avanti di più benigna natura, il quale con pietà ascoltandoti mandi fuori qualche amica lacrimetta, porgi subitamente per lui efficaci preghi a Dio, che ne la sua felicità conservandolo, da queste nostre miserie lo allontane. Ché veramente chi de le altrui avversità si dole, di se medesmo si ricorda. Ma questi io dubito saranno rari e quasi bianche cornici; trovandosi in assai maggior numero copiosa la turba de' detrattori. Incontra ai quali io non so pensare quali altre arme dar mi ti possa, se non pregarti caramente, che quanto più puoi rendendoti umile, a sustinere con pazienzia le lor percosse ti disponghi. Benché mi pare esser certo, che tal fatica a te non fia necessaria, se tu tra le selve, sì come io ti impongo, secretamente e senza pompe star ti vorrai. Con ciò sia cosa che chi non sale, non teme di cadere; e chi cade nel piano, il che rare volte adiviene, con picciolo agiuto de la propria mano, senza danno si rileva. Onde per cosa vera et indubitata tener ti puoi, che chi più di nascoso e più lontano da la moltitudine vive, miglior vive; e colui tra' mortali si può con più verità chiamar beato, che senza invidia de le altrui grandezze, con modesto animo de la sua fortuna si contenta.




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