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Luigi Pirandello
Quaderni di Serafino Gubbio

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  • Quaderno sesto
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Quaderno sesto

 

I

 

Dolce e fredda, la polpa delle pere d'inverno, ma spesso, qua e , s'indurisce in qualche nodo aspro. I denti van per mordere, trovano quel duro e allegano. Così è della situazione nostra, che potrebbe esser dolce e fredda, almeno per due di noi, se non ci sentissimo l'intoppo d'un che di aspro e duro.

Andiamo insieme, da tre giorni, ogni mattina, la signorina Luisetta, Aldo Nuti e io, alla Kosmograph.

Tra me e il Nuti, la signora Nene, affida a me, non certo al Nuti, la figliuola. Ma questa, tra il Nuti e me, ha certo più l'aria di andare col Nuti, che di venire con me. Intanto:

io vedo la signorina Luisetta, e non vedo il Nuti;

la signorina Luisetta vede il Nuti e non vede me;

il Nuti non vede né me, né la signorina Luisetta.

Così andiamo, tutti e tre accanto, ma senza vederci l'uno con l'altro.

La fiducia della signora Nene dovrebbe irritarmi, dovrebbe... - che altro? Niente. Dovrebbe irritarmi, dovrebbe avvilirmi: invece, non mi irrita, non mi avvilisce. Mi commuove, invece. Quasi per farmi maggior dispetto.

Ecco, la ragiono questa fiducia, per cercare di vincere la dispettosa commozione.

È certo uno straordinario attestato d'incapacità, per un verso; di capacità, per un altro. Questo - dico l'attestato di capacità - potrebbe, in certo qual modo, lusingarmi; ma quello è sicuro che dalla stessa signora Nene non mi è dato senza una lieve punta di commiserazione derisoria.

Un uomo, incapace di far male, per lei, non può essere un uomo. Non sarà dunque neppure da uomo quell'altra mia capacità.

Pare che non si possa fare a meno di commettere il male, per essere stimati uomini. Per conto mio, io so bene, benissimo, d'essere uomo: male, n'ho commesso, e tanto! Ma sembra che gli altri non se ne vogliano accorgere. E questo mi fa rabbia. Mi fa rabbia perché, costretto a prendermi quella patente, d'incapacità - che è, che non è - mi trovo addosso talvolta, imposta dalla soperchieria altrui, una bellissima cappa d'ipocrisia. E quante volte sbuffo sotto questa cappa! Non mai tante volte, certo, come di questi giorni. Quasi quasi mi verrebbe voglia di mettermi a guardare la signora Nene negli occhi in un certo modo, che... No, no, via, povera donna! S'è così ammansita, tutt'a un tratto, così imbalordita anzi, dopo quella sfuriata della figliuola e questa risoluzione improvvisa di mettersi a far l'attrice di cinematografia! Bisogna vederla quando, poco prima d'andar via, ogni mattina, mi s'accosta e, dietro le spalle della figliuola, levando appena appena le mani, furtivamente, con occhi pietosi:

- Gliela raccomando, - mi bisbiglia.

La situazione, appena arrivati alla Kosmograph, cangia e si fa molto seria, non ostante che su l'entrata, ogni mattina, troviamo - puntualissimo e tutto sospeso in un'ansia trepida - Cavalena. Gli ho già detto, l'altro jeri e anche jeri, del cambiamento della moglie; ma Cavalena non accenna ancora di ridiventar medico. Che! che! L'altro jeri e jeri, m'è quasi svanito davanti in un'aria distratta, come per non lasciarsi prendere da quel che gli dicevo:

- Ah, sì? Bene, bene... - ha detto. - Ma io, per ora... Come dice? No, scusi, credevo...Contento, sa? Ma se torno, è tutto finito. Dio liberi! Qua ora bisogna assodare, assodare la posizione di Luisetta e la mia.

