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Luigi Pirandello
Quaderni di Serafino Gubbio

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  • Quaderno quarto
    • II
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II

 

Aspettavamo, oggi, sotto il pergolato dell'osteria, che arrivasse una certa “signorina di buona famiglia”, raccomandata dal Bertini, la quale doveva sostenere una particina in un film rimasto da qualche mese in tronco e che ora si vuol terminare.

Da più d'un'ora un ragazzo era stato spedito in bicicletta alla casa di questa signorina, e ancora non si vedeva nessuno, neppure il ragazzo di ritorno.

Polacco stava seduto con me a un tavolino, la Nestoroff e Carlo Ferro sedevano a un altro. Tutt'e quattro, insieme con quell'avventizia, si doveva andare in automobile, per un esterno dal vero al Bosco Sacro.

L'afa del pomeriggio, il fastidio delle mosche innumerevoli dell'osteria, il silenzio forzato fra noi quattro, costretti a stare insieme non ostante l'avversione dichiarata, e del resto patente, di quei due per Polacco e anche per me, accrescevano e rendevano a mano a mano insopportabile la noja dell'attesa.

Ostinatamente la Nestoroff si vietava di volger gli occhi verso di noi. Ma certo sentiva ch'io la guardavo, così, apparentemente senza attenzione, e più d'una volta aveva dato segno d'esserne seccata. Carlo Ferro se n'era accorto e aveva aggrottato le ciglia, guatandola; e allora ella aveva finto davanti a lui di provar fastidio, non già di me che la guardavo, ma del sole che, di tra i pampini del pergolato, la feriva in viso. Era vero; e mirabile su quel viso era il gioco dell'ombra violacea, vaga e rigata da fili d'oro di sole, che or le accendevano una pinna del naso e un po' del labbro superiore, ora il lobo dell'orecchio e un tratto del collo. Mi vedo talvolta assaltato con tanta violenza dagli aspetti esterni, che la nitidezza precisa, spiccata, delle mie percezioni mi fa quasi sgomento. Diventa talmente mio quello che vedo con così nitida percezione, che mi sgomenta il pensare, come mai un dato aspetto - cosa o persona - possa non essere qual io lo vorrei. L'avversione della Nestoroff in quel momento di così intensa lucidità percettiva mi era intollerabile. Come mai non intendeva, ch'io non le ero nemico?

A un tratto, dopo avere spiato un pezzo di tra l'incannicciata, ella s'alzò e la vedemmo avviarsi fuori, a una carrozza d'affitto, anch'essa da un'ora ferma davanti l'entrata della Kosmograph ad aspettare sotto il sole cocente. Avevo veduto anch'io quella carrozza; ma il fogliame della vite m'impediva di scorgere chi vi fosse ad aspettare. Aspettava da tanto tempo, che non potevo credere vi fosse qualcuno. Polacco s'alzò; m'alzai anch'io, e guardammo.

Una giovinetta, vestita d'un abitino azzurro, di tela svizzera, lieve lieve, sotto un cappellone di paglia guarnito di nastri di velluto nero, stava in quella carrozza ad aspettare. Con in grembo una vecchia cagnetta pelosa, bianca e nera, guardava timida e afflitta il tassametro della vettura, che di tanto in tanto scattava e già doveva segnare una cifra non lieve. La Nestoroff le s'accostò con molta grazia e la invitò a smontare per togliersi dalla sferza del sole. Non era meglio aspettare sotto la pergola dell'osteria?

- Molte mosche sa? ma almeno si sta all'ombra.

La cagnetta pelosa aveva preso a ringhiare contro la Nestoroff, digrignando i denti in difesa della padroncina. Questa, improvvisamente invermigliata in volto, forse per il piacere inopinato di vedere quella bella signora prendersi cura di lei con tanta grazia; fors'anche per la stizza, che la sua vecchia stupida bestiola le cagionava, rispondendo così male alla premura gentile di quella, ringraziò e, confusa, accettò l'invito e smontò con la cagnetta in braccio. Ebbi l'impressione che smontasse sopra tutto per riparare alla cattiva accoglienza della vecchia cagnetta alla signora. Difatti, le diede forte con la mano sul muso, sgridando:

- Zitta, Piccinì!

E poi, volgendosi alla Nestoroff:

- Scusi, non capisce nulla...

Ed entrò con lei sotto il pergolato. Guardai la vecchia cagnetta, che spiava corrucciata la padroncina da sotto in , con occhi umani. Pareva le domandasse: - E che capisci tu?.

Il Polacco, intanto, le si era fatto avanti, con galanteria.

- La signorina Luisetta?

Ella tornò a invermigliarsi tutta, come sospesa in una penosa meraviglia, d'esser conosciuta da uno a lei sconosciuto; sorrise; disse di sì col capo, e tutti i nastri di velluto nero del cappellone di paglia dissero di sì con lei.

Polacco tornò a domandarle:

- Papà è qua?

