3. Diventare
strumenti di pace
37. Nel 1997, durante il conflitto tra
le etnie Kuki-Paite a Manipur (India), circa 400 persone hanno perso la vita,
centinai di villaggi sono stati incendiati e migliaia di persone sono rimaste
senza tetto. La lotta violenta è durata per mesi. Siamo riusciti ad avere un
incontro con i rappresentanti di entrambi i gruppi a Guwahati e a Churachanpur.
Conservo ancora la pallottola che mi sono guadagnato a Churachanpur. La pace è
finalmente arrivata nel 1998. In questa zona appena l'1% sono Cattolici, anche
se i Cristiani sono numerosi.
38. Tra il 1996-97, durante il
conflitto tra le etnie Bodo e Adivasi, intorno a Kokrajarh, Assam (India), un
egual numero di persone hanno perso la vita e circa 200.000 persone sono
rimaste senza tetto. Almeno 180.000 vivono tuttora nei campi dei rifugiati. I
leader della Chiese hanno guadagnato credibilità rendendo servizi umanitari per
alcuni mesi e organizzando una serie di incontri per la pace a Guwahati,
Kokrajarh e Gossaigaon fino al cessare dell'ostilità. Circa il 5% della
popolazione delle due etnie è Cattolica, la maggioranza, però, è non Cristiana.
39. È stata una fortuna poter
organizzare non solo attività come incontri, campagne, riunioni, momenti di
preghiera, azioni simboliche, campagne di firme, club per la pace e produrre
strumenti educativi quali fascicoletti, poster e slogan insieme ai miei amici
ecumenici, ma lo è stata anche poter partecipare direttamente alle negoziazioni
per la pace.
Condivido con voi
alcune cose che ho imparato durante la mia esperienza per la promozione della
pace.
40. Con l'aumento delle situazioni di
violenza in tutto il mondo, la promozione della pace è diventato il compito
centrale e più urgente di ogni cittadina/o. Per oltre un secolo siamo state/i
alimentate/i dalla filosofia e dagli ideali di lotta per la giustizia e per i nostri
diritti. Di conseguenza, è cresciuto il nostro spirito combattivo mentre sono
calate le nostre capacità conciliative.
41. Noi sappiamo che la Bibbia ha
glorificato le opere di pace (Mt 5, 9; 5, 20; 5, 40ss; Rom 12, 17-21), mentre
Nietzsche ha criticato la compassione e glorificato la violenza.
42. In ogni conflitto diamo per
scontato che una parte abbia ragione e l'altra torto, che una sia un demonio e
l'altra una vittima indifesa e che dobbiamo prendene le parti e lottare per
essa. In questo modo non possiamo diventare mediatori/trici tra i due gruppi.
La maggioranza dei
contendenti sono convinti di lottare per una causa giusta. Ciascuno ritiene di
lottare per la giustizia a favore del proprio popolo. Quindi le due percezioni
di giustizia, si scontrano. E quando la giustizia si scontra con la giustizia,
il/la mediatore/trice di pace rimane con le mani legate. La prima cosa da tener
presente in un'esperienza per la promozione della pace, è quella di prepararsi
ad affrontare il fallimento.
43. Occorre anche ricordare che non
sarai in grado di iniziare il processo di riconciliazione e il dialogo tra i
due gruppi contendenti se non hai in
cuore una carica di simpatia per le loro cause. L'eccessiva predica e le
retoriche pacifiste nello stadio iniziale del dialogo possono suonare
provocatorie e umilianti. La frettolosa condanna può esasperare i gruppi. Anche
se tu credi che la loro rivendicazione sia esagerata, tuttavia, se non hai
empatia profonda per le loro cause, ammirazione per la passione con cui
perseguono i loro fini, stima per il senso di giustizia che li anima o per il
loro approccio ai problemi, o almeno uno degli aspetti citati, non si apriranno
mai con te.
44. Ma quando sei profondamente
toccata/o dall'immensità delle loro lagnanze e sei capace di comprendere (anche
se non necessariamente approvare) gli eccessi a cui la loro legittima ira
(almeno secondo la loro opinione) li ha spinti, a poco a poco essi inizieranno
ad accogliere le tue proposte. Questo processo vale per entrambi i gruppi
contendenti.
45. Nessuno dei due gruppi ti chiede
di condonare i loro eccessi, chiedono solo di capire il perché siano giunti a tali
esagerazioni. Non ti chiedono di parlare molto, ma di sentire intensamente. Non
ti chiedono di appropriarti della loro rabbia, ma di sperimentare il loro
dolore per la situazione inumana in cui si sono ingabbiati al momento (a cui,
certamente, loro stessi hanno contribuito).
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