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Luigi Pirandello Quaderni di Serafino Gubbio IntraText CT - Lettura del testo |
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IV
- Signor Gubbio, scusi: voglio dirle una cosa. Era già bujo: andavo di fretta sotto i grandi platani del viale. Sapevo che egli - Carlo Ferro - mi veniva dietro, affannato, per sorpassarmi e poi forse volgersi, fingendo di ricordarsi tutt'a un tratto, che aveva da dirmi qualche cosa. Volevo levargli il piacere di questa finzione, e acceleravo sempre più il passo, aspettandomi di mano in mano, che - stanco alla fine - si desse per vinto e mi chiamasse. Difatti... Mi voltai, come sorpreso. Egli mi raggiunse e con mal dissimulato dispetto mi domandò: - Permette? - Sì. - Parecchio. - Voglio dirle una cosa, - ripeté, e si fermò a guardarmi con bieco lustro negli occhi. - Lei dovrebbe sapere che, grazie a Dio, posso sputare su la scrittura che ho qua con la Kosmograph. Un'altra, come questa, meglio di questa, la trovo subito, appena voglio, dovunque, per me e per la mia signora. Lo sa o non lo sa? Sorrisi; mi strinsi nelle spalle: - Posso crederlo, se le fa piacere. - Può crederlo, perché è così! - ribatté forte, in tono di provocazione e di sfida. - Sarà pure così; ma non vedo perché venga a dirlo a me, e con codesto tono. - Ecco perché, - riprese - Io rimango, caro signore, alla Kosmograph. - Rimane? Guardi: non sapevo nemmeno che avesse in animo di andarsene. - Altri lo aveva in animo, - ripigliò Carlo Ferro, pigiando con la voce su altri - Ma io le dico che rimango: ha capito? - Ho capito. - E rimango, non perché m'importi della scrittura, che non me n'importa un corno; ma perché io non sono mai fuggito di fronte a nessuno! Così dicendo, mi prese la giacca sul petto, con due dita, e me la scosse un po'. - Permette? - dissi io, a mia volta, con calma, levandogli quella mano; e presi dalla tasca una scatola di fiammiferi: ne accesi uno per la sigaretta che avevo già cavato dell'astuccio e tenevo in bocca; trassi due boccate di fumo, rimasi ancora un po' col fiammifero acceso tra le dita, per fargli vedere che le sue parole, il tono minaccioso, il fare aggressivo non mi cagionavano il minimo turbamento; poi risposi, piano: - Potrei anche aver capito a che cosa ella voglia alludere; ma, ripeto, non intendo perché viene a dire proprio a me codeste cose. - Non è vero! - gridò allora Carlo Ferro. - Lei finge di non intendere! Pacatamente, ma con voce ferma, risposi: - Non ne vedo la ragione. Se lei, caro signore, vuol provocarmi, sbaglia; non solo perché senza motivo, ma anche perché, precisamente come lei, io non soglio fuggire di fronte a nessuno. - Come no? - sghignò egli allora. - Ho dovuto correr tanto per raggiungerla! - Oh, ma guarda! ha creduto davvero ch'io fuggissi? S'inganna, caro signore, e gliene do subito la prova. Lei forse sospetta ch'io abbia avuto qualche parte nella prossima venuta di qualcuno che le dà ombra? - Nessuna ombra! - Tanto meglio. Per codesto sospetto, ha potuto credere ch'io fuggissi? - So che lei è stato amico d'un certo pittore che s'uccise a Napoli. - Sì. Ebbene? - Ebbene, lei che s'è trovato in mezzo a questa faccenda... - Io? Ma nient'affatto! chi gliel'ha detto? io ne so quanto lei; forse meno di lei. - Ma conoscerà questo signor Nuti! - Nient'affatto! Lo vidi, parecchi anni fa, giovanotto, una o due volte, non più. Non ho mai parlato con lui. - Cosicché... - Cosicché, caro signore, non conoscendo questo signor Nuti, e seccato di vedermi da alcuni giorni guardato male da lei per il sospetto ch'io mi sia immischiato o voglia immischiarmi in codesta faccenda; poco fa, non volevo che lei mi raggiungesse e ho accelerato il passo. Eccole spiegata “la mia fuga”. È contento? Con subitaneo cangiamento Carlo Ferro mi tese la mano, commosso: - Posso aver l'onore e il piacere d'essere suo amico? Gli strinsi la mano e risposi: - Lei sa bene, che sono di fronte a lei così poca cosa, che l'onore sarà mio. Carlo Ferro si scrollò come un orso: - Non dica! Non dica! Lei è uno che sa il fatto suo, a preferenza di tutti gli altri; sa, vede e non parla... Che mondaccio, signor