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Luigi Pirandello Quaderni di Serafino Gubbio IntraText CT - Lettura del testo |
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V
Non si sta invano, capirete, per una mezz'ora a guardare e a considerare una tigre, a vedere in essa un'espressione della terra, ingenua, di là dal bene e dal male, incomparabilmente bella e innocente nella sua potenza feroce. Prima che da questa “originarietà” si scenda e s'arrivi a poter vedere innanzi a noi uno, o una che sia, dei giorni nostri, e a poter riconoscerla e considerarla come un'abitante della stessa terra - almeno per me; non so se anche per voi - ci vuole un bel po'. Rimasi dunque per un pezzo a guardare la signora Nestoroff senza riuscire a intendere ciò che mi diceva. Ma la colpa, in verità, non era soltanto mia e della tigre. Il fatto ch'ella mi rivolgesse la parola era insolito; e facilmente, se ci parli di sorpresa qualcuno con cui non abbiamo avuto relazioni di sorta, stentiamo in prima a cogliere il senso, talvolta anche il suono delle parole più comuni e domandiamo: In poco più d'otto mesi, che son qui, tra me e lei, oltre i saluti, ci sarà stato lo scambio d'appena una ventina di parole. Poi, ella - sì, ci fu anche questo - appressandosi, cominciò a parlarmi con molta volubilità, come si suol fare quando vogliamo distrarre l'attenzione di qualcuno che ci sorprenda in qualche atto o pensiero che vorremmo tener nascosto. (La Nestoroff parla con meravigliosa facilità e con perfetto accento la nostra lingua, come se fosse in Italia da molti anni: ma salta subito a parlar francese, appena appena, anche momentaneamente, si alteri o si riscaldi.) Voleva saper da me, se mi paresse che la professione dell'attore fosse tale, che una qualsiasi bestia (anche non metaforicamente) si potesse credere atta, senz'altro, a esercitarla. - Dove? - le domandai. - Ecco, - le spiegai, - se si tratta d'esercitarla qui, dove non c'è bisogno della parola, forse anche una bestia, perché no? può esser capace. La vidi infoscarsi in volto. - Sarà per questo - disse misteriosamente. Mi parve dapprima d'indovinare, ch'ella (come tutti gli attori di professione, scritturati qui) parlasse per dispetto di certuni, i quali, senz'averne bisogno, ma pur non sdegnando un guadagno facile, o per vanità, o per diletto, o per altro, trovano modo di farsi accettare dalla Casa e di prender posto tra gli attori, senza molta difficoltà, tolta di mezzo quella, che sarebbe più arduo per loro e forse impossibile superare senza un lungo tirocinio e una vera attitudine, voglio dire la recitazione. Ne abbiamo alla Kosmograph parecchi, che sono veri signori, tutti giovani tra i venti e i trent'anni, o amici di qualche forte caratista nell'Amministrazione della Casa, o caratisti essi stessi, che si dan l'aria d'assumere in qualche film questa o quella parte, che loro piaccia, solo per diporto; e la disimpegnano molto signorilmente, e qualcuno anche in maniera da far invidia a un vero attore. Ma, riflettendo poi sul tono misterioso con cui ella, infoscata all'improvviso, proferì quelle parole: - Sarà per questo, - il dubbio mi sorse, che forse le fosse arrivata la notizia che Aldo Nuti, non so ancora da qual parte, stia cercando la via per entrar qui. Questo dubbio mi turbò non poco. Perché veniva ella a domandare proprio a me, avendo in mente Aldo Nuti, se la professione dell'attore mi paresse tale, che ogni bestia potesse senz'altro credersi atta a esercitarla? Sapeva dunque della mia amicizia per Giorgio Mirelli? Non avevo ancora, e non ho tuttora, alcun motivo di crederlo. Dalle domande che accortamente le rivolsi per chiarirmene, non ho potuto almeno acquistarne la certezza. Non so perché, mi dispiacerebbe molto se ella sapesse che fui amico di Giorgio Mirelli, nella prima giovinezza di lui, e che mi fu familiare la villetta di Sorrento, ov'ella portò lo scompiglio e la morte. Non so perché - ho detto: ma non è vero; il perché lo so e n'ho già fatto anche cenno altrove. Non ho amore, ripeto qua, né potrei averne, per questa donna ma odio, neppure. Qua tutti la odiano; e già questa per me sarebbe ragione fortissima di non odiarla io. Sempre, nel giudicare gli altri, mi sono sforzato di superare il cerchio de' miei affetti, di cogliere nel frastuono della vita, fatto più di pianti che di risa, quante più note mi sia stato possibile fuori dell'accordo de' miei sentimenti. Ho conosciuto Giorgio Mirelli, ma come? ma quale? Qual egli era nelle relazioni che aveva con me. Tale, per me, ch'io l'amavo. Ma chi era egli e com'era nelle relazioni con questa donna? Tale, ch'ella potesse amarlo? Io non lo so! Certo, non era, non poteva essere uno - lo stesso - per me e per lei. E come potrei io dunque giudicare da lui questa donna? Abbiamo tutti un falso concetto dell'unità individuale. Oggi unità nelle relazioni degli elementi tra loro; il che significa che, variando anche minimamente le relazioni, varia per forza l'unità. Si spiega così, come uno, che a ragione sia amato da me, possa con ragione essere odiato da un altro. Io che amo e quell'altro che odia, siamo