Sì, di nuovo, col capo, come se tra il rossore e la confusione non trovasse la voce per rispondere. Infine, con uno sforzo, la trovò, timida:

- È entrato da un pezzo: disse che si sarebbe sbrigato subito, e intanto...

Alzò gli occhi a guardare la Nestoroff e le sorrise, come se le dispiacesse che quel signore con le sue domande la avesse distratta da lei, che le si era mostrata così gentile pur senza conoscerla. Polacco allora fece la presentazione:

- La signorina Luisetta Cavalena; la signora Nestoroff.

Poi si volse ad accennare Carlo Ferro, che subito sorse in piedi e s'inchinò rudemente.

- L'attore Carlo Ferro.

Infine, presentò me:

- Gubbio.

Mi parve che, tra tutti, io fossi quello che meno la impacciasse.

Conoscevo per fama Cavalena, suo padre, notissimo alla Kosmograph sotto il nomignolo di Suicida. Pare che il pover'uomo sia terribilmente oppresso da una moglie gelosa. Per la gelosia della moglie, a quanto si dice, dovette prima lasciar la milizia, da tenente medico, e non so quante condotte vantaggiose; poi anche l'esercizio della professione libera, e il giornalismo, in cui aveva trovato modo d'entrare, e alla fine anche l'insegnamento, a cui per disperazione s'era appigliato, nei licei, come incaricato di fisica e storia naturale. Ora, non potendo (sempre a causa della moglie) dedicarsi al teatro, per il quale crede da un pezzo d'avere spiccatissime attitudini, s'è acconciato alla confezione di scenarii cinematografici, con molto sdegno, obtorto collo, per sopperire ai bisogni della famiglia, non bastando al mantenimento di essa la sola dote della moglie e quel che ricava dall'affitto di due stanze mobigliate. Se non che, nell'inferno della sua casa, abituato ormai a vedere il mondo come una galera, pare che, per quanto si sforzi, non riesca a comporre una trama di film, senza che a un certo punto non ci scappi un suicidio. Ragion per cui finora Polacco gli ha sempre rifiutato tutti gli scenarii, visto e considerato che gli Inglesi - assolutamente - non vogliono nelle pellicole il suicidio.

- Che sia venuto a cercar me? - domandò il Polacco alla signorina Luisetta.

La signorina Luisetta balbettò, confusa:

- No... disse... non so... mi sembra Bertini...

- Ah, birbante! S'è rivolto al Bertini? E, dica, signorina... è entrato solo?

Nuova e più viva confusione della signorina Luisetta.

- Con la mamma...

Polacco alzò le mani, aperte, e le agitò un po' in aria, allungando il viso e ammiccando.

- Speriamo che non avvengano guaj!

La signorina Luisetta si sforzò di sorridere; ripeté:

- Speriamo...

E mi fece tanta pena vederla sorridere a quel modo, col visino in fiamme! Avrei voluto gridare al Polacco:

- E smetti di tormentarla con codesto interrogatorio! Non vedi che è sulle spine?

Ma Polacco, all'improvviso, ebbe un'idea; batté le mani:

- E se ci portassimo la signorina Luisetta? Ma sì, perbacco; siamo qui da un'ora ad aspettare! Sì, sì; senz'altro... Signorina cara, lei ci leverà d'impaccio, e vedrà che la faremo divertire. In mezz'oretta sarà tutto fatto... Avvertirò l'usciere, che, appena verranno fuori il papà e la mamma, dica loro che lei è venuta per una mezz'oretta con me e con questi signori. Sono tanto amico di suo papà, che posso prendermi questa licenza. Le farò rappresentare una particina, è contenta?

La signorina Luisetta ha avuto certo una gran paura di parer timida, impacciata, sciocchina; e, quanto a venire con noi, ha detto, perché no?, ma che, quanto a recitare, non poteva, non sapeva... e poi, così?... ma che!... non s'era mai provata... si vergognava... e poi...

Polacco le spiegò che non ci voleva nulla: non doveva aprir bocca, né salire su un palcoscenico, né presentarsi al pubblico. Nulla. In campagna. Davanti agli alberi. Senza parlare.

- Starà su un sedile, accanto a questo signore, - e indicò il Ferro. - Questo signore fingerà di parlarle d'amore. Lei, naturalmente, non ci crede e ne ride... Ecco... così benissimo! Ride e scrolla la testolina sfogliando un fiore. Sopravviene di furia un'automobile. Questo signore si scuote, aggrotta le ciglia, guarda, presentendo una minaccia, un pericolo. Lei smette di sfogliare il fiore e resta come sospesa in un dubbio, smarrita. Subito questa signora - (e indicò la Nestoroff) - balza giù dall'automobile, cava dal manicotto una rivoltella e le spara...

La signorina Luisetta spalancò tanto d'occhi in faccia alla Nestoroff, sbigottita.

