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Luigi Pirandello Quaderni di Serafino Gubbio IntraText CT - Lettura del testo |
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II
- È dunque un affar serio? - è venuto a chiedermi in camera Cavalena, misteriosamente, questa mattina. Il pover'uomo teneva in mano tre fazzoletti. A un certo punto, dopo molte commiserazioni per quel caro “barone” (cioè il Nuti) e molte considerazioni su le innumerevoli infelicità umane, come in prova di queste infelicità, mi ha sciorinato davanti quei tre fazzoletti, prima uno, poi l'altro e poi l'altro, esclamando: - Guardi! Erano tutti e tre sforacchiati, come rosicchiati dai topi. Li ho guardati con pietà e con meraviglia; poi ho guardato lui, mostrando chiaramente che non capivo nulla. Cavalena starnutì, o piuttosto, mi parve che starnutisse. No. Aveva detto: - Piccinì. Vedendosi guardato da me con quell'aria stordita, mi mostrò di nuovo i fazzoletti e ripeté: - Piccinì. - La cagnetta? Socchiuse gli occhi e tentennò il capo con tragica solennità. - Lavora bene, a quanto pare, - dissi io. - E non posso dirle niente! - esclamò Cavalena. - Perché è l'unico essere, qua, in casa mia, da cui mia moglie si senta amata e da cui non tema inimicizie. Ah, signor Gubbio, creda, la natura è infame assai. Nessuna disgrazia può essere maggiore e peggiore della mia. Avere una moglie che si sente amata soltanto da una cagna! E non è vero, sa? Quella bestiaccia non ama nessuno! La ama lei, mia moglie, e sa perché? perché con quella bestia solamente ella può sperimentare d'avere un cuore riboccante di carità. E vedesse come se ne consola! Tiranna con tutti, questa donna diventa la schiava d'una vecchia, brutta bestia, che... l'ha veduta?... brutta, le zampe a ròncolo, gli occhi cisposi... E tanto più la ama, quanto più s'accorge che tra essa e me s'è stabilita ormai da un pezzo un'antipatia, signor Gubbio, invincibile! invincibile! Questa brutta bestia, sicura che io, sapendola così protetta dalla padrona, non le allungherò mai quel calcio che la sventrerebbe, che la ridurrebbe - le giuro, signor Gubbio - una poltiglia, mi fa con la più irritante placidità tutti i dispetti possibili e immaginabili, veri soprusi: mi sporca costantemente il tappeto dello studio, si trattiene apposta di far per istrada i suoi bisogni, per venirmeli a fare sul tappeto dello studio, e mica piccoli, sa? grandi e piccoli; si sdraja su le poltrone, sul canapè dello studio; rifiuta i cibi e mi rosicchia tutti i panni sporchi: ecco qua, tre fazzoletti, jeri, e poi camìce, tovaglioli, asciugamani, foderette, e bisogna ammirarla e ringraziarla, perché questo rosicchiamento sa che signfica per mia moglie? Affezione! Sicuro. Significa che la cagnetta sente l'odore dei padroni. - Ma come? E se lo mangia? - Non sa quello che fa: così le risponderebbe mia moglie. S'è rosicchiato più di mezzo corredo. Devo star zitto, abbozzare, abbozzare, perché subito altrimenti mia moglie troverebbe l'appiglio per dimostrarmi ancora una volta, quattro e quattr'otto, la mia brutalità. Proprio così! Fortuna, signor Gubbio, sempre dico, fortuna che son medico! Ho l'obbligo da medico, di capire che questo sviscerato amore per una bestia è anch'esso un sintomo del male! Tipico, sa? Stette a guardarmi un po', indeciso, perplesso: poi, indicandomi una sedia, domandò: - Permette? Sedette; riguardò uno dei fazzoletti, scrollando il capo; poi, con un sorriso squallido, quasi supplice: - Non l'annojo, è vero? non la disturbo? Lo assicurai calorosamente