Eh sì, assodare: sono come per aria il papà e la figliuola. Penso che la loro vita potrebbe esser facile e comoda e svolgersi in una dolce pace serena. C'è la dote della mamma; Cavalena, brav'uomo, potrebbe attendere tranquillamente alla sua professione; non avrebbero bisogno d'estranei per casa, e la signorina Luisetta sul davanzale della finestra d'una quieta casetta al sole potrebbe graziosamente coltivare come fiori i più bei sogni di giovinetta. Nossignori! Questa che dovrebbe essere la realtà, come tutti la vedono, perché tutti riconoscono che la signora Nene non ha proprio nessunissima ragione di tormentare il marito, questa che dovrebbe essere la realtà, dicevo, è un sogno. La realtà, invece, deve essere un'altra, lontanissima da questo sogno. La realtà è la follia della signora Nene. E nella realtà di questa follia - che è per forza disordine angoscioso, esasperato - ecco qua sbalzati fuor di casa, smarriti, incerti, questo pover'uomo e questa povera figliuola. Si vogliono assodare, l'uno e l'altra, in questa realtà di follia, ed eccoli, vagano da due giorni qua, l'uno accanto all'altra, muti e tristi, per le piattaforme e gli sterrati.

Cocò Polacco, a cui insieme col Nuti si rivolgono appena entrati, dice loro che non c'è niente da fare per il momento. Ma la scrittura è in corso; la paga corre. Da avventizia, per ora, perché la signorina Luisetta s'incomoda a venire; se non posa, non manca per lei.

Ma questa mattina, finalmente, l'hanno fatta posare. Polacco l'ha affidata al suo collega direttore di scena Bongarzoni per una particina in un film a colori, di costume settecentesco.

Lavoro, di questi giorni, col Bongarzoni. Appena arrivato alla Kosmograph consegno la signorina Luisetta al padre, entro nel reparto del Positivo a prender la mia macchina e spesso m'avviene di non veder più per ore e ore né la signorina Luisetta, né il Nuti, né il Polacco, né il Cavalena. Non sapevo dunque che il Polacco avesse data al Bongarzoni la signorina Luisetta per quella particina. Sono rimasto, quando me la son veduta comparire davanti come staccata da un quadretto del Watteau.

Era con la Sgrelli, che aveva finito or ora d'acconciarla con cura e con amore nella guardaroba dei costumi antichi, e le premeva con un dito sulla guancia un neo di seta che non le si voleva ancor bene attaccare. Il Bongarzoni le ha fatto molti complimenti e la povera piccina si sforzava di sorridere senza scuoter troppo la testa, per timore non le crollasse l'enorme acconciatura. Non sapeva più muovere le gambe entro quell'abito di seta a sbuffi.

Ecco concertata la scenetta. Una gradinata esterna, che discende a un angolo di parco. La damina esce da una loggia chiusa da vetri: scende due gradini; si sporge dalla ringhiera a pilastrini a spiar lontano, nel parco, timida, perplessa, in un'ansia paurosa: poi scende in fretta gli altri gradini e nasconde un biglietto, che ha in mano, sotto la pianta d'alloro, nel vaso in capo alla ringhiera.

- Attenti, si gira!

Non ho mai girato con tanta delicatezza la manovella della mia macchinetta. Questo grosso ragno nero sul treppiedi già l'ha avuta in pasto due volte. Ma la prima volta, al Bosco Sacro, la mia mano, nel girare per dargliela a mangiare, ancora non sentiva. Questa volta, invece...

Eh, son rovinato, se la mia mano si mette a sentire! No, signorina Luisetta, no: bisogna che voi non facciate più codesto mestieraccio. Tanto, so perché lo fate! Vi dicono tutti, anche il Bongarzoni questa mattina, che avete una non comune disposizione naturale all'arte scenica; e ve lo dico anch'io, sì; non per la prova di stamani, però. Oh, la avete disimpegnata come meglio non si poteva; ma io so bene, so bene perché avete saputo così meravigliosamente fingere l'ansia paurosa, allorché, scesi i due primi gradini, vi siete sporta dalla ringhiera a guardar lontano. Tanto bene lo so, che quasi quasi, a momenti, mi voltavo anch'io a guardare dove voi guardavate, per vedere se non fosse per caso arrivata in quel momento la Nestoroff.