Gubbio, che mondaccio è questo! che schifo! Ma pajono tutti... che so! Ma perché si dev'essere così? Mascherati! Mascherati! Mascherati! Me lo dica lei! Perché, appena insieme, l'uno di fronte all'altro, diventiamo tutti tanti pagliacci? Scusi, no, anch'io, anch'io; mi ci metto anch'io; tutti! Mascherati! Questo, un'aria così; quello, un'aria cosà... E dentro siamo diversi! Abbiamo il cuore, dentro, come... come un bambino rincantucciato, offeso, che piange e si vergogna! Sissignore, creda: il cuore si vergogna! Io smanio, smanio, signor Gubbio, per un poco di sincerità... d'essere con gli altri come sono tante volte con me stesso, dentro di me; una creatura, glielo giuro, una creaturina che piagnucola perché la mamma santa, sgridandola, le ha detto che non le vuole più bene! Sempre io, sempre, quando mi sento salire il sangue agli occhi, penso a quella mia vecchierella, laggiù in Sicilia, sa? Ma guaj se mi metto a piangere! Quelle che sono lagrime per i miei occhi, se qualcuno non le capisce e crede che siano per paura, possono diventar subito sangue nelle mie mani; io lo so, e perciò ho una gran paura, quando mi sento pungere il pianto negli occhi! Le dita, guardi,mi diventano così! Nell'oscurità del grande viale deserto, mi vidi porre davanti agli occhi due manacce poderose, ferocemente contratte e artigliate. Dissimulando con molto sforzo il turbamento che questa inattesa effusione di sincerità mi suscitava, per non esacerbargli il dolore segreto al quale senza dubbio era in preda e che, certamente suo malgrado, aveva trovato in quell'effusione uno sfogo di cui già si pentiva; trattenni la voce, finché non mi parve di poter parlare in modo ch'egli, pur intendendo la mia simpatia per la sua sincerità, fosse tratto più a pensare che a sentire: e dissi: - Ha ragione; è proprio così, signor Ferro! Ma inevitabilmente, veda, noi ci costruiamo, vivendo in società... Già, la società per se stessa non è più il mondo naturale. È mondo costruito, anche materialmente! La natura non ha altra casa, che la tana o la grotta. - Allude a me? - Come, a lei? No. - Sono della tana o della grotta? - Ma no! Volevo spiegarle perché, a mio modo di vedere, si mentisce inevitabilmente. E dico che mentre la natura non conosce altra casa che la tana o la grotta, la società costruisce le case; e l'uomo, quando esce da una casa costruita, dove già non vive più naturalmente, entrando in relazione co' suoi simili, si costruisce anch'esso, ecco; si presenta, non qual è, ma come crede di dover essere o di poter essere, cioè in una costruzione adatta ai rapporti, che ciascuno crede di poter contrarre con l'altro. In fondo, poi, cioè dentro queste nostre costruzioni, messe così di fronte, restano ben nascosti, dietro le gelosie e le imposte, i nostri pensieri più intimi, i nostri più segreti sentimenti. Ma ogni tanto, ecco, ci sentiamo soffocare; ci vince il bisogno prepotente di spalancare gelosie e imposte per gridar fuori, in faccia a tutti, i nostri pensieri, i nostri sentimenti tenuti per tanto tempo nascosti e segreti. - Già... già... già... - approvò parecchie volte Carlo Ferro, ridivenuto fosco. - Ma c'è chi s'apposta anche, e si tiene in agguato dietro codeste costruzioni che dice lei, come un vigliacco manigoldo a un canto di strada, per assalire alle spalle, per aggredire a tradimento. Io ne conosco uno, qua alla Kosmograph, e lo conosce anche lei. Alludeva sicuramente al Polacco. Compresi subito, ch'egli in quel momento non poteva esser tratto a pensare: sentiva troppo. - Signor Gubbio, - riprese risolutamente, - vedo che lei è un uomo, e sento che con lei posso parlare aperto. A questo signore costruito, che tutti e due conosciamo, dica lei una parolina come va detta. Io non posso parlare con lui; conosco la mia naturaccia: se mi metto a parlare con lui, so come comincio, non so dove vado a finire. Perché i pensieri coperti, e tutti coloro che agiscono copertamente, che si costruiscono come dice lei, io non li posso soffrire. Mi pajono serpi, a cui schiaccerei la testa, guardi, così... così... E due volte pestò il calcagno in terra, con rabbia. Riprese: - Che gli ho fatto io? che gli ha fatto la mia