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Luigi Pirandello
Quaderni di Serafino Gubbio

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  • Quaderno quarto
    • III
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III

 

Parentesi. Un'altra, sì. Quello che mi tocca fare tutto il giorno, non lo dico; le bestialità che mi tocca dare da mangiare, tutto il giorno, a questo ragno nero sul treppiedi, che non si sazia mai, non le dico; bestialità incarnata da questi attori, da queste attrici, da tanta gente che per bisogno si presta a dare in pasto a questa macchinetta il proprio pudore, la propria dignità; non le dico; ma bisogna pure ch'io mi prenda un po' di respiro di tanto in tanto, assolutamente, una boccata d'aria per il mio superfluo; o muojo. Mi interesso alla storia di questa donna, dico della Nestoroff, riempio di lei molte di queste mie notti; ma non voglio infine lasciarmi prendere la mano da questa storia; voglio che lei, questa donna, mi resti davanti la macchinetta, o, meglio, ch'io resti davanti a lei quello che per lei sono, operatore, e basta. Quando il mio amico Simone Pau trascura per parecchi giorni di venire a trovarmi alla Kosmograph, vado io la sera a trovarlo a Borgo Pio, nel suo Albergo del Falco.

La ragione per cui di questi giorni non è venuto, è quanto mai triste. Muore l'uomo del violino.

Ho trovato a veglia nella cameretta riservata al Pau nell'ospizio, lui Pau, il vecchietto suo collega pensionato dal governo pontificio e le tre maestre zitellone, amiche delle suore di carità. Sul letto di Simone Pau, con una compressa di ghiaccio sul capo, giaceva l'uomo del violino, colpito tre sere fa da apoplessia.

- Si libera, - mi ha detto Simone Pau, con un gesto della mano, consolante. - Siedi qua, Serafino. La scienza gli ha messo in capo quel berretto di ghiaccio, che non serve a nulla. Noi lo facciamo passare tra sereni discorsi filosofici, in compenso del dono prezioso ch'egli ci lascia in eredità: il suo violino. Siedi, siedi qua. Lo hanno lavato bene, tutto; lo hanno messo in regola coi sagramenti, lo hanno unto. Ora aspettiamo la sua fine, che non può tardare. Ti ricordi quando sonò davanti alla tigre? Gli fece male. Ma forse, meglio così: si libera!

Come sorrideva benigno, a queste parole, il vecchietto tutto raso, fino fino, pulito pulito, con la papalina in capo e in mano la tabacchiera d'osso col ritratto del Santo Padre sul coperchio!

- Prosegua, - riprese Simone Pau, rivolto al vecchietto, - prosegua, signor Cesarino, il suo elogio dei lumi a olio a tre beccucci, la prego.

- Ma che elogio! - esclamò il signor Cesarino. S'ostina lei a ripetere che ne faccio l'elogio! Io dico che sono di quella generazione , e addio.

- E non è un elogio questo?

- Ma no, dico che tutto si compensa alla fine: è una mia idea: tante cose nel bujo vedevo io con quei lumi , che loro forse non vedono più con la lampadina elettrica, ora; ma in compenso, ecco, con queste lampadine qua altre ne vedono loro, che non riesco a vedere io; perché quattro generazioni di lumi, quattro, caro professore, olio, petrolio, gas e luce elettrica, nel giro di sessant'anni, eh... eh... eh... sono troppe, sa? e ci si guasta la vista, e anche la testa; eh, anche la testa, un poco.

Le tre zitellone, che si tenevano in grembo tutte e tre quietamente le mani coi mezzi guanti di filo, approvarono in silenzio, col capo: sì, sì, sì.

- Luce, bella luce, non dico di no! Eh, lo so io, - sospirò il vecchietto, - che mi ricordo s'andava nelle tenebre con un lanternino in mano per non rompersi l'osso del collo! Ma luce per fuori, ecco... Che ci ajuti a veder dentro, no.

Le tre zitellone quiete, sempre con in grembo le mani coi mezzi guanti di filo tutt'e tre, dissero in silenzio col capo: no, no, no.

Il vecchietto si alzò e andò a offrire in premio a quelle mani quiete e pure, un pizzichetto di tabacco.

Simone Pau tese due dita.

- Anche lei? - domandò il vecchietto.

- Anche io, anche io, - rispose, un po' irritato dalla domanda, Simone Pau. - E anche tu, Serafino. Ti dico, prendi! Non vedi che è come un rito?

Il vecchietto, con la presina tra le dita, strizzò un occhio maliziosamente:

- Tabacco proibito, - disse piano. - Viene di ...

E col pollice dell'altra mano fece, come di nascosto, un cenno per dire: San Pietro, Vaticano.

