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Luigi Pirandello
Quaderni di Serafino Gubbio

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  • Quaderno sesto
    • III
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III

 

La donna, come aveva compreso in prima dall'espressione del mio volto lo sdegno, comprese l'avvilimento, la nausea in me, e il moto dell'animo che n'era seguito.

Quello - lo sdegno - le era piaciuto, forse perché intendeva valersene per il suo fine segreto, soggiacendo ad esso sotto i miei occhi con aria d'accorata umiltà. L'avvilimento, la nausea non le erano dispiaciuti, ché forse e più di me li provava anche lei. Le dispiacque la mia freddezza improvvisa, il vedermi d'un tratto ricomposto nell'abito della mia professionale impassibilità. E anche lei s'intenerì; mi guardò freddamente; disse:

- Speravo di vedervi insieme con la signorina Cavalena.

- Le ho dato da leggere il biglietto, - risposi. - Era già pronta per recarsi alla Kosmograph. L'ho pregata di venire...

- Non ha voluto?

- Non ha creduto. Forse per la sua qualità di ospite...

- Ah, - fece, buttando indietro il capo. - Ma anzi, - soggiunse, - io l'avevo invitata appunto per questo, per la sua qualità di ospite.

- Gliel'ho fatto notare, - dissi.

- E non ha creduto che le convenisse venire?

Aprii le braccia.

Ella rimase un po' assorta a pensare; poi, quasi in un sospiro, disse:

- Ho sbagliato. Quel giorno, ricordate? che andammo insieme al Bosco Sacro, mi parve gentile, e anche contenta di stare accanto a me... Capisco che non era ancora ospite. Ma scusate, non siete ospite anche voi?

Sorrise, per ferirmi, rivolgendomi quasi a tradimento questa domanda. E in verità, non ostante il mio proponimento di rimanere estraneo a tutto e a tutti, mi sentii ferire. Tanto che risposi:

- Ma tra due ospiti, lei sa bene, si può fare più conto dell'uno che dell'altro.

- Credevo il contrario, - disse. - Non vi fa piacere?

- Né piacere, né dispiacere, signora.

- Proprio vero? Scusate, non ho diritto di pretendere alla vostra sincerità. Ma io mi proponevo d'esser sincera con voi, oggi.

- E io sono venuto...

- Perché la signorina Cavalena, come voi dite, ha voluto dimostrare di far più conto dell'altro ospite?

- No, signora. La signorina Cavalena ha detto di voler restare estranea.

- E anche voi?

- Io sono venuto.

- E io vi ringrazio moltissimo. Ma solo siete venuto! E questo - forse sbaglio ancora - non m'affida, non perché ritenga, badate, che anche voi, come la signorina Cavalena, facciate più conto dell'altro ospite; anzi, al contrario...

- Come sarebbe?

- Che di quell'altro ospite non v'importi niente: non solo, ma che vi farebbe anzi piacere che gli accadesse qualche male, anche per il fatto che la signorina Cavalena, non volendo venire con voi, ha dimostrato di tenere più a lui che a voi. Mi spiego?

- Ah, no, signora! S'inganna! - esclamai recisamente.

- Non vi contraria?

- Per nulla. Cioè... ecco, sinceramente... mi contraria, ma non più per me, ormai. Io veramente mi sento estraneo.

- Ecco, vedete? - esclamò ella a questo punto, interrompendomi. - Questo ho temuto, vedendovi entrar solo. Confessate che voi non vi sentireste ora così estraneo, se la signorina fosse venuta con voi...

- Ma se io sono venuto lo stesso!

- Da estraneo.

- No, signora. Guardi, io ho fatto più di quanto ella non creda. Ho parlato a lungo con quel disgraziato e ho cercato di dimostrargli in tutti i modi che non ha nulla da pretendere, dopo quanto è accaduto, almeno secondo quello ch'egli stesso dice.

- Che v'ha detto? - domandò la Nestoroff, impuntandosi e infoscandosi.

- Molte stupidaggini, signora, - risposi. - Farnetica. Ed è da temere, creda, tanto più, in quanto è incapace, secondo me, di qualunque sentimento veramente serio e profondo. Lo dimostra, già, il fatto che sia venuto qua con certi propositi...