due: non solo; ma l'uno, ch'io amo, e l'uno che quell'altro odia, non son punto gli stessi; sono uno e uno: sono anche due. E noi stessi non possiamo mai sapere, quale realtà ci sia data dagli altri; chi siamo per questo e per quello. Ora, se la Nestoroff venisse a sapere che fui molto amico di Giorgio Mirelli, forse sospetterebbe in me un odio per lei ch'io non sento: e basterebbe questo sospetto a farla diventare subito un'altra per me, pur rimanendo io nella medesima disposizione d'animo per lei; si vestirebbe per me d'una parte che me ne nasconderebbe tante altre; e non potrei più studiarla, com'ora la studio, intera. Le parlai della tigre, dei sentimenti che la presenza di essa in questo luogo e la sua sorte destano in me; ma mi accorsi subito ch'ella non era in grado d'intenderli, non forse per incapacità, ma perché le relazioni, che tra lei e la belva si sono stabilite, non le consentono né pietà per essa, né sdegno per l'azione che qui sarà compiuta. Mi disse acutamente: - Finzione, sì; anche stupida, se volete; ma quando sarà sollevato lo sportello della gabbia e questa bestia sarà fatta entrare nell'altra gabbia più grande che figurerà un pezzo di bosco, con le sbarre nascoste da fronde, il cacciatore, per quanto finto come il bosco, avrà pur diritto di difendersi da essa, appunto perché essa, come voi dite, non è una bestia finta, ma una bestia vera. - Ma il male è appunto questo, - esclamai: - servirsi d'una bestia vera dove tutto sarà finto. - Chi ve lo dice? - rimbeccò pronta. - Sarà finta la parte del cacciatore; ma di fronte a questa bestia vera sarà pure un uomo vero! E v'assicuro che se egli non la ucciderà al primo colpo, o non la ferirà in modo d'atterrarla, essa, senza tener conto che il cacciatore sarà finto e finta la caccia, gli salterà addosso e sbranerà per davvero un uomo vero. Sorrisi dell'arguzia della sua logica e dissi: - Ma chi l'avrà voluto? Guardatela com'essa è qua! Non sa nulla, questa bella bestia, senza colpa della sua ferocia. Mi guardò con occhi strani, come in sospetto che volessi burlarmi di lei; ma poi sorrise anch'ella, alzò appena appena le spalle e soggiunse: - Vi sta tanto a cuore? Ammaestratela! Fatene una tigre attrice, che sappia fingere di cader morta al finto sparo d'un cacciatore finto, e tutto allora sarà accomodato. A seguitare, non ci saremmo mai intesi; perché se a me stava a cuore la tigre, a lei il cacciatore. Difatti il cacciatore designato a ucciderla è Carlo Ferro. La Nestoroff ne dev'essere molto costernata; e forse non viene qua, come vogliono i maligni, per studiare la sua parte, ma per misurare il pericolo che il suo amante affronterà. Il quale, anche lui, per quanto ostenti una sprezzante indifferenza, dev'esserne, in fondo, in apprensione. So che, parlando col direttore generale, commendator Borgalli, e anche sù negli uffici d'amministrazione, ha messo avanti molte pretese: un'assicurazione su la vita di almeno centomila lire, da dare a' suoi parenti che vivono in Sicilia, in caso di morte, che non sia mai; un'altra assicurazione, più modesta, nel caso d'inabilità al lavoro per qualche eventuale ferita, che non sia mai neppure questa; una grossa gratificazione, se tutto, com'è da augurarsi, andrà bene, e poi - pretesa curiosa, non suggerita certo, come le precedenti, da un avvocato - la pelle della tigre uccisa. La pelle della tigre sarà senza dubbio per la Nestoroff; per i piedini di lei; tappeto prezioso. Oh, ella avrà certo sconsigliato all'amante, pregando, scongiurando, d'assumere quella parte così pericolosa; ma poi, vedendolo deciso e impegnato, avrà suggerito lei, proprio lei, al Ferro, di pretendere almeno la pelle della tigre. Come “almeno”? Ma sì! Ch'ella gli abbia detto “almeno”, mi sembra proprio indubitabile. Almeno, cioè in compenso dell'ansia angosciosa che le costerà la prova, a cui egli s'esporrà. Non è possibile che sia venuta in mente a lui, a Carlo Ferro, l'idea d'aver la pelle della belva uccisa per metterla sotto i piedini della sua amante. Non è capace, Carlo Ferro, di tali idee. Basta guardarlo per convincersene: guardare quel suo nero testone villoso e burbanzoso di caprone. Egli sopravvenne, l'altro giorno, a interrompere la mia conversazione con la Nestoroff innanzi alla gabbia. Non si curò nemmeno di sapere di che cosa noi stessimo a parlare, come se per lui non potesse avere alcuna importanza una conversazione con me. Mi guardò appena, accostò appena la cannuccia di bambù al cappello per un cenno di saluto, guardò con la solita sprezzante indifferenza la tigre nella gabbia, dicendo all'amante: - Andiamo: Polacco è pronto; ci aspetta. E voltò le spalle, sicuro d'esser seguito dalla Nestoroff, come un tiranno dalla sua schiava. Nessuno più di lui sente e dimostra quell'istintiva antipatia, ch'io ho detto comune a quasi tutti gli attori per me, e che si spiega, o almeno, io mi spiego come un effetto, a loro stessi non chiaro, della mia professione. Carlo Ferro la sente più di tutti, perché, tra tante altre fortune, ha quella di credersi sul serio un grande attore.
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