Scena diciottesima ed ultima. Martino
e detti, indi Don Eusebio con Ernestina e Don Parmenione
Martino
Miei signori, allegramente,
ogni imbroglio è accomodato.
Berenice
Cosa dici?
Alberto
Cosa è stato?
Martino
Ciò ch'è stato, non val niente,
buono è ciò che seguirà.
Alberto
Dunque?..
Berenice
Parla...
Martino
Appunto or viene,
chi più chiaro parlerà.
Eusebio
Ah nipote!
Ernestina
Amica mia!
Parmenione
Io son vostro servitore.
Berenice
D'onde vien quest'allegria?
Alberto
D'onde mai tal buon umore?
Eusebio
Non vedete?
Ernestina
Non capite?
Parmenione
D'ascoltar se favorite,
tutto noto si farà.
Voi padron mi avete eletto
per un gioco della sorte
delle vostre proprietà:
io per esserlo in effetto,
volli ancor che la cosorte
diventasse mia metà;
e fu sol questo ritratto,
che colpevole mi ha fatto
di sì gran bestialità.
Berenice
Come mai?..
Alberto
Di mia sorella
il ritratto è questo qua.
Alla sposa mia novella
era in dono destinato.
Parmenione
Vidi anch'io d'aver sbagliato,
ma allor tardi era di già.
Eusebio
Dunque?..
Parmenione
Invece ho ritrovato,
ciò che appunto io ricercava.
Martino
Così amore ha qui pigliato
due piccioni ad una fava.
Parmenione
Spero poi, che scuserete...
Berenice
Già scusato appien voi siete.
Ernestina
Io per me contenta sono.
Alberto
Io v'abbraccio, e vi perdono.
Eusebio
Ed un doppio matrimonio
la burletta finirà.
Tutti
D'un sì placido contento
sia partecipe ogni core,
e costante il Dio d'amore
renda il nostro giubilar;
e se a caso l'occasione
l'uom fa ladro diventar,
c'è talvolta una ragione,
che lo può legitimar.
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