- Di vendetta?

- Non propriamente di vendetta. Non lo sa neppur lui! È un po' il rimorso... un rimorso che non vorrebbe avere; di cui avverte solo superficialmente il pungolo irritante, perché, ripeto, è incapace anche d'un pentimento vero, d'un pentimento sincero, che potrebbe maturarlo, farlo rinsavire. È dunque un po' l'irritazione di questo rimorso, intollerabile; un po' la rabbia, o piuttosto (la rabbia sarebbe troppo forte per lui) diciamo la stizza, una stizza acerba, non confessata, di essere stato abbindolato...

- Da me?

- No. Non vuole confessarlo!

- Ma voi lo credete?

- Io credo, signora, che ella non lo abbia mai preso sul serio e si sia servita di lui per staccarsi da...

Non volli proferire il nome: alzai la mano versa le sei tele. La Nestoroff corrugò le ciglia, abbassò il capo. Stetti un po' a mirarla e, deciso d'andare fino in fondo, insistetti:

- Egli parla di tradimento. Del tradimento del Mirelli, che s'uccise per la prova che lui volle fargli d'esser facile ottenere da lei (scusi) ciò che il Mirelli non aveva potuto ottenere.

- Ah, dice così? - domandò, scattando, la Nestoroff.

- Dice così, ma confessa di non avere ottenuto nulla da lei. Farnetica. Vuole aggrapparsi a lei, perché a star così - dice - impazzirebbe.

La Nestoroff mi guardò quasi con sgomento.

- Voi lo disprezzate? - mi domandò.

Risposi:

- Non lo pregio di certo. Può farmi sdegno; può farmi anche compassione.

Balzò in piedi, come sospinta da un impeto irrefrenabile:

- Io sdegno, - disse, - quelli che sentono compassione.

Risposi con calma:

- Comprendo benissimo in lei codesto sentimento.

- E mi disprezzate?

- No, signora, tutt'altro!

Si voltò a guardarmi; sorrise con amaro dispetto:

- Mi ammirate, allora?

- Ammiro in lei, - risposi, - ciò che in altri forse provoca lo sdegno; quello sdegno, del resto, che lei stessa vuole suscitare negli altri, per non provocarne la compassione.

Tornò a guardarmi più fissamente; mi s'appressò quasi a petto e mi domandò:

- E non volete dire con questo, in un certo senso, che avete anche compassione di me?

- No, signora. Ammirazione. Perché lei sa punirsi.

- Ah sì? Voi comprendete questo? - disse, alterandosi in volto e con un fremito, come se l'avesse colta un brivido improvviso.

- Da un pezzo, signora.

- Contro il disprezzo di tutti?

- Forse appunto a causa del disprezzo di tutti.

- Me ne sono accorta anch'io da un pezzo, - disse, tendendomi la mano e stringendo forte la mia. - Grazie. Ma so anche punire, credete! - soggiunse subito, minacciosa, ritraendo la mano e levandola in aria con l'indice teso. - So anche punire, senza compassione, perché non ne ho voluta mai per me e non ne voglio!

Si mise a passeggiare per la stanza, ripetendo:

- Senza compassione... senza compassione...

Poi, fermandosi:

- Vedete? - mi disse con occhi cattivi. - Io non ammiro voi, per esempio, che sapete vincere lo sdegno con la compassione.

- In questo caso, non dovrebbe ammirare neanche se stessa, - dissi sorridendo. - Pensi un po' e dica perché mi ha invitato a venire da lei questa mattina?

- Credete per compassione di quel... disgraziato, come voi avete detto?

- O di lui, o di qualche altro, o di lei stessa.

- Nient'affatto! - negò con impeto. - No! No! Voi v'ingannate! Nessuna compassione, per nessuno! Io voglio esser questa; io voglio restare così. Io v'ho invitato a venire perché gli facciate intendere che non ho compassione di lui e non ne avrò mai!

- Ma, intanto, non vuole fargli del male.

