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Torquato Tasso
Aminta

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ATTO PRIMO

Scena prima - Dafne, Silvia

 

[ DAFNE] Vorrai dunque pur, Silvia,

dai piaceri di Venere lontana

menarne tu questa tua giovinezza?

Né 'l dolce nome di madre udirai,

né intorno ti vedrai vezzosamente

scherzar i figli pargoletti? Ah, cangia,

cangia, prego, consiglio,

pazzarella che sei.

[SILVIA] Altri segua i diletti de l'amore,

se pur v'è ne l'amor alcun diletto:

me questa vita giova, e 'l mio trastullo

è la cura de l'arco e de gli strali;

seguir le fere fugaci, e le forti

atterrar combattendo; e, se non mancano

saette a la faretra, o fere al bosco,

non tem'io che a me manchino diporti.

[DAFNE] Insipidi diporti veramente,

ed insipida vita: e, s'a te piace,

è sol perché non hai provata l'altra.

Così la gente prima, che già visse

nel mondo ancora semplice ed infante,

stimò dolce bevanda e dolce cibo

l'acqua e le ghiande, ed or l'acqua e le ghiande

sono cibo e bevanda d'animali,

poi che s'è posto in uso il grano e l'uva.

Forse, se tu gustassi anco una volta

la millesima parte de le gioie

che gusta un cor amato riamando,

diresti, ripentita, sospirando:

«Perduto è tutto il tempo,

che in amar non si spende».

O mia fuggita etate,

quante vedove notti,

quanti dì solitari

ho consumati indarno,

che si poteano impiegar in quest'uso,

il qual più replicato è più soave!

Cangia, cangia consiglio,

pazzarella che sei,

ché 'l pentirsi da sezzo nulla giova.

[SILVIA] Quando io dirò, pentita, sospirando,

queste parole che tu fingi ed orni

come a te piace, torneranno i fiumi,

a le lor fonti, e i lupi fuggiranno

da gli agni, e 'l veltro le timide lepri,

amerà l'orso il mare, e 'l delfin l'alpi.

[DAFNE] Conosco la ritrosa fanciullezza:

qual tu sei, tal io fui: così portava

la vita e 'l volto, e così biondo il crine,

e così vermigliuzza avea la bocca,

e così mista col candor la rosa

ne le guancie pienotte e delicate.

Era il mio sommo gusto (or me n'avveggio,

gusto di sciocca) sol tender le reti,

ed invescar le panie, ed aguzzare

il dardo ad una cote, e spiar l'orme

e 'l covil de le fere: e, se talora

vedea guatarmi da cupido amante,

chinava gli occhi rustica e selvaggia,

piena di sdegno e di vergogna, e m'era

mal grata la mia grazia, e dispiacente

quanto di me piaceva altrui: pur come

fosse mia colpa e mia onta e mio scorno

l'esser guardata, amata e desiata.

Ma che non puote il tempo? e che non puote,

servendo, meritando, supplicando,

fare un fedele ed importuno amante?

Fui vinta, io te 'l confesso, e furon l'armi

del vincitore umiltà, sofferenza,

pianti, sospiri, e dimandar mercede.

Mostrommi l'ombra d'una breve notte

allora quel che 'l lungo corso e 'l lume

di mille giorni non m'avea mostrato;

ripresi allor me stessa e la mia cieca

simplicitate, e dissi sospirando:

«Eccoti, Cinzia, il corno, eccoti l'arco,

ch'io rinunzio i tuoi strali e la tua vita».

Così spero veder ch'anco il tuo Aminta

pur un giorno domestichi la tua

rozza salvatichezza, ed ammollisca

questo tuo cor di ferro e di macigno.

Forse ch'ei non è bello? o ch'ei non t'ama?

o ch'altri lui non ama? o ch'ei si cambia

per l'amor d'altri? over per l'odio tuo?

forse ch'in gentilezza egli ti cede?

Se tu sei figlia di Cidippe, a cui

fu padre il Dio di questo nobil fiume,

ed egli è figlio di Silvano, a cui

Pane fu padre, il gran Dio de' pastori.

Non è men di te bella, se ti guardi

dentro lo specchio mai d'alcuna fonte,

la candida Amarilli; e pur ei sprezza

le sue dolci lusinghe, e segue i tuoi

dispettosi fastidi. Or fingi (e voglia

pur Dio che questo fingere sia vano)

ch'egli, teco sdegnato, al fin procuri

ch'a lui piaccia colei cui tanto ei piace:

qual animo fia il tuo? o con quali occhi

il vedrai fatto altrui? fatto felice

ne l'altrui braccia, e te schernir ridendo?

[SILVIA] Faccia Aminta di sé e de' suoi amori

quel ch'a lui piace: a me nulla ne cale;

e, pur che non sia mio, sia di chi vuole;

ma esser non può mio, s'io lui non voglio;

né, s'anco egli mio fosse, io sarei sua.

[DAFNE] Onde nasce il tuo odio? [SILVIA] Dal suo amore.

[DAFNE] Piacevol padre di figlio crudele.

Ma quando mai dai mansueti agnelli

nacquer le tigri? o dai bei cigni i corvi?

O me inganni, o te stessa. [SILVIA] Odio il suo amore,

ch'odia la mia onestate, ed amai lui,

mentr'ei volse di me quel ch'io voleva.

[DAFNE] Tu volevi il tuo peggio: egli a te brama

quel ch'a sé brama. [SILVIA] Dafne, o taci, o parla

d'altro, se vuoi risposta. [DAFNE] Or guata modi!

guata che dispettosa giovinetta!