Da tre giorni, qua, voi vivete in quest'ansia paurosa. Non voi sola; sebbene, forse, nessuno più di voi. Da un momento all'altro, veramente, la Nestoroff può arrivare. Non si vede da nove giorni. Ma è a Roma; non è partita. È partito solo Carlo Ferro, con altri cinque o sei attori e il Bertini, per Taranto.

Il giorno che Carlo Ferro partì (son già quasi due settimane), Polacco venne a trovarmi raggiante e come se si fosse levato un macigno dal petto.

- Te l'avevo detto, bambino? Anche all'inferno va, se lei vuole!

- Purché, - gli risposi, - non ce lo vediamo arrivare all'improvviso, come una bomba. Ma è già un gran fatto, veramente, e per me ancora inesplicabile, ch'egli sia partito. Mi risuonano ancora nell'orecchio le sue parole:

- Posso essere una belva di fronte a un uomo, ma come uomo di fronte a una belva non valgo nulla!

Eppure, con la coscienza di non valer nulla, per puntiglio, non s'è tirato indietro, non s'è rifiutato d'affrontare la belva; ora, di fronte a un uomo, è fuggito. Perché è certo che la sua partenza, il giorno dopo l'arrivo del Nuti, ha tutta l'aria d'una fuga.

Non voglio negare che la Nestoroff abbia su lui il potere di costringerlo a fare ciò ch'ella vuole. Ma io ho sentito ruggire in lui, e proprio per questa venuta del Nuti, le furie della gelosia. La rabbia, che il Polacco lo abbia designato per l'uccisione della tigre, non gli è sorta per il solo sospetto che egli, il Polacco, si volesse con questo mezzo sbarazzare di lui, ma anche e più per il sospetto che abbia fatto venire apposta nello stesso tempo il Nuti perché costui si potesse liberamente ripigliare la Nestoroff. E m'è apparso manifesto che non è sicuro di lei. Come dunque è partito?

No, no: c'è qui sotto, senza dubbio, un accordo; questa partenza deve nascondere un'insidia. La Nestoroff non avrebbe potuto indurlo a partire, mostrando d'aver paura di perderlo, comunque, lasciandolo qui ad aspettare uno, che certamente veniva col deliberato proposito di cimentarlo. Per questa paura egli non sarebbe partito. O, se mai, ella lo avrebbe accompagnato. Se ella è rimasta qui ed egli è partito, lasciando libero il campo al Nuti, vuol dire che un accordo dev'essersi stabilito tra loro, ordita una rete così saldamente e sicuramente ch'egli stesso ha potuto comprimere sott'essa e tenere in freno la gelosia. Nessuna paura ella ha dovuto mettere avanti; e, stabilito l'accordo, avrà preteso da lui questa prova di fiducia, che fosse lasciata qui sola di fronte al Nuti. Difatti, per parecchi giorni dopo la partenza di Carlo Ferro, ella venne alla Kosmograph, preparata evidentemente a incontrarsi con lui. Non poteva venire per altro, libera com'è adesso d'ogni impegno professionale. Non venne più, quando seppe che il Nuti era gravemente infermo.

Ma ora, da un momento all'altro, può tornare.

Che avverrà?

Polacco è di nuovo su le spine. Non si stacca dal fianco il Nuti; se per poco deve lasciarlo, volge prima di nascosto un'occhiata d'intelligenza a Cavalena. Ma il Nuti, quantunque di tanto in tanto per qualche lieve contrarietà abbia certi scatti che dànno a vedere in lui un'esasperazione violentemente compressa, è piuttosto calmo; sembra anche uscito da quella cupezza dei primi giorni della convalescenza; si lascia condurre qua e da Polacco e da Cavalena; mostra una certa curiosità di conoscere da vicino questo mondo del cinematografo e ha visitato attentamente, con l'aria d'un severo ispettore, i due reparti.

