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Iacobus Sannazarius Arcadia IntraText CT - Lettura del testo |
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Ecloga ottava - Eugenio, Clonico
EUGENIO Ove sì sol con fronte esangue e palida su l'asinello or vaine, e malinconico, con chiome irsute e con la barba squalida? Qualunque uom ti vedesse andar sì erronico, di duol sì carco, in tanta amaritudine, certo direbbe: - Questi non par Clonico. - Forse che per fuggir la solitudine or cerchi le cittadi, ove Amor gemina suo' strai temprati ne la calda incudine? Nell'onde solca e nell'arene semina, e 'l vago vento spera in rete accogliere chi sue speranze funda in cor di femina.
CLONICO Eugenio, s'io potrò mai l'alma sciogliere o rallentar dal laccio iniquo et orido, tal ch'io possa dal giogo il collo estogliere, selva alcuna non fia né campo florido senza il mio canto, tal che e Fauni e Driadi diran che viva ancor Dameta e Corido. Le Naiadi, Napee et Amadriadi, e i Satiri e i Silvani desterannosi per me dal lungo sonno, e le Tespiadi: e poi per mano in giro prenderannosi, discinti e scalzi, sovra l'erbe tenere; e mille canzonette ivi uderannosi. E 'l fier fanciullo e la spietata Venere, vinti di doglia, si daranno il biasimo, e non potran goder de la mia cenere. Lasso, che 'n ciò pensando ognora spasimo: sarà mai di ch'io possa dir fra' liberi: «Mercé del ciel, dal gran periglio evasimo»?
EUGENIO Di state secchi pria mirti e giuniberi, e i fior vedrò di verno al ghiaccio sorgere, che tu mai impetri quel che in van deliberi. Se Amore è cieco, non può il vero scorgere: chi prende il cieco in guida, mal consigliasi; s'è ignudo, uom che non ha, come può porgere? Questa vita mortale al dì somigliasi, il qual, poi che si vede giunto al termine, pien di scorno all'occaso rinvermigliasi. Così, quando vecchiezza avvien che termine i mal spesi anni che sì ratti volano vergogna e duol convien c'al cor si germine. A che le menti cieche si consolano, s'e' nostri affanni un fumo al fin diventano, e l'ore ladre i nostri beni involano? Dunque è ben tempo omai che si risentano i spirti tuoi sepolti anzi l'esequie nel fango; onde convien c'al fin si pentano. E se a te stesso non dai qualche requie, che spene aràn gli strani? E se 'l cor misero non può gioir, ragion è ben che arrequie. Quante fiate del tuo error sorrisero i monti e i fiumi! e se 'l tuo duol compunseli, quei corser per pietà, questi s'affisero.
CLONICO O felici color che amor congiunseli in vita e 'n morte, in un voler non vano, né invidia o gelosia giamai disgiunseli! Sovra un grand'olmo iersera e solitario due turturelle vidi il nido farnosi: et a me solo è il ciel tanto contrario. Quando io le vidi, oimè, sì amiche starnosi, se respirai non so, ma il duol sì avinsemi, c'appena in terra i piè potean fermarnosi. Dirollo o taccio? In tanto il duol sospinsenli, ch'io fui per appiccarmi sovra un piatano, et Ifi inanzi agli occhi Amor dipinsemi.
EUGENIO A quanti error gli amanti orbi non guatano! Col desio del morir la vita sprezzano; tanto a ciascun le sue sciocchezze aggratano. E pria mutan il pel, poi che s'avezzano, che muten voglia; tal che un dolce ridere et un bel guardo più c'un gregge apprezzano. Talor per ira o sdegno volno incidere lo stame che le Parche al fuso avolgono, e con amor da sé l'alma dividere. Braman tornare adietro, e non si volgono; né per foco arden, né per gelo agghiacciano, ma senza alcun dolor sempre si dolgono. Cercan fuggire Amore, e pur lo abbracciano; se questa è vita o morte, io non comprendola, ché chiaman libertade, e più s'allacciano.
CLONICO Pur mi si para la spietata Amendola dinanzi agli occhi, e par c'al vento movasi la trista Filli esanimata e pendola. Se spirto al mondo di pietà ritrovasi, per dio, quest'alma liberar consentami, ché miglior vita del morir non provasi. O terra, tu che puoi, terra, contentami: tranghiotti il tristo corpo in le tue viscere, sì che uom mai non ne trove orma, né sentami. O fólgori che fate il ciel tremiscere, venite a quel che ad alta voce chiàmavi, e vòl, se può, di disamare addiscere. Correte, o fiere, a quel che tanto bràmavi e voi, pastor, piangete il tristo esìcio di quel che con sua morte tutti infàmavi. Voi userete in me il pietoso officio, e fra' cipressi mi farete un tumolo, che sia nel mondo di mia morte indicio. Allor le rime, c'a mal grado accumolo, farete meco in cenere risolvere, ornando di ghirlande il mesto cumolo. Allor vi degnarete i passi volvere, cantando, al mio sepolcro; allor direteme: - Per troppo amar altrui, sei ombra e polvere. - E forse alcuna volta mostrareteme a quella cruda c'or m'incende e struggemi, e 'ndarno al sordo sasso chiamareteme.
EUGENIO Un orso in mezzo l'alma, un leon ruggemi, Clonico mio, sentendo il tuo ramarico, che quasi d'ogni vena il sangue suggemi. E s'io le leggi al tuo signor prevarico, prendi il consiglio del tuo fido Eugenio, ché vivrai lieto e di tal peso scarico. Ama il giocondo Apollo e 'l sacro Genio, et odia quel crudel che sì ti strazia, ch'è danno in gioventù, vergogna al senio. Allora il nostro Pan colmo di grazia con l'alma Pale aumenterà 'l tuo numero, tal che la mente tua ne fia ben sazia. E non ti sdegnerai portar su l'umero la cara zappa, e pianterai la neputa, l'asparago, l'aneto e 'l bel cucumero. E 'l tempo sol in ciò disponi e deputa; ché non s'acquista libertà per piangere, e tanto è miser l'uom, quant'ei si reputa. E poi cominciarai col rastro a frangere la dura terra, e sterperai la lappola, che le crescenti biade suol tant'angere. Io con la rete ucello e con la trappola, per non marcir ne l'ocio, e tendo insidie a la mal nata volpe, e spesso incappola. Così si scaccia amor; così le invidie de' pastor neghittosi si postergano; così si spregia il mondo e sue perfidie. Così convien c'al tutto si dispergano l'amorose speranze ardite et avide, che ne le menti semplicette albergano. Or pensa alquanto a le tue capre gravide, che per tema de' lupi che le assaltano fuggon da' cani, più che cervi pavide. Vedi le valli e i campi che si smaltano di color mille; e con la piva e 'l crotalo intorno ai fonti i pastor lieti saltano. Vedi il monton di Frisso, e segna e notalo, Clonico dolce, e non ti vinca il tedio; ché 'n pochi dì convien che 'l sol percotalo, Caccia i pensier che t'han già posto assedio, e che ti fan dì e notte andar fantastico; ché al mondo mal non è senza rimedio. E pria ch'io parlo, le parole mastico,
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