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Torquato Tasso
Aminta

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ATTO TERZO

 

Scena prima - Tirsi, coro

 

[TIRSI] Oh crudeltate estrema, oh ingrato core,

oh donna ingrata, oh tre fiate e quattro

ingratissimo sesso! E tu, natura,

negligente maestra, perché solo

a le donne nel volto e in quel di fuori

ponesti quanto in loro è di gentile,

di mansueto e di cortese, e tutte

l'altre parti obliasti? Ahi, miserello,

forse ha se stesso ucciso; ei non appare;

io l'ho cerco e ricerco omai tre ore

nel loco ov'io il lasciai e nei contorni:

né trovo lui né orme de' suoi passi.

Ahi, che s'è certo ucciso! Io vo' novella

chiederne a que' pastor che colà veggio.

Amici, avete visto Aminta, o inteso

novella di lui forse? [CORO] Tu mi pari

così turbato: e qual cagion t'affanna?

Ond'è questo sudor, e questo ansare?

Havvi nulla di mal? fa che 'l sappiamo.

[TIRSI] Temo del mal d'Aminta: avetel visto?

[CORO] Noi visto non l'abbiam dapoi che teco,

buona pezza, partì; ma che ne temi?

[TIRSI] Ch'egli non s'abbia ucciso di sua mano.

[CORO] Ucciso di sua mano? or perché questo?

che ne stimi cagione? [TIRSI] Odio ed Amore.

[CORO] Duo potenti inimici, insieme aggiunti,

che far non ponno? Ma parla più chiaro.

[TIRSI] L'amar troppo una ninfa, e l'esser troppo

odiato da lei. [CORO] Deh, narra il tutto;

questo è luogo di passo, e forse intanto

alcun verrà che nova di lui rechi:

forse arrivar potrebbe anch'egli istesso.

[TIRSI] Dirollo volontier, ché non è giusto,

che tanta ingratitudine e sì strana

senza l'infamia debita si resti.

Presentito avea Aminta (ed io fui lasso,

colui che riferì'lo e che 'l condussi:

or me ne pento) che Silvia dovea

con Dafne ire a lavarsi ad una fonte.

Là dunque s'inviò dubbio ed incerto,

mosso non dal suo cor, ma sol dal mio

stimolar importuno; e spesso in forse

fu di tornar indietro, ed io 'l sospinsi,

pur mal suo grado, inanzi. Or quando omai

c'era il fonte vicino, ecco, sentiamo

un feminil lamento; e quasi a un tempo

Dafne veggiam, che battea palma a palma;

la qual, come ci vide, alzò la voce:

«Ah, correte,» gridò «Silvia è sforzata».

L'inamorato Aminta, che ciò intese,

si spiccò com'un pardo, ed io seguì'lo;

ecco miriamo a un'arbore legata

la giovinetta, ignuda come nacque,

ed a legarla fune era il suo crine:

il suo crine medesmo in mille nodi

a la pianta era avvolto; e 'l suo bel cinto,

che del sen virginal fu pria custode,

di quello stupro era ministro, ed ambe

le mani al duro tronco le stringea;

e la pianta medesma avea prestati

legami contra lei: ch'una ritorta

d'un pieghevole ramo avea a ciascuna

de le tenere gambe. A fronte a fronte

un satiro villan noi le vedemmo,

che di legarla pur allor finia.

Ella quanto potea faceva schermo;

ma che potuto avrebbe a lungo andare?

Aminta, con un dardo che tenea

ne la man destra, al satiro avventossi

come un leone, ed io fra tanto pieno

m'avea di sassi il grembo, onde fuggissi.

Come la fuga de l'altro concesse

spazio a lui di mirare, egli rivolse

i cupidi occhi in quelle membra belle,

che, come suole tremolare il latte

ne' giunchi, sì parean morbide e bianche.

E tutto 'l vidi sfavillar nel viso;

poscia accostossi pianamente a lei

tutto modesto, e disse: «O bella Silvia,

perdona a queste man, se troppo ardire

è l'appressarsi a le tue dolci membra,

perché necessità dura le sforza:

necessità di scioglier questi nodi;

né questa grazia, che fortuna vuole

conceder loro, tuo mal grado sia».

[CORO] Parole d'ammollir un cor di sasso.

Ma che rispose allor? [TIRSI] Nulla rispose,

ma disdegnosa e vergognosa a terra

chinava il viso, e 'l delicato seno,

quanto potea torcendosi, celava.

Egli, fattosi inanzi, il biondo crine

cominciò a sviluppare, e disse in tanto:

«Già di nodi sì bei non era degno

così ruvido tronco: or, che vantaggio

hanno i servi d'Amor, se lor commune

è con le piante il prezioso laccio?

Pianta crudel, potesti quel bel crine

offender tu, ch'a te feo tanto onore?»

Quinci con le sue man le man le sciolse,

in modo tal che parea che temesse

pur di toccarle, e desiasse insieme;

si chinò poi per islegarle i piedi;

ma come Silvia in libertà le mani

si vide, disse in atto dispettoso:

«Pastor, non mi toccar: son di Diana;

per me stessa saprò sciogliermi i piedi».

[CORO] Or tanto orgoglio alberga in cor di ninfa?

Ahi d'opra graziosa ingrato merto!

[TIRSI] Ei si trasse in disparte riverente,

non alzando pur gli occhi per mirarla,

negando a se medesmo il suo piacere,

per tôrre a lei fatica di negarlo.

Io, che m'era nascoso, e vedea il tutto

ed udia il tutto, allor fui per gridare;

pur mi ritenni. Or odi strana cosa.

Dopo molta fatica ella si sciolse;

e, sciolta a pena, senza dire «A Dio»,

a fuggir cominciò com'una cerva;

e pur nulla cagione avea di tema,

ché l'era noto il rispetto d'Aminta.

[CORO] Perché dunque fuggissi? [TIRSI] A la sua fuga

volse l'obligo aver, non a l'altrui

modesto amore. [CORO] Ed in quest'anco è ingrata.

Ma che fe' 'l miserello allor? che disse?

[TIRSI] No 'l so, ch'io, pien di mal talento, corsi

per arrivarla e ritenerla, e 'nvano,

ch'io la smarrii; e poi tornando dove

lasciai Aminta al fonte, no 'l trovai;

ma presago è il mio cor di qualche male.

So ch'egli era disposto di morire,

prima che ciò avvenisse. [CORO] È uso ed arte

di ciascun ch'ama minacciarsi morte;

ma rade volte poi segue l'effetto.

[TIRSI] Dio faccia ch'ei non sia tra questi rari.

[CORO] Non sarà, no. [TIRSI] Io voglio irmene a l'antro

del saggio Elpino: ivi, s'è vivo, forse

sarà ridotto, ove sovente suole

raddolcir gli amarissimi martiri

al dolce suon de la sampogna chiara,

ch'ad udir trae dagli alti monti i sassi,

e correr fa di puro latte i fiumi,

e stillar mele da le dure scorze.

 

 




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