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Franco Sacchetti
Trecentonovelle

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133 - Uberto degli Strozzi, essendo de' Priori, al tempo che lo Imperadore Carlo passò a pigliare la corona, in uno con due piacevoli detti quella tristizia fa convertire in risa.

 

Quando lo imperadore Carlo re di Buem passò in Italia a pigliare la corona, essendo in Italia molto prosperato, e spezialmente in Toscana, avendo Pisa e Siena e Lucca, a' Fiorentini parea stare assai male. Era fra quelli tempi de' priori Uberto degli Strozzi e Salvino Beccanugi, e altri loro compagni; li quali facendo un consiglio di richesti, ed essendo molti cittadini ragunati nella sala, e confortandosi per li savi la gente; dicendo alcuni esso, per non aver denari, convenirsi tosto partire di Toscana; altri diceano: «Di maggiori pericoli siamo campati”; e confortavasi la brigata molto con gli aglietti, Uberto degli Strozzi che era de' priori, era uno uomo antico e piacevolissimo quanto avesse la nostra città, e con questo era molto povero; Salvino Beccanugi era anco poverissimo. Di che essendo nel consiglio de' richiesti per li consiglieri detto quanto facea di bisogno; Uberto degli Strozzi per l'ufficio de' priori si levò su, e disse:

- Savi consiglieri, i Signori hanno udito li vostri consigli, e veggendogli molto uniti n'hanno preso grandissimo conforto, pensando tosto metterli ad esecuzione. Una cosa vi voglio dire come Uberto: il diavolo non è nero come si dipigne. Questo imperadore ci può star molti , come volare per aria; però che veramente sappiamo ch'egli è più povero che non è Salvino Beccanugi, che è qui nostro compagno.

Salvino era molto antico: sente dire questo a Uberto, levasi e faglisi incontro, dicendo:

- Che di' tu, che di' tu di me? che povero? io sono più ricco di te.

Ed erainfiammato che Uberto non potea fare conclusione al suo dire; e dice:

- Per dire il vero, non sono lasciato dire: Salvino m'interrompe il dire; apri la porta, e andatevi con Dio.

Or di questo Salvino non si potea dar pace, perché rimase tutto scornato, contendendo con Uberto. E Uberto li dicea:

- Deh, Salvino, dattene pace; che così foss'io ricco io, come tu se' de' più poveri uomeni ch'io sappia.

E Salvino più infiammava. E durò la detta questione tanto che, tornati nella udienza, fece il proposto venire un buon vino e de' confetti, e fece far pace insieme a quelli due poveri gentiluomeni. E quel medesimo, essendo andato Rosso de' Ricci, che poi fu messer Rosso, a provvedere alle castella, tornò dinanzi a' Signori, e ragionando e rapportando: il tale castello ha bisogno della tal cosa, e lo tale della tale, disse come al castello di Fucecchio bisognava vi si mandassono tre bombarde. Come Uberto l'ebbe udito, alza la gamba e lascia andare una gran coreggia, dicendo:

- Eccon'una, fatti dare a' compagni l'altre due.

Rosso, sentendo la bombarda, ristrignesi nelle spalle, ed esce fuori dicendo:

- Io sono pagato pur di buona moneta da questi mie' Signori; se io avessi tal onore dell'altre cose, io potrei star molto lieto.

I priori smascellavano delle risa, e fra quelle riprendeano Uberto; e spezialmente Salvino che dicea:

Io fo bot'a Dio; Uberto...   tutti gli uomini per asini tu troverrai... che ti farà di quello, che ben ti... –

Dice Uberto:

- E’ non ne poteva andar di meno... una brigata si vanno trastullando alle spese del comune; e poi tornano, e per mostrare abbiano fatte cose maravigliose dicono che si mandino le bombarde a Peteccio. Io torrei a sostenere che Aristotile non averebbe meglio risposto, e che in questo palagio mai non si fece più bella risposta a simile materia.

E’ priori con le risa pensarono forse Uberto non avere il torto; e a Rosso dissono che metterebbono ad esecuzione quello che a loro avea rapportato; e ancora il commendavano che ottimamente avea fatto. E Uberto dicendo:

- Non guardare, Rosso, alla risposta che io ti feci, però che 'l male del fianco m'ha assalito già fa due : non te ne curare.

Rosso rispose come si convenía, e nel commiato disse:

- Ogni acconcio d'Uberto è mio, e spezialmente essendo de' miei Signori; però che le cattive cose non si vogliono tenere, ma voglionsi lasciare andare -; e andossi con Dio.

 

 




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