- Voglio fargli del male, appunto, lasciandolo dov'è e com'è.

- Ma se lei è così senza compassione, non gli farebbe maggior male, accostandolo a sé? Lei vuole invece allontanarlo...

- Ma perché voglio io, io, restare così! Farei maggior male a lui, sì; ma farei un bene a me, perché mi vendicherei sopra di lui, anziché sopra di me. E che male credete che potrebbe venirmi da uno come lui? Non lo voglio io, capite? Non perché abbia compassione di lui, ma perché mi piace di non averne di me. Non m'importa del suo male né m'importa di dargliene uno maggiore. Gli basta quello che ha. Vada a piangere lontano! Io non voglio piangere.

- Temo, - dissi, - che non abbia più voglia di piangere neanche lui.

- E che vuol fare?

- Mah! Non essendo, come le ho detto, capace di nulla; nell'animo in cui si trova, potrebbe essere purtroppo capace di tutto.

- Non lo temo, non lo temo! Vedete? è questo! Vi ho invitato a venire da me per dirvi questo, per farvi intender questo e perché voi, a vostra volta, glielo facciate intendere. Non temo mi possa venire da lui nessun male, neppure se m'uccidesse, neppure se, per causa sua, dovessi andare a finire in prigione! Corro anche questo rischio, sapete! Deliberatamente, mi sono esposta anche a questo rischio. Perché so con chi ho da fare. E non temo. Mi sono illusa di sentire un po' di timore; mi sono adoperata in questa illusione, ad allontanare di qua uno che minacciava violenze su me, su tutti. Non è vero. Ho agito freddamente, non per timore! Qualunque male, anche questo, sarebbe minore per me. Un altro delitto, la prigione, la morte stessa, sarebbero per me mali minori di quello che soffro adesso e nel quale voglio restare. Guaj a lui se tenta di suscitarmi un po' di compassione per me stessa o per lui. Non ne ho! Se voi ne avete per lui, voi che ne avete tanta per tutti, fate, fate che se ne vada! Ecco quello che desidero da voi, appunto perché io non temo di nulla!

Questo mi disse, mostrando in tutta la persona la smania disperata di non sentire veramente ciò che avrebbe voluto sentire.

Restai un tratto in una perplessità piena di sgomento, d'angoscia e d'ammirazione anche; poi tornai ad aprir le braccia e, per non promettere invano, le dissi del mio proposito di recarmi alla villetta di Sorrento.

Ella stette ad ascoltarmi, ristretta in sé, forse per attutire il bruciore che il ricordo di quella villetta e delle due donne sconsolate le cagionava; chiuse gli occhi dolorosamente; negò col capo; disse:

- Non otterrete nulla.

- Chi sa! - sospirai. - Almeno per provare.

Mi strinse forte la mano:

- Forse, - disse, - farò anch'io qualche cosa per voi.

La guardai negli occhi, più costernato che curioso:

- Per me? E che cosa?

Alzò le spalle; sorrise con pena.

- Dico, forse... Qualche cosa. Vedrete.

- Io la ringrazio, - soggiunsi. - Ma non vedo proprio che cosa ella possa fare per me. Ho chiesto sempre così poco alla vita, e meno che mai intendo di chiederle ora. Non le chiedo anzi, proprio, più nulla, signora.

La salutai e andai via con l'animo sospeso da questa promessa misteriosa.

Che vorrà fare? Freddamente, come avevo supposto, ella ha fatto andar via Carlo Ferro, pur prevedendo senz'alcun timore, né per sé né per lui né per gli altri, ch'egli da un momento all'altro possa piombar qui a commettere anche un delitto. E può, in questa previsione, pensar di fare qualche cosa per me? Che cosa? Come c'entro io in tutto questo tristo groviglio? Intende d'avvilupparmi in qualche modo in esso? e per che modo? Di me non ha potuto scorger altro, che l'amicizia lontana per Giorgio Mirelli e ora un sentimento vano per la signorina Luisetta. Non può prendermi né per quell'amicizia con uno già morto, né per questo sentimento che ora muore in me.

Eppure, chi sa? Non riesco a tranquillarmi.

 




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