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Torquato Tasso
Aminta

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Scena seconda - Aminta, Dafne, Nerina

 

[AMINTA] Dispietata pietate

fu la tua veramente, o Dafne, allora

che ritenesti il dardo;

però che 'l mio morire

più amaro sarà, quanto più tardo.

Ed or perché m'avvolgi

per sì diverse strade e per sì varii

ragionamenti in vano? di che temi?

ch'io non m'uccida? Temi del mio bene.

[DAFNE] Non disperar, Aminta,

ché, s'io lei ben conosco,

sola vergogna fu, non crudeltate,

quella che mosse Silvia a fuggir via.

[AMINTA] Ohimè, che mia salute

sarebbe il disperare,

poiché sol la speranza

è stata mia rovina; ed anco, ahi lasso,

tenta di germogliar dentr'al mio petto,

sol perché io viva: e quale è maggior male

de la vita d'un misero com'io?

[DAFNE] Vivi, misero, vivi

ne la miseria tua; e questo stato

sopporta sol per divenir felice,

quando che sia. Fia premio de la speme,

se vivendo e sperando ti mantieni,

quel che vedesti ne la bella ignuda.

[AMINTA] Non pareva ad Amor e a mia fortuna

ch'a pien misero fossi, s'anco a pieno

non m'era dimostrato

quel che m'era negato.

[NERINA] Dunque a me pur convien esser sinistra

còrnice d'amarissima novella!

Oh per mai sempre misero Montano,

qual animo fia 'l tuo quando udirai

de l'unica tua Silvia il duro caso?

Padre vecchio, orbo padre: ahi, non più padre!

[DAFNE] Odo una mesta voce. [AMINTA] Io odo 'l nome

di Silvia, che gli orecchi e 'l cor mi fere;

ma chi è che la noma? [DAFNE] Ella è Nerina,

ninfa gentil che tanto a Cinzia è cara,

c'ha sì begli occhi e così belle mani

e modiavvenenti e graziosi.

[NERINA] E pur voglio che 'l sappi e che procuri

di ritrovar le reliquie infelici,

se nulla ve ne resta. Ahi Silvia, ahi dura

infelice tua sorte!

[AMINTA] Ohimè, che fia? che costei dice? [NERINA] Dafne!

[DAFNE] Che parli fra te stessa, e perché nomi

tu Silvia, e poi sospiri? [NERINA] Ahi, ch'a ragione

sospiro l'aspro caso! [AMINTA] Ahi, di qual caso

può ragionar costei? Io sento, io sento

che mi s'agghiaccia il core e mi si chiude

lo spirto. È viva?

[DAFNE] Narra, qual aspro caso è quel che dici?

[NERINA] O Dio, perché son io

la messaggiera? E pur convien narrarlo.

Venne Silvia al mio albergo ignuda; e quale

fosse l'occasion, saper la déi;

poi rivestita mi pregò che seco

ir volessi a la caccia che ordinata

era nel bosco c'ha nome da l'elci.

Io la compiacqui: andammo, e ritrovammo

molte ninfe ridotte; ed indi a poco

ecco, di non so d'onde, un lupo sbuca,

grande fuor di misura, e da le labra

gocciolava una bava sanguinosa;

Silvia un quadrello adatta su la corda

d'un arco ch'io le diedi, e tira e 'l coglie

a sommo 'l capo: ei si rinselva, ed ella,

vibrando un dardo, dentro 'l bosco il segue.

[AMINTA] Oh dolente principio; ohimè, qual fine

già mi s'annuncia? [NERINA] Io con un altro dardo

seguo la traccia, ma lontana assai,

ché più tarda mi mossi. Come furo

dentro a la selva, più non la rividi:

ma pur per l'orme lor tanto m'avvolsi,

che giunsi nel più folto e più deserto;

quivi il dardo di Silvia in terra scorsi,

né molto indi lontano un bianco velo,

ch'io stessa le ravvolsi al crine; e, mentre

mi guardo intorno, vidi sette lupi

che leccavan di terra alquanto sangue

sparto intorno a cert'ossa affatto nude;

e fu mia sorte ch'io non fui veduta

da loro, tanto intenti erano al pasto;

tal che, piena di tema e di pietate,

indietro ritornai; e questo è quanto

posso dirvi di Silvia; ed ecco 'l velo.

[AMINTA] Poco pàrti aver detto? Oh velo, oh sangue,

oh Silvia, tu se' morta! [DAFNE] Oh miserello,

tramortito è d'affanno, e forse morto.

[NERINA] Egli rispira pure: questo fia

un breve svenimento; ecco, riviene.

[AMINTA] Dolor, che sì mi crucii,

ché non m'uccidi omai? tu sei pur lento!

Forse lasci l'officio a la mia mano.

Io son, io son contento

ch'ella prenda tal cura,

poi che tu la ricusi, o che non puoi.

Ohimè, se nulla manca

a la certezza omai,

e nulla manca al colmo

de la miseria mia,

che bado? che più aspetto? O Dafne, o Dafne,

a questo amaro fin tu mi salvasti,

a questo fine amaro?

Bello e dolce morir fu certo allora

che uccidere io mi volsi.

Tu me 'l negasti, e 'l Ciel, a cui parea

ch'io precorressi col morir la noia

ch'apprestata m'avea.

Or che fatt'ha l'estremo

de la sua crudeltate,

ben soffrirà ch'io moia,

e tu soffrir lo dei.

[DAFNE] Aspetta a la tua morte,

sin che 'l ver meglio intenda.

[AMINTA] Ohimè, che vuoi ch'attenda?

Ohimè, che troppo ho atteso, e troppo inteso.

[NERINA] Deh, foss'io stata muta!

[AMINTA] Ninfa, dammi, ti prego,

quel velo ch'è di lei

solo e misero avanzo,

sì ch'egli m'accompagne

per questo breve spazio

e di via e di vita che mi resta,

e con la sua presenza

accresca quel martire,

ch'è ben picciol martire,

s'ho bisogno d'aiuto al mio morire.

[NERINA] Debbo darlo o negarlo?

La cagion perché 'l chiedi

fa ch'io debba negarlo.

[AMINTA] Crudel, sì picciol dono

mi nieghi al punto estremo?

E in questo anco maligno

mi si mostra il mio fato. Io cedo, io cedo:

a te si resti; e voi restate ancora,

ch'io vo per non tornare.

[DAFNE] Aminta, aspetta, ascolta...

Ohimè, con quanta furia egli si parte!

[NERINA] Egli vaveloce,

che fia vano il seguirlo; ond'è pur meglio

ch'io segua il mio viaggio; e forse è meglio

ch'io taccia e nulla conti

al misero Montano.

[CORO] Non bisogna la morte,

ch'a stringer nobil core

prima basta la fede, e poi l'amore.

Né quella che si cerca

è sì difficil fama

seguendo chi ben ama,

ch'amore è merce, e con amar si merca.

E cercando l'amor si trova spesso

gloria immortal appresso.

 




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