Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText |
Torquato Tasso Aminta IntraText CT - Lettura del testo |
[DAFNE] Tirsi, com'io t'ho detto, io m'era accorta
ch'Aminta amava Silvia; e Dio sa quanti
buoni officii n'ho fatti, e son per farli
tanto più volontier, quant'or vi aggiungi
le tue preghiere; ma torrei più tosto
a domar un giuvenco, un orso, un tigre,
che a domar una semplice fanciulla:
fanciulla tanto sciocca quanto bella,
che non s'avveggia ancor come sian calde
l'armi di sua bellezza e come acute,
ma ridendo e piangendo uccida altrui,
e l'uccida e non sappia di ferire.
[TIRSI] Ma quale è così semplice fanciulla
che, uscita da le fascie, non apprenda
l'arte del parer bella e del piacere,
de l'uccider piacendo, e del sapere
qual arme fera, e qual dia morte, e quale
sani e ritorni in vita? [DAFNE] Chi è 'l mastro
di cotant'arte? [TIRSI] Tu fingi, e mi tenti:
quel che insegna agli augelli il canto e 'l volo,
a' pesci il nuoto ed a' montoni il cozzo,
al toro usar il corno, ed al pavone
spiegar la pompa de l'occhiute piume.
[DAFNE] Come ha nome 'l gran mastro? [TIRSI] Dafne ha nome.
[DAFNE] Lingua bugiarda! [TIRSI] E perché? tu non sei
atta a tener mille fanciulle a scola?
Benché, per dir il ver, non han bisogno
di maestro: maestra è la natura,
ma la madre e la balia anco v'han parte.
[DAFNE] In somma, tu sei goffo insieme e tristo.
Ora, per dirti il ver, non mi risolvo
se Silvia è semplicetta come pare
a le parole, a gli atti. Ier vidi un segno
che me ne mette in dubbio. Io la trovai
là presso la cittade in quei gran prati
ove fra stagni giace un'isoletta,
sovra essa un lago limpido e tranquillo,
tutta pendente in atto che parea
vagheggiar se medesma, e 'nsieme insieme
chieder consiglio a l'acque in qual maniera
dispor dovesse in su la fronte i crini,
e sovra i crini il velo, e sovra 'l velo
i fior che tenea in grembo; e spesso spesso
or prendeva un lingustro, or una rosa,
e l'accostava al bel candido collo,
a le guancie vermiglie, e de' colori
fea paragone; e poi, sì come lieta
de la vittoria, lampeggiava un riso
che parea che dicesse: «Io pur vi vinco,
né porto voi per ornamento mio,
ma porto voi sol per vergogna vostra,
perché si veggia quanto mi cedete».
Ma, mentre ella s'ornava e vagheggiava,
rivolse gli occhi a caso, e si fu accorta
ch'io di lei m'era accorta, e vergognando
rizzossi tosto, e fior lasciò cadere.
In tanto io più ridea del suo rossore,
ella più s'arrossia del riso mio.
Ma, perché accolta una parte de' crini
e l'altra aveva sparsa, una o due volte
con gli occhi al fonte consiglier ricorse,
e si mirò quasi di furto, pure
temendo ch'io nel suo guatar guatassi;
ed incolta si vide, e si compiacque
perché bella si vide ancor che incolta.
Io me n'avvidi, e tacqui. [TIRSI] Tu mi narri
quel ch'io credeva a punto. Or non m'apposi?
[DAFNE] Ben t'apponesti; ma pur odo dire
che non erano pria le pastorelle,
né le ninfe sì accorte; né io tale
fui in mia fanciullezza. Il mondo invecchia,
e invecchiando intristisce. [TIRSI] Forse allora
non usavan sì spesso i cittadini
ne le selve e ne i campi, né sì spesso
le nostre forosette aveano in uso
d'andare a la cittade. Or son mischiate
schiatte e costumi. Ma lasciam da parte
questi discorsi; or non farai ch'un giorno
Silvia contenta sia che le ragioni
Aminta, o solo, o almeno in tua presenza?
[DAFNE] Non so. Silvia è ritrosa fuor di modo.
[TIRSI] E costui rispettoso è fuor di modo.
[DAFNE] È spacciato un amante rispettoso:
consiglial pur che faccia altro mestiero,
poich'egli è tal. Chi imparar vuol d'amare,
disimpari il rispetto: osi, domandi,
solleciti, importuni, al fine involi;
e se questo non basta, anco rapisca.
Or non sai tu com'è fatta la donna?
Fugge, e fuggendo vuol che altri la giunga;
niega, e negando vuol ch'altri si toglia;
pugna, e pugnando vuol ch'altri la vinca.
Ve', Tirsi, io parlo teco in confidenza:
non ridir ch'io ciò dica. E sovra tutto
non porlo in rime. Tu sai s'io saprei
renderti poi per versi altro che versi.
[TIRSI] Non hai cagion di sospettar ch'io dica
cosa giamai che sia contra tuo grado.
Ma ti prego, o mia Dafne, per la dolce
memoria di tua fresca giovanezza,
miserel, che si muore. [DAFNE] Oh che gentile
scongiuro ha ritrovato questo sciocco
di rammentarmi la mia giovanezza,
il ben passato e la presente noia!
Ma che vuoi tu ch'io faccia? [TIRSI] A te non manca
né saper, né consiglio. Basta sol che
ti disponga a voler. [DAFNE] Or su, dirotti:
debbiamo in breve andare Silvia ed io
al fonte che s'appella di Diana,
là dove a le dolci acque fa dolce ombra
quel platano ch'invita al fresco seggio
le ninfe cacciatrici. Ivi so certo
che tufferà le belle membra ignude.
