II
Affossata, polverosa, appena tracciata in principio, ha l'aria e la mala
grazia di chi, aspettandosi di star tranquillo, si veda, al contrario, seccato
di continuo.
Ma se non ha diritto a qualche fresco cespuglietto d'erba, a tutti quei
fili di suono sottili vaganti, con cui il silenzio nelle solitudini tesse la
pace, al quacquà di qualche raganella quando piove e le pozze d'acqua piovana
rispecchiano nella notte rasserenata le stelle; insomma a tutte le delizie
della natura aperta e deserta, una strada di campagna, parecchi chilometri fuor
di porta, non so chi l'abbia, veramente.
Invece: automobili, carrozze, carri, biciclette, e tutto il giorno un
trànsito ininterrotto d'attori, d'operatori, di macchinisti, d'operaj, di
comparse, di fattorini, e frastuono di martelli, di seghe, di pialle, e
polverone e puzzo di benzina.
Gli edificii, alti e bassi, della grande Casa cinematografica si levano in
fondo alla strada, da una parte e dall'altra; ne sorgono alcuni più là,
senz'ordine, entro il vastissimo recinto, che si estende e spazia nella
campagna: uno, più alto di tutti, è sovrastato come da una torre vetrata, di
vetri opachi, che sfòlgorano al sole; e nel muro in vista dalla strada e dal
viale, su la bianchezza abbarbagliante della calce, a lettere nere, cubitali,
sta scritto:
LA “KOSMOGRAPH”
L'entrata è a sinistra, da una porticina accanto al cancello, che s'apre di
rado. Dirimpetto è un'osteria di campagna, battezzata pomposamente Trattoria
della Kosmograph, con una bella pergola su l'incannucciata, che ingabbia
tutto il così detto giardino e vi fa dentro un'aria verde. Cinque o sei tavole
rustiche, dentro, non molto ferme su i quattro piedi, e seggiole e panchette.
Parecchi attori, truccati e parati di strani costumi, vi seggono e discutono
animatamente; uno grida più forte di tutti, battendosi con furia una mano su la
coscia:
- E io vi dico che bisogna prenderla qua, qua, qua!
E le manate, su i calzoni di pelle, pajono spari.
Parlano certo della tigre, comperata or è poco dalla Kosmograph; del
modo come dev'essere uccisa; del punto preciso in cui dev'essere colpita. Se ne
son fatta una fissazione. A sentirli, pare che siano tutti di professione
cacciatori di bestie feroci.
Affollati innanzi all'entrata, stanno ad ascoltarli con visi ridenti gli
chauffeurs delle vetturette, automobili, logore, impolverate; i vetturini delle
carrozzelle in attesa, là in fondo, ove la traversa è chiusa da una siepe di
stecchi e spuntoni; e tant'altra povera gente, la più miserabile ch'io mi
conosca, sebbene vestita con una certa decenza. Sono (chiedo scusa, ma qui
tutto ha nome francese o inglese) sono i cachets avventizii, coloro cioè
che vengono a profferirsi, a un bisogno, per comparse. La loro petulanza è
insoffribile, peggio di quella dei mendicanti; perché qua si viene a esibire
una miseria, che non chiede la carità d'un soldo, ma cinque lire, per
mascherarsi spesso grottescamente. Bisogna vedere che ressa, certi giorni, nel
magazzino-vestiario per ghermire e indossar subito qualche straccio vistoso, e
con quali arie se lo portano a spasso per le piattaforme e gli sterrati,
sapendo bene che, quando riescano a vestirsi, anche se non posano,
tiran la mezza paga.
Due, tre attori vengono fuori dalla trattoria, facendosi largo tra la
ressa. Sono coperti d'una maglia color zafferano, col viso e le braccia
impiastricciati di giallo sporco e una specie di cresta di penne colorate in
capo. Indiani. Mi salutano:
- Ciao, Gubbio.
- Ciao, Si gira...
Si gira è il mio nomignolo. Già!
Càpita a una pacifica tartaruga d'acquattarsi proprio là, dove un
ragazzaccio maleducato si china per fare un suo bisogno. Poco dopo, la povera
bestiola ignara riprende pacificamente il suo tardo andare con su la scaglia il
bisogno di quel ragazzaccio, torre inopinata.
Intoppi della vita!
Voi ci avete perduto un occhio, e il caso è stato grave. Ma siamo tutti,
chi più chi meno, segnati, e non ce n'accorgiamo. La vita ci segna; e a chi
attacca un vezzo, a chi una smorfia.
No? Ma scusate, voi, proprio voi che dite di no... ecco, magnificamente...
non inzeppate di continuo tutti i vostri discorsi di questo avverbio in -mente?
“Andai magnificamente dove m'indicarono: lo vidi e gli dissi
magnificamente: Ma come, tu, magnificamente...”
Abbiate pazienza! Nessuno ancora vi chiama Signor Magnificamente...
Serafino Gubbio (Si gira...) è stato più disgraziato. Senza
accorgermene, mi sarà avvenuto forse qualche volta, o più volte di seguito, di
ripetere, dopo il direttore di scena, la frase sacramentale: - Si gira...
-; l'avrò ripetuta con la faccia composta a quell'aria che mi è propria, di
professionale impassibilità, ed è bastato questo, perché tutti ora qua, per
suggerimento di Fantappiè, mi chiamino Si gira...
Tutti i pubblici d'Italia conoscono Fantappiè, l'attore comico della Kosmograph,
che s'è specializzato nella caricatura della vita militare: Fantappiè
consegnato in caserma e Fantappiè al campo di tiro; Fantappiè
alle grandi manovre e Fantappiè areostiere; Fantappiè di
sentinella e Fantappiè soldato coloniale...
Egli se l'è appiccicato da sé, il nomignolo: un nomignolo che quadra bene
alla sua specialità. Allo stato civile si chiama Roberto Chismicò.
- Cicchetto, te ne sei avuto a male, che t'ho messo Si gira? - mi
domandò, tempo fa.
- No, caro - gli risposi sorridendo. - M'hai bollato.
- Mi son bollato anch'io, va' là!
Tutti bollati, sì. E più di tutti, quelli che meno se ne accorgono, caro
Fantappiè.
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