- Capisci? - disse allora Simone Pau, rivolto a me, mettendomi sotto gli occhi la sua presa. - Ti libera dell'Italia! Ti pare niente? La fiuti, e non ci senti puzza di regno!

- Via, non dica così... - pregò il vecchietto afflitto, che voleva godersi in pace i benefizii della tolleranza, tollerando.

- Lo dico io, non lo dice lei, - gli rispose Simone Pau. - Lo dico io che posso dirlo. Se lo dicesse lei, la pregherei di non dirlo in mia presenza, va bene? Ma lei è saggio, signor Cesarino! Séguiti, séguiti, la prego, a commemorarci col suo buon garbo antico i buoni lumi ad olio, a tre beccucci, di tanti anni fa... Ne vidi uno sa? nella casa di Beethoven, a Bonn sul Reno, al tempo del mio viaggio in Germania. Ecco: bisogna questa sera richiamare la memoria di tutte le buone cose antiche attorno a questo povero violino, che si spezzò davanti a un pianoforte automatico. Confesso che vedo male qua dentro, in questo momento, il mio amico. Sì, te, Serafino. Il mio amico, signori - ve lo presento: Serafino Gubbio - è operatore: gira, disgraziato, la macchinetta d'un cinematografo.

- Ah, - fece il vecchietto, con piacere.

E le tre zitellone mi guardarono ammirate.

- Vedi? - mi disse Simone Pau. - Tu guasti tutto, qua dentro. Scommetto che lei adesso, signor Cesarino, e anche loro, signorine, hanno una gran voglia di sapere dal mio amico come gira la macchinetta e come si mette una cinematografia. Per carità!

E con la mano indicò il morente, che ronfava nel coma profondo, sotto la compressa di ghiaccio.

- Tu sai che io... - mi provai a dire, piano.

- Lo so! - m'interruppe. - Tu non sei nella tua professione, ma ciò non vuol dire, caro mio, che la tua professione non sia in te! Leva dal capo a questi miei signori colleghi ch'io non sia professore. Sono il professore, per loro: un po' strambo, ma professore! Noi possiamo benissimo non ritrovarci in quello che facciamo; ma quello che facciamo, caro mio, è, resta fatto: fatto che ti circoscrive, ti comunque una forma e t'imprigiona in essa. Vuoi ribellarti? Non puoi. Prima di tutto, non siamo liberi di fare quello che vorremmo: il tempo, il costume degli altri, la fortuna, le condizioni dell'esistenza, tant'altre ragioni fuori e dentro di noi, ci costringono spesso a fare quello che non vorremmo; e poi lo spirito non è senza carne; e la carne, hai un bel sorvegliarla, vuole la sua parte. E a che si riduce l'intelligenza, se non compatisce la bestia che è in noi? Non dico scusarla. L'intelligenza che scusi la bestia, s'imbestialisce anch'essa. Ma averne pietà è un'altra cosa! Lo predicò Gesù, dico bene, signor Cesarino? Dunque tu sei prigioniero di quello che hai fatto, della forma che quel fatto ti ha dato. Doveri, responsabilità, una sequela di conseguenze, spire, tentacoli che t'avviluppano e non ti lasciano più respirare. Non far più niente, o il meno possibile, come me, per restar liberi il più possibile? Eh sì! La vita stessa è un fatto! Quando tuo padre t'ha messo al mondo, caro, il fatto è fatto. Non te ne liberi più finché non finisci di morire. E anche dopo morto, qua c'è il signor Cesarino che dice di no, è vero? Non se ne libera più, è vero? neanche dopo morto.

Stai fresco, caro mio. Andrai a girare la macchinetta anche di ! Ma sì, ma sì, perché non dell'essere, di cui non hai colpa, ma dei fatti e delle conseguenze dei fatti tu devi rispondere, è vero, sì o no, signor Cesarino?

- Verissimo, sì; ma non è mica peccato, professore, girare una macchinetta di cinematografo - osservò il signor Cesarino.

- Non è peccato? Lo domandi a lui! - disse Pau.

Il vecchietto e le tre zitellone mi guardarono stupiti e afflitti ch'io approvassi col capo, sorridendo, il giudizio di Simone Pau.

Sorridevo perché m'immaginavo al cospetto di Dio Creatore, al cospetto degli Angeli e delle anime sante del Paradiso, dietro il mio grosso ragno nero sul treppiedi a gambe rientranti, condannato a girar la manovella, anche lassù, dopo morto.

- Eh, certo, - sospirò il vecchietto, - quando il cinematografo mette su certe sconcezze, certe stupidaggini...

Le tre zitellone, con gli occhi bassi, fecero con le mani un atto di schifiltà.

