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Giacomo Ferretti
Torquato Tasso

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  • ATTO SECONDO
    • Scena terza. Duca, Gherardo e i cortigiani nascosti
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Scena terza. Duca, Gherardo e i cortigiani nascosti

 

DUCA
Don Gherardo? Eleonora
vedeste?

GHERARDO
Altezza, no.

DUCA
E sapete ove stia?

GHERARDO
Davver nol so.

DUCA
Impossibile par! Tutto sapete!

GHERARDO
Eh! non fo per lodarmi...
Ma scoprir so gran cose!
E quel foglio del Tasso, quello scandalo
che da me fu scoverto,
fu un'impresa sublime.

DUCA
Oh! certo... certo.
Degna di voi.

GHERARDO
Grazie, mio prence!

DUCA
Ed amo
che voi sappiate, e chi v'imita...

GHERARDO
Dica.

DUCA
Che nel mio petto ho un'alma della viltà nimica;
che regno, e regnar so.

GHERARDO
Capisco.

DUCA
Sdegno
mi destano i curiosi, e abborro a morte
i delatori, e non li voglio in corte.

Parte dando un'occhiata severa a Don Gherardo;
i cortigiani, che da lunge hanno visto ed udito, lentamente
avanzandosi, circondano Don Gherardo.

CORO
Don Gherardo! Il vaticinio
alla fin restò compito.
Il curioso fu punito
della sua curiosità.
Vi compiango. Il caso è strano!
La Scandiano v'ha scartato.
A un poeta, ad un Torquato
v'ha posposto la beltà!

GHERARDO
(scuotendosi dall'umiliazione in cui era rimasto)
Io posposto ad un Torquato,
io che sono un titolato,
che per stipite discesi
da tre conti e sei marchesi,
e per linea trasversale
son di razza baronale?
A un bisbetico, a un astratto,
perdigiorno, chiacchierone,
imprudente, mezzo- matto,
che si crede un Cicerone,
io posposto? Io che son critico,
diplomatico, politico,
numismatico, geografo,
archeologo, istoriografo,
metafisico, idrostatico,
nel digesto catedratico
epigrafico, botanico,
anatomico, meccanico,
algebraico, pubblicista,
finanziere, economista,
e intendente di perfette
ceremonie ed etichette?
Mia bellissima Scandiano,
nello scegliere t'inganni...

CORO
Forse sol vi tien lontano
per i vostri sessant'anni...

GHERARDO
Che sessanta! Cinquantotto;
e ad un nobile, e ad un dotto
non si conta mai l'età.

CORO
Son momenti ancora i secoli
se li guardano i sapienti;
ma son secoli i momenti
se li guarda la beltà.

GHERARDO
Ma poniam, che sian sessanta;
fra i più giovani campioni
come me chi mai si vanta
di cartocci, e cavazioni?
Nessun balla, e ci scommetto,
più maestoso il minuetto.
Se vo a piedi, ai piedi ho l'ale,
e a cavallo ho un certo orgoglio,
che rassembro tale e quale
Marc'Aurelio in Campidoglio.
Fresco, vegeto, robusto,
io mi abbiglio di buon gusto,
ed il Tasso, poverino!
magro, magro, sottilino,
ogni fa una gran via
verso l'asma e l'etisìa.
Lo compiango, e l'ho con lei
che fu cieca ai merti miei,
e si crede idolatrata,
e non sa ch'è corbellata;
ché a riflettere ben bene,
quelle scuse, quei lamenti,
quelle smorfie, quelle scene,
quei languor, quei svenimenti
provan, proprio ad evidenza,
che nel cor la preferenza
come a un'idolo d'amore
delle nostre Eleonore
dona il Tasso solo a quella,
che del Duca è la sorella,
e quell'altra equivocò,
e veder glie la farò,
e vendetta appien n'avrò.

CORO
Qual vendetta?

GHERARDO
Cercherò.

CORO
Che farete?

GHERARDO
Ancor nol so.
Ma instancabile sarò
finché a capo ne verrò.
Amici! Ah! voi solleciti
d'intorno pur guardate:
gli angoli più reconditi,
le mura interrogate,
e dalle mute tenebre
il vero scoppierà,
e l'orgogliosa femina
di stucco resterà.

CORO
Sguardi, dimande, indagini
noi non risparmieremo.
Fin del silenzio interpreti
il vero cercheremo,
e questa cifra incognita
alfin si scioglierà.
Tardi l'altera femina
delusa piangerà.

Partono tutti da varie bande divisi, ma richiamati
parecchie volte i cavalieri da Don Gherardo,
s'impazientano e gridano.

CORO
Ma di ciarlar cessate.
Partir, deh! ci lasciate.
Ché se restiamo immobili
mai nulla si saprà.

GHERARDO
Andate, andate, andate:
d'un cavalier pietà.

Partono.




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