[TIRSI] Ma che però? [DAFNE] Ma che però? Da poco
intenditor! s'hai senno, tanto basti.
[TIRSI] Intendo; ma non so s'egli avrà tanto
d'ardir. [DAFNE] S'ei non l'avrà, stiasi, ed aspetti
ch'altri lui cerchi. [TIRSI] Egli è ben tal che 'l merta.
[DAFNE] Ma non vogliamo noi parlar alquanto
di te medesmo? Or su, Tirsi, non vuoi
tu inamorarti? sei giovane ancora,
né passi di quattr'anni il quinto lustro,
se ben sovviemmi quando eri fanciullo;
vuoi viver neghittoso e senza gioia?
ché sol amando uom sa che sia diletto.
[TIRSI] I diletti di Venere non lascia
l'uom che schiva l'amor, ma coglie e gusta
le dolcezze d'amor senza l'amaro.
[DAFNE] Insipido è quel dolce che condito
non è di qualche amaro, e tosto sazia.
[TIRSI] È meglio saziarsi, ch'esser sempre
famelico nel cibo e dopo 'l cibo.
[DAFNE] Ma non, se 'l cibo si possede e piace,
e gustato a gustar sempre n'invoglia.
[TIRSI] Ma chi possede sì quel che gli piace
che l'abbia sempre presso a la sua fame?
[DAFNE] Ma chi ritrova il ben, s'egli no 'l cerca?
[TIRSI] Periglioso è cercar quel che trovato
trastulla sì, ma più tormenta assai
non ritrovato. Allor vedrassi amante
Tirsi mai più, ch'Amor nel seggio suo
non avrà più né pianti né sospiri.
A bastanza ho già pianto e sospirato.
Faccia altri la sua parte. [DAFNE] Ma non hai
già goduto a bastanza. [TIRSI] Né desio
goder, se così caro egli si compra.
[DAFNE] Sarà forza l'amar, se non fia voglia.
[TIRSI] Ma non si può sforzar chi sta lontano.
[DAFNE] Ma chi lung'è d'Amor? [TIRSI] Chi teme e fugge.
[DAFNE] E che giova fuggir da lui, c'ha l'ali?
[TIRSI] Amor nascente ha corte l'ali: a pena
può su tenerle, e non le spiega a volo.
[DAFNE] Pur non s'accorge l'uom quand'egli nasce;
e, quando uom se n'accorge, è grande, e vola.
[TIRSI] Non, s'altra volta nascer non l'ha visto.
[DAFNE] Vedrem, Tirsi, s'avrai la fuga e gli occhi
come tu dici. Io ti protesto, poi
che fai del corridore e del cerviero,
che, quando ti vedrò chieder aita,
non moverei, per aiutarti, un passo,
un dito, un detto, una palpebra sola.
[TIRSI] Crudel, daratti il cor vedermi morto?
Se vuoi pur ch'ami, ama tu me: facciamo
l'amor d'accordo. [DAFNE] Tu mi scherni, e forse
non merti amante così fatta: ahi quanti
n'inganna il viso colorito e liscio!
[TIRSI] Non burlo io, no; ma tu con tal protesto
non accetti il mio amor, pur come è l'uso
di tutte quante; ma, se non mi vuoi,
viverò senza amor. [DAFNE] Contento vivi
più che mai fossi, o Tirsi, in ozio vivi:
ché ne l'ozio l'amor sempre germoglia.
[TIRSI] O Dafne, a me quest'ozii ha fatto Dio:
colui che Dio qui può stimarsi; a cui
si pascon gli ampi armenti e l'ampie greggie
da l'uno a l'altro mare, e per li lieti
colti di fecondissime campagne,
e per gli alpestri dossi d'Apennino.
Egli mi disse, allor che suo mi fece:
«Tirsi, altri scacci i lupi e i ladri, e guardi
i miei murati ovili; altri comparta
le pene e i premii a' miei ministri; ed altri
pasca e curi le greggi; altri conservi
le lane e 'l latte, ed altri le dispensi:
tu canta, or che se' 'n ozio». Ond'è ben giusto
che non gli scherzi di terreno amore,
ma canti gli avi del mio vivo e vero
non so s'io lui mi chiami Apollo o Giove,
ché ne l'opre e nel volto ambi somiglia,
gli avi più degni di Saturno o Celo:
agreste Musa a regal merto; e pure,
chiara o roca che suoni, ei non la sprezza.
Non canto lui, però che lui non posso
degnamente onorar, se non tacendo
e riverendo; ma non fian giamai
gli altari suoi senza i miei fiori, e senza
ed allor questa semplice e devota
religion mi si torrà dal core,
che d'aria pasceransi in aria i cervi,
e che, mutando i fiumi e letto e corso,
il Perso bea la Sona, il Gallo il Tigre.
[DAFNE] Oh, tu vai alto; or su, discendi un poco
al proposito nostro. [TIRSI] Il punto è questo:
che tu, in andando al fonte con colei,
cerchi d'intenerirla: ed io fra tanto
procurerò ch'Aminta là ne venga.
Né la mia forse men difficil cura
sarà di questa tua. Or vanne. [DAFNE] Io vado,
ma il proposito nostro altro intendeva.
[TIRSI] Se ben ravviso di lontan la faccia,
Aminta è quel che di là spunta. È desso.