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Giacomo Leopardi Canti IntraText CT - Lettura del testo |
VI
Poi che divelta, nella tracia polve
L'italica virtute, onde alle valli
D'Esperia verde, e al tiberino lido,
Il calpestio de' barbari cavalli
Prepara il fato, e dalle selve ignude
A spezzar le romane inclite mura
Sudato, e molle di fraterno sangue,
Bruto per l'atra notte in erma sede,
Fermo già di morir, gl'inesorandi
Invan la sonnolenta aura percote.
Stolta virtù, le cave nebbie, i campi
Son le tue scole, e ti si volge a tergo
Il pentimento. A voi, marmorei numi,
(Se numi avete in Flegetonte albergo
O su le nubi) a voi ludibrio e scherno
A cui templi chiedeste, e frodolenta
Dunque tanto i celesti odii commove
La terrena pietà? dunque degli empi
Siedi, Giove, a tutela? e quando esulta
Ne' giusti e pii la sacra fiamma stringi?
Preme il destino invitto e la ferrata
Schiavi di morte: e se a cessar non vale
Gli oltraggi lor, de' necessarii danni
Si consola il plebeo. Men duro è il male
Che riparo non ha? dolor non sente
Guerra mortale, eterna, o fato indegno,
Teco il prode guerreggia,
Di cedere inesperto; e la tiranna
Tua destra, allor che vincitrice il grava,
Indomito scrollando si pompeggia,
E maligno alle nere ombre sorride.
Spiace agli Dei chi violento irrompe
Tanto valor ne' molli eterni petti.
Forse i travagli nostri, e forse il cielo
I casi acerbi e gl'infelici affetti
Giocondo agli ozi suoi spettacol pose?
Ma libera ne' boschi e pura etade
Natura a noi prescrisse,
Reina un tempo e Diva. Or poi ch'a terra
Sparse i regni beati empio costume,
E il viver macro ad altre leggi addisse;
Riede natura, e il non suo dardo accusa?
Di colpa ignare e de' lor proprii danni
Serena adduce al non previsto passo
La tarda età. Ma se spezzar la fronte
Ne' rudi tronchi, o da montano sasso
Dare al vento precipiti le membra,
O tenebroso ingegno. A voi, fra quante
Stirpi il cielo avvivò, soli fra tutte,
Figli di Prometeo, la vita increbbe;
Soli, o miseri, a voi Giove contende.
E tu dal mar cui nostro sangue irriga,
E l'inquieta notte e la funesta
All'ausonio valor campagna esplori.
Cognati petti il vincitor calpesta,
Fremono i poggi, dalle somme vette
Tu sì placida sei? Tu la nascente
Lieti vedesti, e i memorandi allori;
E tu su l'alpe l'immutato raggio
Tacita verserai quando ne' danni
Rintronerà quella solinga sede.
Ecco tra nudi sassi o in verde ramo
Del consueto obblio gravido il petto,
L'alta ruina ignora e le mutate
Sorti del mondo: e come prima il tetto
Rosseggerà del villanello industre,
Quel desterà le valli, e per le balze
Oh casi! oh gener vano! abbietta parte
Siam delle cose; e non le tinte glebe,
Né scolorò le stelle umana cura.
Non io d'Olimpo o di Cocito i sordi
E non la notte moribondo appello;
Non te, dell'atra morte ultimo raggio,
Conscia futura età. Sdegnoso avello
Placàr singulti, ornàr parole e doni
Precipitano i tempi; e mal s'affida
L'onor d'egregie menti e la suprema
De' miseri vendetta. A me dintorno
Le penne il bruno augello avido roti;
E l'aura il nome e la memoria accoglia.