- Per finta! Non abbia paura! - seguitò Polacco, sorridendo. - Il signore s'avventa, disarma la signora; intanto lei s'è abbandonata prima sul sedile, ferita a morte; dal sedile trabocca giù a terra - senza farsi male, per carità! - e tutto è finito... , , non perdiamo altro tempo! Faremo una prova sul posto; vedrà che andrà bene... e che bel regalino le farà poi la Kosmograph!

- Ma se papà...

- Lo avvertiremo!

- E Piccinì?

- La porteremo con noi; la terrò in braccio io... Vedrà che la Kosmograph farà un bel regalino anche a Piccinì... , , via!

Salendo in automobile (ancora, certo, per non parer timida e sciocchina), ella che non aveva più badato a me, mi guardò incerta.

Perché andavo anch'io? che rappresentavo io?

Nessuno mi aveva rivolto la parola; ero stato appena appena presentato, come si farebbe d'un cane; non avevo aperto bocca; seguitavo a star muto...

M'accorsi che questa mia presenza muta, di cui ella non vedeva la necessità, ma che pur le s'imponeva come misteriosamente necessaria, cominciava a turbarla.

Nessuno si curava di dargliene la spiegazione; non potevo dargliela io. Le ero sembrato uno come gli altri; anzi forse, a prima giunta, uno più vicino a lei degli altri. Ora cominciava ad avvertire che per questi altri ed anche per lei (in confuso) non ero propriamente uno. Cominciava ad avvertire, che la mia persona non era necessaria; ma che la mia presenza aveva la necessità d'una cosa, ch'ella ancora non comprendeva; e che stavo così muto per questo. Potevano parlare - sì, essi, tutt'e quattro - perché erano persone, rappresentavano ciascuno una persona, la propria; io, no: ero una cosa: ecco, forse quella che mi stava su le ginocchia, avviluppata in una tela nera.

Eppure, avevo anch'io una bocca per parlare, occhi per guardare; e questi occhi, ecco, mi brillavano contemplandola; e certo entro di me sentivo...

Oh signorina Luisetta, se sapeste che gioja ritraeva dal proprio sentimento la persona - non necessaria come tale, ma come cosa - che vi stava davanti! Pensaste voi che io - pur standovi così davanti come una cosa - potessi entro di me sentire? Forse sì. Ma che cosa sentissi sotto la mia maschera d'impassibilità, non poteste certo immaginare.

Sentimenti non necessarii, signorina Luisetta! Voi non sapete che cosa siano e quali inebrianti gioje possano dare! Questa macchinetta qua, ecco: vi sembra che abbia necessità di sentire? Non può averne! Se potesse sentire, che sentimenti sarebbero? Non necessarii certo. Un lusso per lei. Cose inverosimili... Ebbene, fra voi quattro, quest'oggi, io - due gambe, un busto e, sopra, una macchinetta - ho sentito inverosimilmente.

Voi, signorina Luisetta, eravate con tutte le cose che v'erano attorno, dentro il sentimento mio, il quale godeva della vostra ingenuità, del piacere che vi cagionava il vento della corsa, la vista dell'aperta campagna, la vicinanza della bella signora. Vi sembra strano che foste così, con tutte le cose attorno, dentro il sentimento mio?

Ma anche un mendico a un canto di strada non vede forse la strada e tutta la gente che vi passa, dentro a quel sentimento di pietà, ch'egli vorrebbe destare? Voi, più sensibile degli altri, passando, avvertite d'entrare in questo sentimento e vi fermate a fargli la carità d'un soldo. Molti altri non c'entrano, e il mendico non pensa ch'essi siano fuori dal suo sentimento, dentro un altro lor proprio, in cui anch'egli è incluso come un'ombra molesta; il mendico pensa che sono spietati. Che cosa ero io per voi, nel vostro sentimento, signorina Luisetta? Un uomo misterioso? Sì, avete ragione. Misterioso. Se sapeste come sento, in certi momenti, il mio silenzio di cosa! E mi compiaccio del mistero che spira da questo silenzio a chi sia capace d'avvertirlo. Vorrei non parlar mai; accogliere tutto e tutti in questo mio silenzio, ogni pianto, ogni sorriso; non per fare, io, eco al sorriso; non potrei; non per consolare, io il pianto; non saprei; ma perché tutti dentro di me trovassero, non solo dei loro dolori, ma anche e più delle loro gioje, una tenera pietà che li affratellasse almeno per un momento.

Ho tanto goduto del bene che avete fatto con la freschezza della vostra ingenuità timida sorridente alla signora che vi stava accanto! Hanno talvolta, quando la pioggia manca, le piante arse ristoro da un'auretta leggera. E quest'auretta siete stata voi, per un momento, nell'arsura dei sentimenti di colei che vi stava accanto; arsura che non conosce il refrigerio delle lacrime.

A un certo punto ella, guardandovi quasi con trepida ammirazione, vi ha preso una mano e ve l'ha carezzata. Chi sa che invidia accorata di voi le angosciava il cuore in quell'istante!

Avete veduto, come subito dopo, s'è tutta scurita in viso?

Una nuvola è passata... Che nuvola?

 




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