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Luigi Romanelli
La pietra del paragone

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  • ATTO SECONDO
    • Scena diciottesima. Clarice in abito militare, il Conte Asdrubale e il Cavalier Giocondo
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Scena diciottesima. Clarice in abito militare, il Conte Asdrubale e il Cavalier Giocondo

 

Conte
(in atto di pregare)
Scusate, Capitan...

Clarice
(in aspetto fiero)
Tutto m'è noto.

Conte
Ch'io sappia almen da lei...

Clarice
No, mia sorella
Più non vedrete.
(a Giocondo)
Cavaliere, a voi
La destra io n'offro.

Giocondo
Io la ricuso: amico
Prima che amante, io fui.

Clarice
La vostra ammiro
Non volgare amistà. Lungi da questi
Lidi per lei funesti
Clarice io condurrò.

Conte
(con sorpresa ed affanno)
Voi?

Clarice
(con forza)
Sì.

Conte
(smanioso a Glocondo)
(Me stesso
In me non trovo.)

Clarice
(In quelle smanie io veggo
Il mio trionfo.)

Conte
(a Clarice quasi piangendo)
E partirà Clarice
Per non tornar mai più?

Clarice
D'avervi amato
Arrossirà, quando ragione e tempo
Resa le avran la sospirata calma.

Conte
(appoggiandosi a Giocondo)
Oh Dio!.. qual su quest'alma
Piomba improvviso gel!.. d'amarla tanto
Io non credea.

Clarice
pianto
A lei giovò, né tolleranza e fede
Anche in mezzo ai disastri.

Conte
Ah! sì, conosco
Per mia pena maggior tutte in un punto
Le sue virtù.
(a Clarice in aria supplichevole)
Deh...

Clarice
(con enfasi)
No.

Conte
Crudel!.. se fosse
Clarice qui... se me vedesse... Oh quanto!..

Clarice
(Resisto appena.)

Conte
Oh quanto mai Natura
Sotto eguali sembianze
Vi distinse nel cor!

Giocondo
Deh! alfin vi basti
Il pentimento, il suo rossor...

Clarice
(con enfasi, come sopra)
No.

Conte
(a Giocondo)
Cessa...
Lasciami, amico, a quel destino in preda,
Che a me stesso io formai. Da te Clarice
Sappia almen ch'io l'adoro,
Che le follie, che il mio rigor condanno,
E che forse per lei morrò d'affanno.

(a Clarice)
Ah! se destarti in seno
Per me pietà non senti,
Lascia ch'io speri almeno
Dall'idol mio pietà.

(a Giocondo)
Caro amico, ah! tu lo vedi...
Ah! di me che mai sarà?
(a Clarice)
Al mio duol se tu non cedi,
Mostro sei di crudeltà.

(all'uno e all'altra)
Non vedrò mai più Clarice:
E fia vero?.. oh me infelice!
(a Clarice fissando in lei lo sguardo)
Le sembianze in te ravviso:
Il tuo volto in due diviso
M'innamora, e orror mi fa.

Più bramar non so che morte;
Altra speme a me non resta:
L'ora estrema, oh Dio! fu questa
Della mia felicità.
(parte furiosamente e Giocondo lo segue)

Clarice
[ Quanto costa una colpa!
Quanto soffersi a simular non usa,
Né ad infierir! povero Conte! amarlo,
Saper che m'ama e maltrattarlo! è vero:
Ma de' comuni affetti
Stato ei sarebbe ad onta sua tiranno,
S'io non compìa questo felice inganno. ]




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