- Ma non ne sarà responsabile il signore, - aggiunse subito il signor Cesarino, garbato e sempre benigno.

S'udì per la scala uno sbattimento di panni grevi e di grossi grani di rosario col crocifisso ciondolante. Apparve sotto le ampie ali bianche della cornetta una suora di carità. Chi l'aveva chiamata? Il fatto è che, appena lei si presentò su la soglia, l'agonizzante finì di rantolare. Ed ella si trovò pronta a compiere il suo ultimo ufficio. Gli levò dal capo la compressa di ghiaccio; si volse a guardarci, muta, con un semplice, rapidissimo cenno degli occhi al cielo; poi si chinò a comporre sul letto il cadavere e s'inginocchiò. Le tre zitellone e il signor Cesarino seguirono l'esempio. Simone Pau mi chiamò fuori della cameretta.

- Conta, - mi ordinò, cominciando a scendere la scala, indicandomi gli scalini. - Uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto e nove. Scalini di una scala; di questa scala, che su questo corridojo tetro... Mani che li intagliarono e li disposero qua in sesto... Morte. Mani che levarono questo casamento... Morte. Come altre mani, che levarono tant'altre case di questo borgo... Roma; che ne pensi? Grande... Pensa nei cieli questa terra piccola... Vedi? che è?... Un uomo è morto... io, tu... non importa: un uomo... E cinque, di , gli si sono inginocchiati intorno a pregare qualcuno, qualche cosa, che credono fuori e sopra di tutto e di tutti, e non in loro stessi, un sentimento loro che si libera dal giudizio e invoca quella stessa pietà che sperano per loro, e n'hanno conforto e pace. Ebbene, bisogna fare così. Io e tu, che non possiamo farlo, siamo due scemi. Perché, dicendo queste bestialità che sto dicendo io, lo stiamo facendo lo stesso, in piedi, scomodi, con questo bel guadagno, che non ne abbiamo né confortopace. E scemi come noi sono tutti coloro che cercano Dio dentro e lo sdegnano fuori, che non sanno cioè vedere il valore degli atti, di tutti gli atti, anche i più meschini, che l'uomo compie da che mondo è mondo, sempre gli stessi, per quanto ci pajano diversi. Ma che diversi? Diversi perché attribuiamo loro un altro valore che, comunque, è arbitrario. Di certo non sappiamo niente. E non c'è niente da sapere fuori di quello che, comunque, si rappresenta fuori, in atti. Il dentro è tormento e seccatura. Va', va' a girar la macchinetta, Serafino! Credi che la tua è una professione invidiabile! E non stimare più stupidi degli altri gli atti che ti combinano davanti, da prendere con la tua macchinetta. Sono tutti stupidi allo stesso modo, sempre: la vita è tutta una stupidaggine, sempre, perché non conclude mai e non può concludere. Va', caro, va' a girare la tua macchinetta e lasciami andare a dormire con la sapienza che, dormendo sempre, dimostrano i cani. Buona notte.

Uscii dall'ospizio, confortato. La filosofia è come la religione: conforta sempre, anche quando è disperata, perché nasce dal bisogno di superare un tormento, e anche quando non lo superi, il porselo davanti, questo tormento, è già un sollievo per il fatto che, almeno per un poco, non ce lo sentiamo più dentro. Il conforto delle parole di Simone Pau m'era venuto però sopra tutto per ciò che si riferiva alla mia professione.

Invidiabile, sì forse; ma se fosse applicata solamente a cogliere, senz'alcuna stupida invenzione o costruzione immaginaria di scene e di fatti, la vita, così come vien viene, senza scelta e senz'alcun proposito; gli atti della vita come si fanno impensatamente quando si vive e non si sa che una macchinetta di nascosto li stia a sorprendere. Chi sa come ci sembrerebbero buffi! più di tutti, i nostri stessi. Non ci riconosceremmo, in prima; esclameremmo, stupiti, mortificati, offesi: - Ma come? Io, così? io, questo? cammino così? rido così? io, quest'atto? io, questa faccia? - Eh, no, caro, non tu: la tua fretta, la tua voglia di fare questa o quella cosa, la tua impazienza, la tua smania, la tua ira, la tua gioja, il tuo dolore... Come puoi sapere tu, che le hai dentro, in qual maniera tutte queste cose si rappresentano fuori! Chi vive, quando vive, non si vede: vive... Veder come si vive sarebbe uno spettacolo ben buffo!

Ah se fosse destinata a questo solamente la mia professione! Al solo intento di presentare agli uomini il buffo spettacolo dei loro atti impensati, la vista immediata delle loro passioni, della loro vita così com'è. Di questa vita, senza requie, che non conclude.

 




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