Polacco, per distrarlo, gli ha proposto due volte di provarsi a sostenere qualche parte. S'è ricusato, dicendo che prima vuole abituarsi un po' a vedere come fanno gli altri.

- È una pena, - ha osservato jeri davanti a me, dopo avere assistito alla iscenatura d'un quadro, - e dev'essere anche uno sforzo che guasta, altera ed esagera le espressioni, la mimica senza la parola. Parlando, il gesto sorge spontaneo; ma senza parlare...

- Si parla dentro, - gli ha risposto con una serietà meravigliosa la piccola Sgrelli (la Sgrellina, come qua la chiamano tutti). - Si parla dentro, per non sforzare il gesto...

- Ecco, - ha fatto il Nuti, come prevenuto in ciò che stava per dire.

La Sgrellina allora s'è appuntato l'indice su la fronte e ha guardato tutti in giro con una finta aria di scema, che chiedeva con graziosissima malizia:

- Sono intelligente, sì o no?

Abbiamo riso tutti e anche il Nuti. Polacco per poco non se l'è baciata. Forse spera che ella, essendo qua il Nuti al posto di Gigetto Fleccia, pensi ch'egli debba sostituire costui anche nell'amore di lei e riesca a fare il miracolo di distorlo dalla Nestoroff. Per abbondare e dar largo pascolo a questa speranza lo ha presentato anche a tutte le giovani attrici delle quattro compagnie; ma pare che il Nuti, pur mostrandosi garbato con tutte, non dia il minimo segno di volersi distrarre. Del resto, tutte le altre, anche se non fossero già, più o meno, impegnate per conto loro, si guarderebbero bene dal fare un torto alla Sgrellina. E quanto alla Sgrellina scommetto che s'è già accorta che farebbe ingiuria, a sua volta, a una certa signorina, che viene da tre giorni alla Kosmograph col Nuti e con Si gira.

Chi non se n'accorge? Il Nuti solo! Eppure ho il sospetto che anche lui se ne sia accorto. Ma strano è questo, e vorrei trovar modo di farlo notare alla signorina Luisetta: che l'accorgersi del sentimento di lei provochi in lui un effetto contrario a quello cui ella aspira: lo respinge da lei e lo fa tendere con maggiore spasimo verso la Nestoroff. Perché certo ora il Nuti ricorda d'aver veduto in lei, nel delirio, Duccella; e siccome sa che questa non può e non vuole più amarlo, l'amore che scorge in lei gli deve sembrare per forza una finzione, ormai non più pietosa, passato com'è il delirio; ma anzi spietata: un ricordo bruciante, che gl'inasprisce la piaga.

È impossibile far capire questo alla signorina Luisetta.

Attaccato col sangue tenace d'una vittima all'amore per due donne diverse, che lo respingono entrambe, il Nuti non può avere occhi per lei; può vedere in lei l'inganno, quella Duccella finta, che per un momento gli apparve nel delirio; ma ora il delirio è passato, quel che fu inganno pietoso è divenuto per lui ricordo crudele, tanto più, quanto più vede sussistere in lei l'ombra di quell'inganno.

E così, invece di trattenerlo, la signorina Luisetta con quest'ombra di Duccella lo caccia, lo spinge più cieco verso la Nestoroff.

Per lei, prima di tutto; poi per lui, e infine - perché no? - anche per me, non vedo altro rimedio, che in un tentativo estremo, quasi disperato: partire per Sorrento, riapparire dopo tanti anni nella casa antica dei nonni, per ridestare in Duccella il primo ricordo del suo amore e, se è possibile, rimuoverla e far che venga lei a dar corpo a quest'ombra, che un'altra qua per conto di lei disperatamente sostiene con la sua pietà e col suo amore.

 




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