che non mi disturbava affatto. - So, vedo che lei è un uomo di cuore... mi lasci dire! un uomo tranquillo, ma che sa comprendere e compatire. E io... S'interruppe, turbato in volto, tese l'orecchio, s'alzò precipitosamente: - Mi pare che Luisetta m'abbia chiamato... Tesi anch'io l'orecchio, dissi: - No, non mi pare. Dolorosamente si portò le mani su la parrucca e se la calcò sul capo. - Sa che m'ha detto jersera Luisetta? “Babbo, non ricominciare.” Io sono, signor Gubbio, un uomo esasperato! Per forza. Imprigionato qua in casa, dalla mattina alla sera, senza veder mai nessuno, escluso dalla vita, non posso sfogare la rabbia per l'iniquità della mia sorte! E Luisetta dice che faccio scappare tutti gl'inquilini! - Oh, ma io... - feci per protestare. - No, è vero, sa? È vero! - m'interruppe Cavalena. - E lei, che è così buono, mi deve promettere fin d'ora che appena io la stanco, appena io l'annojo, mi prenderà per le spalle e mi butterà fuori dell'uscio! Me lo prometta, per carità. Qua, qua: mi deve dar la mano, che farà così. Gli diedi la mano, sorridendo: - Ecco... come vuol lei... per contentarla. - Grazie! Così sono più tranquillo. Io sono cosciente signor Gubbio, non creda! Ma cosciente, sa di che? Di non essere più io! Quando s'arriva a toccare questo fondo, cioè a perdere il pudore della propria sciagura, l'uomo è finito! Ma io non l'avrei perduto, questo pudore! Ero così geloso della mia dignità! Me l'ha fatto perdere questa donna, gridando la sua follia. La mia sciagura è nota a tutti, oramai! Ed è oscena, oscena, oscena. - Ma no... perché? - Oscena! - gridò Cavalena. - Vuol vederla? Guardi! Eccola qua! E, in così dire, s'acciuffò con due dita la parrucca e se la tirò sù dal capo. Restai, quasi atterrito, a mirare quel cranio nudo, pallido, di capro scorticato, mentre Cavalena, con le lagrime agli occhi, seguitava: - Può non essere oscena, dica lei, la sciagura d'un uomo ridotto così e di cui la moglie sia ancora gelosa? - Ma se lei è medico! se lei sa che è una malattia! - m'affrettai a dirgli, afflitto, alzando le mani quasi per ajutarlo subito a ricalcarsi sul capo quella parrucca. - Ma appunto perché sono medico e so che è una malattia, signor Gubbio! Questa è la sciagura! che sono medico! Se potessi non sapere ch'ella lo fa per pazzia, io la caccerei fuori di casa, vede? mi separerei da lei, difenderei ad ogni costo la mia dignità. Ma sono medico! so che è pazza! e so dunque che tocca a me d'aver ragione per due, per me e per lei che non l'ha più! Ma avere ragione, per una pazza, quando la pazzia è così supremamente ridicola, signor Gubbio, che significa? significa coprirsi di ridicolo, per forza! significa rassegnarsi a sopportare lo strazio che questa pazza fa della mia dignità, davanti alla figlia, davanti alle serve, davanti a tutti, pubblicamente; ed ecco perduto il pudore della propria sciagura! - Papà! Ah, questa volta sì, chiamò davvero la signorina Luisetta. Cavalena subito si ricompose, si rassettò bene la parrucca sul capo, si raschiò la gola per cangiar voce, e ne trovò una fina fina, carezzevole e sorridente, per rispondere: - Eccomi, Sesè. E accorse, facendomi segno, con un dito, di tacere. Uscii anch'io, poco dopo, dalla mia stanza per vedere il Nuti. Origliai un po' dietro l'uscio della stanza. Silenzio. Forse dormiva. Restai un po' perplesso, guardai l'orologio: era già l'ora di recarmi alla Kosmograph; solo non avrei voluto lasciarlo, tanto più che Polacco mi aveva raccomandato espressamente di condurlo con me. A un tratto, mi