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Torquato Tasso Aminta IntraText CT - Lettura del testo |
[DAFNE] Ne porti il vento, con la ria novella,
che s'era di te sparta, ogni tuo male
e presente e futuro. Tu sei viva
e sana, Dio lodato, ed io per morta
pur ora ti tenea: in tal maniera
m'avea Nerina il tuo caso dipinto.
Ahi, fosse stata muta, ed altri sordo!
[SILVIA] Certo 'l rischio fu grande, ed ella avea
giusta cagion di sospettarmi morta.
[DAFNE] Ma non giusta cagion avea di dirlo.
Or narra tu qual fosse 'l rischio, e come
tu lo fuggisti. [SILVIA] Io, seguitando un lupo,
mi rinselvai nel più profondo bosco,
tanto ch'io ne perdei la traccia. Or, mentre
cerco di ritornare onde mi tolsi,
il vidi, e riconobbi a un stral che fitto
gli aveva di mia man press'un orecchio.
Il vidi con molt'altri intorno a un corpo
d'un animal ch'avea di fresco ucciso,
ma non distinsi ben la forma. Il lupo
ferito, credo, mi conobbe, e 'ncontro
mi venne con la bocca sanguinosa.
Io l'aspettava ardita, e con la destra
vibrava un dardo. Tu sai ben s'io sono
maestra di ferire, e se mai soglio
far colpo in fallo. Or, quando il vidi tanto
vicin, che giusto spazio mi parea
a la percossa, lanciai un dardo, e 'n vano:
ché, colpa di fortuna o pur mia colpa,
in vece sua colsi una pianta. Allora
più ingordo incontro ei mi venia; ed io
che 'l vidi sì vicin, che stimai vano
l'uso de l'arco, non avendo altr'armi,
a la fuga ricorsi. Io fuggo, ed egli
non resta di seguirmi. Or odi caso:
un vel, ch'aveva involto intorno al crine,
si spiegò in parte, e giva ventilando,
sì ch'ad un ramo avviluppossi. Io sento
che non so chi mi tien e mi ritarda.
Io, per la tema del morir, raddoppio
la forza al corso, e d'altra parte il ramo
non cede, e non mi lascia; al fin mi svolgo
del velo, e alquanto de' miei crini ancora
lascio svelti co 'l velo; e cotant'ali
m'impennò la paura ai piè fugaci,
ch'ei non mi giunse e salva uscii del bosco.
Poi, tornando al mio albergo, io t'incontrai
tutta turbata, e mi stupii vedendo
stupirti al mio apparir. [DAFNE] Ohimè, tu vivi,
altri non già. [SILVIA] Che dici? ti rincresce
forse ch'io viva sia? M'odii tu tanto?
[DAFNE] Mi piace di tua vita, ma mi duole
de l'altrui morte. [SILVIA] E di qual morte intendi?
[DAFNE] De la morte d'Aminta. [SILVIA] Ahi, come è morto?
[DAFNE] Il come non so dir, né so dir anco
s'è ver l'effetto; ma per certo il credo.
[SILVIA] Ch'è ciò che tu mi dici? ed a chi rechi
la cagion di sua morte? [DAFNE] A la tua morte.
[SILVIA] Io non t'intendo. [DAFNE] La dura novella
de la tua morte, ch'egli udì e credette,
avrà porto al meschino il laccio o 'l ferro
od altra cosa tal che l'avrà ucciso.
[SILVIA] Vano il sospetto in te de la sua morte
sarà, come fu van de la mia morte;
ch'ognuno a suo poter salva la vita.
[DAFNE] O Silvia, Silvia, tu non sai né credi
quanto 'l foco d'amor possa in un petto,
che petto sia di carne e non di pietra,
com' è cotesto tuo: ché, se creduto
l'avessi, avresti amato chi t'amava
più che le care pupille degli occhi,
più che lo spirto de la vita sua.