signora, perché egli con tanto accanimento ci avversi di nascosto? Non dica di no, la prego... la prego... lei dev'essere sincero, perdio, con me!... Non vuole? - Ma sì... - Vede che io le parlo sincero? La prego, dunque! Guardi: è stato lui, sapendo che io per puntiglio non mi sarei mai tirato indietro, è stato lui a designare me, presso il signor commendatore Borgalli, per l'uccisione della tigre... Fino a tal punto, capisce? Fino alla perfidia di pigliarmi per puntiglio e sopprimermi! Dice di no? Ma questa è l'idea! l'intenzione è questa, questa: glielo dico io e lei deve credermi! Perché non ci vuol mica coraggio, lei lo capisce, per sparare a una tigre dentro una gabbia: ci vuole calma, freddezza ci vuole: braccio fermo, occhio sicuro. Ebbene, designa me! mette avanti me, perché sa che io posso, se mai, essere una belva di fronte a un uomo; ma come uomo di fronte a una belva non valgo niente! Io ho l'impeto, non ho la calma! Vedendomi una belva davanti, io ho l'istinto di lanciarmi; non ho la freddezza di star lì fermo a prender bene la mira per colpirla dove va colpita. Non so sparare; non so imbracciare il fucile; sono capace di gettarlo via, di sentirmene ingombre le mani, capisce? E questo, lui, lo sa! lo sa bene! Dunque ha voluto proprio espormi al pericolo d'essere sbranato da quella belva. E con qual fine? Ma guardi, guardi fin dove arriva la perfidia di quest'uomo! Fa venire il Nuti; gli fa da mezzano; gli sgombra la via, togliendomi di mezzo! “Sì, caro, vieni!” gli avrà scritto, “ti servo io! te lo levo io dai piedi! vieni pure tranquillo!” Lei dice di no? Era così aggressiva e perentoria, la domanda, che ad oppormi recisamente, avrei acceso ancor più le sue furie. Tornai a stringermi nelle spalle, risposi: - Che vuole che le dica? Lei in questo momento, lo riconoscerà, è molto eccitato. - Ma posso esser calmo? - Ah, capisco... - Sì, senza dubbio! Ma in tale stato, caro Ferro, è anche molto facile esagerare. - Ah, io esagero? Già già, sì... perché quelli che sono freddi, quelli che ragionano, quando commettono sotto sotto un delitto, lo costruiscono in modo, che per forza, se uno lo scopra, deve parere esagerato. Sfido! Lo hanno costruito in silenzio con tanta sapienza, piano piano, coi guanti, già... per non sporcarsi le mani! Di nascosto, sì, proprio, di nascosto anche a loro stessi! Ah, lui non lo sa mica, che sta commettendo un delitto! Che! Inorridirebbe, se qualcuno glielo facesse notare. “Io, un delitto? Eh via! Che esagerazione!” Ma come esagerazione, perdio! Ragioni anche lei, come ragiono io! Si piglia un uomo e si fa entrare in una gabbia, dove sarà introdotta una tigre, e gli si dice: “Stai calmo, sai? prendi bene la mira e spara. Bada oh, d'atterrarla al primo colpo, colpendola al punto giusto; se no, anche ferita, ti salta addosso e ti sbrana!”. Tutto questo, lo so, se si sceglie un uomo calmo, freddo, esperto tiratore non è niente, non è delitto. Ma se si sceglie apposta uno come me? Badi, uno come me! Vada a dirglielo: casca dalle nuvole: “Ma come? il Ferro? Ma se io l'ho scelto apposta perché lo so tanto coraggioso!”. Ecco la perfidia! ecco dove s'annida il delitto: in questo sapermi coraggioso! nell'approfittare del mio coraggio, del mio puntiglio, capisce! Lui lo sa bene, che lì non ci vuole coraggio! Finge di crederlo! Ecco il delitto! E vada a domandargli perché contemporaneamente si muova sotto mano per facilitare l'entrata a un amico che vorrebbe riprendersi la donna, la donna che ora sta proprio con quell'uomo da lui designato a entrare nella gabbia. Cascherà dalle nuvole una seconda volta! Come, che nesso tra le due cose? Oh, ma guarda! anche questo sospetto? Che e-sage-ra-zio-ne! - Ecco, ha detto anche lei ch'io esagero... Ma rifletta bene; penetri fino in fondo; scopra ciò ch'egli stesso non vuol vedere e nasconde sotto una così composta apparenza di ragione; gli strappi i guanti, a questo signore, e vedrà che ha le mani sporche di sangue! Tante volte avevo pensato anch'io, che ognuno - per quanto probo e onesto si tenga, considerando le proprie azioni astrattamente, cioè fuori delle incidenze e coincidenze che dànno ad esse peso e valore - può commettere un delitto di nascosto anche a se stesso; che stupii nel sentirmelo dire con tanta chiarezza e tanta efficacia dialettica e, per giunta, da uno, cui finora avevo ritenuto di mente angusta e di animo volgare. Ero, non per tanto, sicurissimo che il Polacco non agiva realmente con la coscienza di commettere un delitto, e non favoriva il Nuti per il fine sospettato da Carlo Ferro. Ma poteva anche, questo fine, essere incluso a insaputa di lui, tanto nella designazione del Ferro per l'uccisione della tigre, quanto nel facilitare la venuta del Nuti: azioni solo apparentemente per lui senza nesso. Certo, non potendo in altro modo levarsi dai piedi la Nestoroff, che costei divenisse di nuovo amante del Nuti, suo amico, poteva essere una sua segreta aspirazione, un desiderio non peranco palese. Amante d'un suo amico, la Nestoroff non gli sarebbe stata più così nemica; non solo, ma fors'anche il Nuti, ottenuto l'intento, ricco com'era, non avrebbe più permesso che la Nestoroff seguitasse a far l'attrice, e se la sarebbe portata via con sé. - Ma lei, - dissi, - è ancora in tempo, caro Ferro, se crede... - Nossignore! - m'interruppe aspramente. - Già codesto signor Nuti, per opera del Polacco, s'è comperato il diritto d'entrare alla Kosmograph. - No, scusi, io dico, ancora in tempo di rifiutare la parte, che le è stata assegnata. Nessuno conoscendola, può credere che lei lo faccia per paura. - Tutti lo crederebbero! - gridò Carlo Ferro. - E io per il primo! Sissignore... Perché il coraggio posso averlo, e l'ho, di fronte a un uomo, ma di fronte a una belva, se non ho la calma, non posso aver coraggio; chi non ha calma deve aver paura. E io avrei paura, sissignore! Paura, non per me, m'intenda bene! Paura per chi mi vuol bene... Ho voluto che mia madre fosse assicurata; ma se domani le daranno un danaro macchiato di sangue, mia madre ne morrà! che vuole che se ne faccia del danaro? Veda in quale vergogna m'ha messo quel cagliostro! nella vergogna di dire queste cose, che pajono suggerite da una tremenda, e-sa-ge-ra-tis-si-ma paura! Già, perché tutto ciò che faccio, sento e dico, è condannato a parere a tutti esagerato! S'uccidono, Dio mio, tante bestie feroci in tutte le case cinematografiche, e mai nessun attore ne è morto, mai nessuno ha dato tanto peso alla cosa. Ma io glielo do, perché qua, adesso, mi vedo giocato, mi vedo insidiato, designato apposta con l'unico intento di farmi perdere la calma! Sono sicuro che non accadrà nulla; che sarà affare d'un minuto e ucciderò la tigre senza nessun pericolo. Ma è la rabbia per l'insidia che m'è stata tesa, con la speranza che m'accada qualche guajo, per cui il signor Nuti, ecco qua, si troverà pronto, con la via aperta e libera. Ecco, questo, questo... mi... mi... S'interruppe bruscamente; aggrovigliò le mani e se le storse, digrignando i denti. Fu per me un lampo: sentii d'un subito in quell'uomo tutte le furie della gelosia. Ecco perché m'aveva chiamato! ecco perché aveva tanto parlato! ecco perché era così! Dunque Carlo Ferro non è sicuro della Nestoroff. Lo guatai al lume d'uno dei rari fanali del viale: aveva il volto scontraffatto, gli occhi feroci. - Caro Ferro, - gli dissi premurosamente, - se lei crede ch'io possa in qualche modo esserle utile, per tutto quello che posso... - Grazie! - mi rispose con durezza. - Non... non può... Lei non può... Forse in prima voleva dire: “Non mi serve nulla!” - poté contenersi; seguitò: - Non può essermi utile, se non in questo, ecco: di dire a codesto signor Polacco, che con me si scherza male, perché la vita o la donna, io non son uomo da farmele strappare così facilmente come lui crede! Questo gli dica! E che se qui accadrà qualche cosa - che accadrà di certo - guaj a lui: parola di Carlo Ferro! Gli dica questo, e la riverisco. Accennando appena con la mano un saluto sprezzante, allungò il passo, scappò via. Quanto mi piacque quest'improvviso ritorno allo sprezzo! Carlo Ferro può per un momento pensare d'essermi amico; non può sentire amicizia per me. E certo, domani, m'odierà di più, per avermi questa sera trattato da amico.
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