parve di sentire come un sospiro forte, d'angoscia. Picchiai all'uscio. Il Nuti, dal letto, rispose: - Avanti. Entrai. La camera era al bujo. M'accostai al letto. Il Nuti disse: - Credo... credo d'aver la febbre... Mi chinai su lui; gli toccai una mano. Scottava. - Ma sì! - esclamai. - Ha la febbre, e forte. Aspetti. Chiamo il signor Cavalena. Il nostro padrone di casa è medico. - No, lasci... passerà! - diss'egli. - È lo strapazzo. - Certo, - risposi. - Ma perché non vuole che chiami Cavalena? Le passerà più presto. Permette che apra un po' gli scuri? Lo guardai alla luce: mi fece spavento. La faccia color mattone, dura, tetra, sudata; il bianco degli occhi, jeri insanguato, divenuto quasi nero, tra le borse orribilmente enfiate; i baffi scomposti, appiccicati su le labbra arse, tumide, aperte. - Sì, male... - disse. - La testa... E levò una mano dalle coperte per posarsela a pugno chiuso su la fronte. Andai a chiamar Cavalena che parlava ancora con la figliuola in fondo al corridojo. La signorina Luisetta, vedendomi appressare, mi guardò con accigliata freddezza. Certo ha supposto che il padre m'ha già fatto un primo sfogo. Ahimè, mi vedo condannato ingiustamente a scontare così la troppa confidenza che il padre m'accorda. La signorina Luisetta m'è già nemica. Ma non solo per la troppa confidenza del padre, bensì anche per la presenza dell'altro ospite in casa. Il sentimento destato in lei da quest'altro ospite fin dal primo istante, esclude l'amicizia per me. L'ho subito avvertito. È vano ragionarci sopra. Sono quei moti segreti, istintivi, onde si determinano le disposizioni dell'animo e per cui da un momento all'altro, senza un perché apparente, si àlterano i rapporti tra due persone. Certo, ora, la nimicizia sarà cresciuta per il tono di voce e la maniera con cui io - avendo avvertito questo - quasi senza volerlo, annunziai che Aldo Nuti stava a letto, in camera sua, con la febbre. Si fece pallida pallida, in prima; poi rossa rossa. Forse in quel punto stesso ella assunse coscienza del sentimento ancora indeterminato d'avversione per me. Cavalena accorse subito alla camera del Nuti; ella s'arrestò davanti all'uscio, quasi non volesse farmi entrare; tanto che fui costretto a dirle: Ma, poco dopo, cioè quando il padre le ordinò d'andare a prendere il termometro per misurare la febbre, entrò nella camera anche lei. Non le staccai un momento gli occhi dal viso, e vidi che ella, sentendosi guardata da me, si sforzava violentemente di dissimulare la pietà e insieme lo sgomento che la vista del Nuti le cagionavano. L'esame è durato a lungo. Ma, tranne la febbre altissima e il male alla testa, Cavalena non ha potuto accertar altro. Usciti però dalla camera, dopo aver richiuso gli scuri della finestra, perché l'infermo non può soffrire la luce, Cavalena s'è mostrato costernatissimo. Teme che sia un'infiammazione cerebrale. - Bisogna chiamar subito un altro medico, signor Gubbio! Io, anche perché padrone di casa, capirà, non posso assumermi la responsabilità d'un male che stimo grave. M'ha dato un biglietto per quest'altro medico suo amico, che ha recàpito alla prossima farmacia, e io sono andato a lasciare il biglietto, e poi, già in ritardo, sono corso alla Kosmograph. Ho trovato il Polacco su le spine, pentitissimo d'avere agevolato il Nuti in questa folle impresa. Dice che non si sarebbe mai e poi mai immaginato di vederlo nello stato in cui gli è apparso d'improvviso, inopinatamente, perché dalle lettere di lui, prima dalla Russia, poi dalla Germania, poi dalla