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Torquato Tasso
Aminta

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Scena terza - Aminta, Tirsi

 

[AMINTA] Vorrò veder ciò che Tirsi avrà fatto:

e, s'avrà fatto nulla,

prima ch'io vada in nulla,

uccider vo' me stesso inanzi a gli occhi

de la crudel fanciulla.

A lei, cui tanto piace

la piaga del mio core,

colpo de' suoi begli occhi,

altrettanto piacer devrà per certo

la piaga del mio petto,

colpo de la mia mano.

[TIRSI] Nove, Aminta, t'annuncio di conforto:

lascia omai questo tanto lamentarti.

[AMINTA] Ohimè, che di'? che porte?

O la vita o la morte?

[TIRSI] Porto salute e vita, s'ardirai

di farti loro incontra; ma fa d'uopo

d'esser un uom, Aminta, un uom ardito.

[AMINTA] Qual ardir mi bisogna, e 'ncontra a cui?

[TIRSI] Se la tua donna fosse in mezz'un bosco,

che, cinto intorno d'altissime rupi,

desse albergo a le tigri ed a' leoni,

v'andresti tu? [AMINTA] V'andrei sicuro e baldo

più che di festa villanella al ballo.

[TIRSI] E s'ella fosse tra ladroni ed armi,

v'andresti tu? [AMINTA] V'andrei più lieto e pronto

che l'assetato cervo a la fontana.

[TIRSI] Bisogna a maggior prova ardir più grande.

[AMINTA] Andrò per mezzo i rapidi torrenti,

quando la neve si discioglie e gonfi

li manda al mare; andrò per mezzo 'l foco

e ne l'inferno, quando ella vi sia,

s'esser può inferno ov'è cosa sì bella.

Orsù, scuoprimi il tutto. [TIRSI] Odi. [AMINTA] Di' tosto.

[TIRSI] Silvia t'attende a un fonte, ignuda e sola.

Ardirai tu d'andarvi? [AMINTA] Oh, che mi dici?

Silvia m'attende ignuda e sola? [TIRSI] Sola,

se non quanto v'è Dafne, ch'è per noi.

[AMINTA] Ignuda ella m'aspetta? [TIRSI] Ignuda: ma...

[AMINTA] Ohimè, che «ma»? Tu taci; tu m'uccidi.

[TIRSI] Ma non sa già che tu v'abbi d'andare.

[AMINTA] Dura conclusion, che tutte attosca

le dolcezze passate. Or, con qual arte,

crudel, tu mi tormenti?

Poco dunque ti pare

che infelice io sia,

che a crescer vieni la miseria mia?

[TIRSI] S'a mio senno farai, sarai felice.

[AMINTA] E che consigli? [TIRSI] Che tu prenda quello

che la fortuna amica t'appresenta.

[AMINTA] Tolga Dio che mai faccia

cosa che le dispiaccia;

cosa io non feci mai che le spiacesse,

fuor che l'amarla: e questo a me fu forza,

forza di sua bellezza, e non mia colpa.

Non sarà dunque ver ch'in quanto io posso,

non cerchi compiacerla. [TIRSI] Ormai rispondi:

se fosse in tuo poter di non amarla,

lasciaresti d'amarla, per piacerle?

[AMINTA] Né questo mi consente Amor ch'io dica,

né ch'imagini pur d'aver già mai

a lasciar il suo amor, bench'io potessi.

[TIRSI] Dunque tu l'ameresti al suo dispetto,

quando potessi far di non amarla.

[AMINTA] Al suo dispetto no, ma l'amerei.

[TIRSI] Dunque fuor di sua voglia. [AMINTA] Sì per certo.

[TIRSI] Perché dunque non osi oltra sua voglia

prenderne quel che, se ben grava in prima,

al fin, al fin le sarà caro e dolce

che l'abbi preso? [AMINTA] Ahi, Tirsi, Amor risponda

per me; ché quanto a mezz'il cor mi parla,

non so ridir. Tu troppo scaltro sei

già per lungo uso a ragionar d'amore:

a me lega la lingua

quel che mi lega il core.

[TIRSI] Dunque andar non vogliamo? [AMINTA] Andare io voglio,

ma non dove tu stimi. [TIRSI] E dove? [AMINTA] A morte,

s'altro in mio pro' non hai fatto che quanto

ora mi narri. [TIRSI] E poco parti questo?

Credi tu dunque, sciocco, che mai Dafne

consigliasse l'andar, se non vedesse

in parte il cor di Silvia? E forse ch'ella

il sa, né però vuol ch'altri risappia

ch'ella ciò sappia. Or, se 'l consenso espresso

cerchi di lei, non vedi che tu cerchi

quel che più le dispiace? Or dove è dunque

questo tuo desiderio di piacerle?

E s'ella vuol che 'l tuo diletto sia

tuo furto o tua rapina, e non suo dono

né sua mercede, a te, folle, che importa

più l'un modo che l'altro? [AMINTA] E chi m'accerta

che il suo desir sia tale? [TIRSI] Oh mentecatto!

Ecco, tu chiedi pur quella certezza

ch'a lei dispiace, e dispiacer le deve

dirittamente, e tu cercar non déi.

Ma chi t'accerta ancor che non sia tale?

Or s'ella fosse tale, e non v'andassi?

Eguale è il dubbio e 'l rischio. Ahi, pur è meglio

come ardito morir, che come vile.

Tu taci, tu sei vinto. Ora confessa

questa perdita tua, che fia cagione

di vittoria maggiore. Andianne. [AMINTA] Aspetta.

[TIRSI] Che «Aspetta»? non sai ben che 'l tempo fugge?

[AMINTA] Deh, pensiam pria se ciò dee farsi, e come.

[TIRSI] Per strada penserem ciò che vi resta;

ma nulla fa chi troppe cose pensa.

[CORO] Amore, in quale scola,

da qual mastro s'apprende

la tua sì lunga e dubbia arte d'amare?

Chi n'insegna a spiegare

ciò che la mente intende,

mentre con l'ali tue sovra il ciel vola?

Non già la dotta Atene,

né 'l Liceo ne 'l dimostra;

non Febo in Elicona,

che sì d'Amor ragiona

come colui ch'impara:

freddo ne parla, e poco;

non ha voce di foco,

come a te si conviene;

non alza i suoi pensieri

a par de' tuoi misteri.

Amor, degno maestro

sol tu sei di te stesso,

e sol tu sei da te medesmo espresso;

tu di legger insegni

ai più rustici ingegni

quelle mirabil cose

che con lettre amorose

scrivi di propria man negli occhi altrui;

tu in bei facondi detti

sciogli la lingua de' fedeli tuoi;

e spesso (oh strana e nova

eloquenza d'Amore!)

spesso in un dir confuso

e 'n parole interrotte

meglio si esprime il core,

e più par che si mova,

che non si fa con voci adorne e dotte;

e 'l silenzio ancor suole

aver prieghi e parole.

Amor, leggan pur gli altri

le socratiche carte,

ch'io in due begli occhi apprenderò quest'arte;

e perderan le rime

de le penne più saggie

appo le mie selvaggie,

che rozza mano in rozza scorza imprime.

 

 




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