Il credo io ben, anzi l'ho visto e sollo:
il vidi, quando tu fuggisti, o fera
più che tigre crudel, ed in quel punto,
ch'abbracciar lo dovevi, il vidi un dardo
rivolgere in se stesso, e quello al petto
premersi disperato, né pentirsi
poscia nel fatto, che le vesti ed anco
la pelle trapassossi, e nel suo sangue
lo tinse; e 'l ferro saria giunto a dentro,
e passato quel cor che tu passasti
più duramente, se non ch'io gli tenni
il braccio, e l'impedii ch'altro non fesse.
Ahi lassa, e forse quella breve piaga
solo una prova fu del suo furore
e de la disperata sua costanza,
e mostrò quella strada al ferro audace,
che correr poi dovea liberamente.
[SILVIA] Oh, che mi narri? [DAFNE] Il vidi poscia, allora
ch'intese l'amarissima novella
de la tua morte, tramortir d'affanno,
e poi partirsi furioso in fretta,
per uccider se stesso; e s'avrà ucciso
veracemente. [SILVIA] E ciò per fermo tieni?
[DAFNE] Io non v'ho dubbio. [SILVIA] Ohimè, tu no 'l seguisti
per impedirlo? Ohimè, cerchiamo, andiamo,
che, poi ch'egli moria per la mia morte,
de' per la vita mia restare in vita.
[DAFNE] Io lo seguii, ma correa sì veloce
che mi sparì tosto dinanzi, e 'ndarno
poi mi girai per le sue orme. Or dove
vuoi tu cercar, se non n'hai traccia alcuna?
[SILVIA] Egli morrà, se no 'l troviamo, ahi lassa;
e sarà l'omicida ei di se stesso.
[DAFNE] Crudel, forse t'incresce ch'a te tolga
la gloria di quest'atto? esser tu dunque
l'omicida vorresti? e non ti pare
che la sua cruda morte esser debb'opra
d'altri che di tua mano? Or ti consola,
ché, comunque egli muoia, per te muore,
e tu sei che l'uccidi.
[SILVIA] Ohimè, che tu m'accori, e quel cordoglio
ch'io sento del suo caso inacerbisce
de la mia crudeltate,
ch'io chiamava onestate; e ben fu tale,
ma fu troppo severa e rigorosa;
or me n'accorgo e pento. [DAFNE] Oh, quel ch'io odo!
Tu sei pietosa, tu, tu senti al core
spirto alcun di pietate? oh che vegg'io?
tu piangi, tu, superba? Oh maraviglia!
Che pianto è questo tuo? pianto d'amore?
[SILVIA] Pianto d'amor non già, ma di pietate.
[DAFNE] La pietà messaggiera è de l'amore,
come 'l lampo del tuono. [CORO] Anzi sovente
quando egli vuol ne' petti virginelli
occulto entrare, onde fu prima escluso
da severa onestà, l'abito prende,
prende l'aspetto de la sua ministra
e sua nuncia, pietate; e con tai larve
le semplici ingannando, è dentro accolto.
[DAFNE] Questo è pianto d'amor, ché troppo abonda.
Tu taci? ami tu, Silvia? ami, ma in vano.
Oh potenza d'Amor, giusto castigo
manda sovra costei. Misero Aminta!
Tu, in guisa d'ape che ferendo muore
e ne le piaghe altrui lascia la vita,
con la tua morte hai pur trafitto al fine
quel duro cor, che non potesti mai
punger vivendo. Or, se tu, spirto errante,
sì come io credo, e de le membra ignudo,
qui intorno sei, mira il suo pianto, e godi:
amante in vita, amato in morte; e s'era
tuo destin che tu fossi in morte amato,
e se questa crudel volea l'amore
venderti sol con prezzo così caro,
desti quel prezzo tu ch'ella richiese,
e l'amor suo col tuo morir comprasti.
[CORO] Caro prezzo a chi 'l diede; a chi 'l riceve
prezzo inutile, e infame. [SILVIA] Oh potess'io
con l'amor mio comprar la vita sua;
anzi pur con la mia la vita sua,
s'egli è pur morto! [DAFNE] O tardi saggia, e tardi
pietosa, quando ciò nulla rileva!