Or rispondimi almen: s'altri t'amasse,

gradiresti il suo amore in questa guisa?

[SILVIA] In questa guisa gradirei ciascuno

insidiator di mia virginitate,

che tu dimandi amante, ed io nimico.

[DAFNE] Stimi dunque nemico

il monton de l'agnella?

de la giovenca il toro?

Stimi dunque nemico

il tortore a la fida tortorella?

Stimi dunque stagione

di nimicizia e d'ira

la dolce primavera,

ch'or allegra e ridente

riconsiglia ad amare

il mondo e gli animali

e gli uomini e le donne? e non t'accorgi

come tutte le cose

or sono innamorate

d'un amor pien di gioia e di salute?

Mira là quel colombo

con che dolce susurro lusingando

bacia la sua compagna.

Odi quell'usignuolo

che va di ramo in ramo

cantando: «Io amo, io amo»; e, se no 'l sai,

la biscia lascia il suo veleno e corre

cupida al suo amatore;

van le tigri in amore;

ama il leon superbo; e tu sol, fiera

più che tutte le fere,

albergo gli dineghi nel tuo petto.

Ma che dico leoni e tigri e serpi,

che pur han sentimento? amano ancora

gli alberi. Veder puoi con quanto affetto

e con quanti iterati abbracciamenti

la vite s'avviticchia al suo marito;

l'abete ama l'abete, il pino il pino,

l'orno per l'orno e per la salce il salce

e l'un per l'altro faggio arde e sospira.

Quella quercia, che pare

sì ruvida e selvaggia,

sent'anch'ella il potere

de l'amoroso foco; e, se tu avessi

spirto e senso d'amore, intenderesti

i suoi muti sospiri. Or tu da meno

esser vuoi de le piante,

per non esser amante?

Cangia, cangia consiglio,

pazzarella che sei.

[SILVIA] Or su, quando i sospiri

udirò de le piante,

io son contenta allor d'esser amante.

[DAFNE] Tu prendi a gabbo i miei fidi consigli

e burli mie ragioni? O in amore

sorda non men che sciocca! Ma va pure,

ché verrà tempo che ti pentirai

non averli seguiti. E già non dico

allor che fuggirai le fonti, ov'ora

spesso ti specchi e forse ti vagheggi,

allor che fuggirai le fonti, solo

per tema di vederti crespa e brutta;

questo averratti ben; ma non t'annuncio

già questo solo, ché, bench'è gran male,

è però mal commune. Or non rammenti

ciò che l'altr'ieri Elpino raccontava,

il saggio Elpino a la bella Licori,

Licori ch'in Elpin puote con gli occhi

quel ch'ei potere in lei dovria col canto,

se 'l dovere in amor si ritrovasse?

E 'l raccontava udendo Batto e Tirsi

gran maestri d'amore, e 'l raccontava

ne l'antro de l'Aurora, ove su l'uscio

è scritto: «Lungi, ah lungi ite, profani».

Diceva egli, e diceva che glie 'l disse

quel grande che cantò l'armi e gli amori,

ch'a lui lasciò la fistola morendo,

che là giù ne lo 'nferno è un nero speco,

là dove essala un fumo pien di puzza

da le triste fornaci d'Acheronte;

e che quivi punite eternamente

in tormenti di tenebre e di pianto

son le femine ingrate e sconoscenti.

Quivi aspetta ch'albergo s'apparecchi

a la tua feritate;

e dritto è ben ch'il fumo

tragga mai sempre il pianto da quegli occhi,

onde trarlo giamai

non poté la pietate.

Segui, segui tuo stile,

ostinata che sei.

[SILVIA] Ma che fe' allor Licori? e com' rispose

a queste cose? [DAFNE] Tu de' fatti propri

nulla ti curi, e vuoi saper gli altrui.

Con gli occhi gli rispose.

[SILVIA] Come risponder sol poté con gli occhi?

[DAFNE] Risposer questi con dolce sorriso,

volti ad Elpino: «Il core e noi siam tuoi;

tu bramar più non déi: costei non puote

più darti». E tanto solo basterebbe

per intiera mercede al casto amante,

se stimasse veraci come belli

quegli occhi, e lor prestasse intera fede.

[SILVIA] E perché lor non crede? [DAFNE] Or tu non sai

ciò che Tirsi ne scrisse, allor ch'ardendo

forsennato egli errò per le foreste,

sì ch'insieme movea pietate e riso

ne le vezzose ninfe e ne' pastori?

Né già cose scrivea degne di riso,

se ben cose facea degne di riso.

Lo scrisse in mille piante, e con le piante

crebbero i versi; e così lessi in una:

«Specchi del cor, fallaci infidi lumi,

ben riconosco in voi gli inganni vostri:

ma che pro', se schivarli Amor mi toglie?»

[SILVIA] Io qui trapasso il tempo ragionando,

né mi sovviene ch'oggi è 'l dì prescritto

ch'andar si deve a la caccia ordinata

ne l'Eliceto. Or, se ti pare, aspetta

ch'io pria deponga nel solito fonte

il sudore e la polve, ond'ier mi sparsi

seguendo in caccia una damma veloce,

ch'al fin giunsi ed ancisi. [DAFNE] Aspetterotti,

e forse anch'io mi bagnerò nel fonte.

Ma sino a le mie case ir prima voglio,

ché l'ora non è tarda, come pare.

Tu ne le tue m'aspetta ch'a te venga,

e pensa in tanto pur quel che più importa

de la caccia e del fonte; e, se non sai,

credi di non saper, e credi a' savi.

 

 




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