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Torquato Tasso Aminta IntraText CT - Lettura del testo |
[NUNCIO] Io ho sì pieno il petto di pietate
e sì pieno d'orror, che non rimiro
né odo alcuna cosa, ond'io mi volga,
la qual non mi spaventi e non m'affanni.
ch'è sì turbato in vista ed in favella?
[NUNCIO] Porto l'aspra novella
de la morte d'Aminta. [SILVIA] Ohimè, che dice?
[NUNCIO] Il più nobil pastor di queste selve,
che fu così gentil, così leggiadro,
così caro a le ninfe ed a le Muse,
ed è morto fanciullo, ahi, di che morte!
[CORO] Contane, prego, il tutto, acciò che teco
pianger possiam la sua sciagura e nostra.
[SILVIA] Ohimè, ch'io non ardisco
appressarmi ad udire
quel ch'è pur forza udire. Empio mio core,
di che, di che paventi?
che costui porta ne la lingua, e quivi
di quel dolor che tu prometti altrui,
ché a me ben si conviene
più che forse non pensi; ed io 'l ricevo
come dovuta cosa. Or tu di lui
[NUNCIO] Ninfa, io ti credo bene,
ch'io sentii quel meschino in su la morte
[NUNCIO] Io era a mezzo 'l colle, ove avea tese
certe mie reti, quanto assai vicino
vidi passar Aminta, in volto e in atti
troppo mutato da quel ch'ei soleva,
troppo turbato e scuro. Io corsi, e corsi
tanto che 'l giunsi e lo fermai; ed egli
mi disse: «Ergasto, io vo' che tu mi faccia
un gran piacere: quest'è, che tu ne venga
meco per testimonio d'un mio fatto;
ma pria voglio da te che tu mi leghi
di stretto giuramento la tua fede
di startene in disparte e non por mano,
per impedirmi in quel che son per fare».
Io (chi pensato avria caso sì strano,
né sì pazzo furor?), com' egli volse,
feci scongiuri orribili, chiamando
e Pane e Pale e Priapo e Pomona,
ed Ecate notturna. Indi si mosse,
e mi condusse ov'è scosceso il colle,
e giù per balzi e per dirupi incolti
strada non già, ché non v'è strada alcuna,
ma cala un precipizio in una valle.
Qui ci fermammo. Io, rimirando a basso,
tutto sentii raccapricciarmi, e 'ndietro
tosto mi trassi; ed egli un cotal poco
parve ridesse, e serenossi in viso;
onde quell'atto più rassicurommi.
Indi parlommi sì: «Fa che tu conti
a le ninfe e ai pastor ciò che vedrai».
così aver io potessi
la gola e i denti de gli avidi lupi,
com'ho questi dirupi,
che fece la mia vita:
vorrei che queste mie membra meschine
quelle sue delicate.
che ben verriano a tempo, io prender voglio
che, se non la devuta,
almen fia la più breve.
a farti compagnia,
se non la sdegnerai;
s'io fossi certo almeno
che 'l mio venirti dietro
Silvia, io ti seguo, io vengo». Così detto,
co 'l capo in giuso; ed io restai di ghiaccio.
[DAFNE] Misero Aminta! [SILVIA] Ohimè!
[CORO] Perché non l'impedisti?
Forse ti fu ritegno a ritenerlo
il fatto giuramento?
[NUNCIO] Questo no, ché, sprezzando i giuramenti,
quand'io m'accorsi del suo pazzo ed empio
proponimento, con la man vi corsi,
e, come volse la sua dura sorte,
lo presi in questa fascia di zendado
che lo cingeva; la qual, non potendo
l'impeto e 'l peso sostener del corpo,
che s'era tutto abandonato, in mano
spezzata mi rimase. [CORO] E che divenne
de l'infelice corpo? [NUNCIO] Io no 'l so dire:
ch'era sì pien d'orrore e di pietate,
che non mi diede il cor di rimirarvi,
per non vederlo in pezzi. [CORO] O strano caso!
[SILVIA] Ohimè, ben son di sasso,
poi che questa novella non m'uccide.
di chi tanto l'odiava
ben sarebbe ragione
di chi tanto m'amava
se non potrò co 'l duol, almen co 'l ferro,
o pur con questa fascia,
che non senza cagione
ma restò sol per fare in me vendetta
ché tu vi resti sol per instrumento
sarò per opra tua
che questo è di fortuna e non tua colpa.
[SILVIA] Pastor, di chi piangete?
a sì alta cagione. E tu rasciuga,
Dafne, queste tue lagrime, per Dio.
Se cagion ne son io,
ben ti voglio pregare,
non per pietà di me, ma per pietate
l'infelici sue membra e a sepelirle.
poi ch'altro non m'avanza,
e se ben quest'empia
potesse la pietà de l'opra, pure
[DAFNE] Son contenta aiutarti in questo ufficio;
ma tu già non pensare
[SILVIA] Sin qui vissi a me stessa,
a la mia feritate: or, quel ch'avanza,
e, se non posso a lui,
Tanto, e non più, mi lice
restar nel mondo, e poi finir a un punto
ci conduce a la valle, ove il dirupo
va a terminare? [NUNCIO] Questa vi conduce;
e quinci poco spazio ella è lontana.
[DAFNE] Andiam, che verrò teco e guiderotti;
ché ben rammento il luogo. [SILVIA] A Dio, pastori;
piagge, a Dio; a Dio, selve; e fiumi, a Dio.
[NUNCIO] Costei parla di modo, che dimostra
d'esser disposta a l'ultima partita.
[CORO] Ciò che morte rallenta, Amor, restringi,
amico tu di pace, ella di guerra,
e del suo trionfar trionfi e regni;
e mentre due bell'alme annodi e cingi,
così rendi sembiante al ciel la terra,
che d'abitarla tu non fuggi o sdegni.
Non sono ire là su: gli umani ingegni
tu placidi ne rendi, e l'odio interno
sgombri, signor, da' mansueti cori,
e quasi fai col tuo valor superno
de le cose mortali un giro eterno.