Svizzera, non c'era da argomentarlo. Voleva mostrarmele, per sua giustificazione; ma poi, tutt'a un tratto se n'è dimenticato. L'annunzio della malattia l'ha quasi rallegrato o, per lo meno, sollevato da un gran peso, per il momento. - Infiammazione cerebrale? Oh senti Gubbio, se morisse... Perdio, quando un uomo si riduce a questi estremi, quando diventa pericoloso a sé e agli altri, la morte... quasi quasi... Ma speriamo di no; speriamo che invece sia una crisi salutare. Tante volte, chi sa! Mi dispiace tanto per te, povero Gubbio, e anche per quel povero Cavalena... Questa tegola... Verrò, verrò stasera a trovarvi. Ma è provvidenziale, sai? Qua finora, tranne te, non lo ha veduto nessuno; nessuno sa che è arrivato. Silenzio con tutti, eh? M'hai detto che sarebbe prudente togliere al Ferro la parte nel film della tigre. - Ma senza fargli capire... - Bambino! Parli con me. Ho pensato a tutto. Guarda: jersera, poco dopo che siete andati via vojaltri, è venuta da me la Nestoroff. - Ah sì? Qua? - Deve aver fiutato in aria che il Nuti è arrivato. Caro mio, ha una gran paura! Paura del Ferro, non del Nuti. È venuta a domandarmi... così, come se nulla fosse, se era proprio necessario che ella seguitasse a venire alla Kosmograph, e anche a stare a Roma, dal momento che, tra poco, tutt'e quattro le compagnie saranno impegnate nel film della tigre, a cui ella non prenderà parte. Capisci? Io ho colto la palla al balzo. Le ho risposto che il commendator Borgalli ha ordinato che, prima che tutt'e quattro le compagnie siano impegnate, si finisca d'iscenare quei tre o quattro films rimasti in sospeso per alcuni esterni dal vero, per cui bisognerà andar lontano. C'è quello dei marinaj d'Otranto, di cui ha dato il soggetto Bertini. “Ma io non ci ho parte” ha detto la Nestoroff. “Lo so” le ho risposto “ma ci ha parte il Ferro, la parte principale, e forse sarebbe meglio, più conveniente per noi, disimpegnarlo da quella che si è assunta nel film della tigre, e mandarlo laggiù col Bertini. Ma forse non vorrà accettare. Ecco, se lo persuadesse lei, signora Nestoroff.” Mi guardò negli occhi un pezzo... sai, come suol fare... poi disse: “Potrei...”. E infine, dopo aver pensato un po': “In questo caso, andrebbe lui solo laggiù; io resterei qua, in sua vece per qualche parte, anche secondaria, nel film della tigre...”. - Ah, e allora no! - non ho potuto tenermi di dire a questo punto al Polacco. - Solo, laggiù, Carlo Ferro non andrà, puoi esserne sicuro! - Bambino! Se colei vuole davvero, sta' certo che andrà! Anche all'inferno andrà! - Non capisco. E perché lei vuol rimanere qua? - Ma non è vero! Lo dice... Non capisci che finge, per non darmi a vedere che teme del Nuti? Andrà anche lei, vedrai. O forse... o forse... chi sa! Vorrà davvero rimanere per incontrarsi qua, da sola, liberamente, col Nuti e fargli passar la voglia di tutto. È capace di questo e d'altro, capace di tutto. Ah, che guajo! Andiamo, andiamo intanto a lavorare. Oh, dimmi un po': la signorina Luisetta? Bisogna che venga assolutamente per gli altri quadri del film. Gli dissi delle furie della signora Nene, e che Cavalena il giorno avanti era venuto per restituire (sebbene a malincuore, dal canto suo) il danaro e i regalucci. Polacco ripeté che sarebbe venuto la sera in casa del Cavalena per indurlo insieme con la signora Nene a far tornare la signorina Luisetta alla Kosmograph. Eravamo già all'entrata del reparto del Positivo: finii d'esser Gubbio e diventai una mano.
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