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Luigi Pirandello Quaderni di Serafino Gubbio IntraText CT - Lettura del testo |
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I
Turbarsi? Ma no, via, perché? Tanta vita è passata; e morto è là, lontano, il passato. Ora la vita è qua, questa: un'altra. Sterrati, attorno, e piattaforme; gli edificii fuorimano, quasi in campagna, tra il verde e l'azzurro, d'una Casa di cinematografia. E lei, qua, attrice ora... Attore anche lui? oh guarda! dunque colleghi? Ma bene; piacere... Tutto bene, tutto liscio come l'olio. La vita. Questo fruscìo della gonna di seta turchina, ora, con questa bizzarra tunica di merletto bianco, e questo cappellino alato, come il casco del dio del commercio, sui capelli color di rame... già! La vita. Un po' di ghiaja rimossa con la punta dell'ombrellino; e un breve silenzio, con gli occhi invagati, fissi alla punta di quell'ombrellino che rimuove quel po' di ghiaja là. - Come? Ah, sì, caro: una gran noja. Sarà, senza dubbio, avvenuto questo, jeri, durante la mia assenza. La Nestoroff, con quegli occhi invagati, stranamente aperti, sarà andata alla Kosmograph apposta, per incontrarsi con lui; gli si sarà fatta innanzi con l'aria di niente, come si va innanzi a un amico, a un conoscente che si ritrovi per caso dopo tant'anni; e il farfallino, senza sospetto della ragna, s'è messo a battervi le ali sù, tutto esultante. Ma come mai la signorina Luisetta non s'è accorta di nulla? Ecco: questa soddisfazione alla signora Nestoroff sarà mancata. Jeri, la signorina Luisetta, per festeggiare il ritorno in casa del babbo non è andata col signor Nuti alla Kosmograph. E la signora Nestoroff, così non ha potuto avere il piacere di mostrare a quella signorina sdegnosetta che il giorno avanti non aveva voluto accettare l'invito, come subito ella, appena voglia, può staccare dal fianco di qualunque signorina sdegnosetta e riprendersi tutti i signorini matti che minacciano tragedie, pst! così, con un cenno del dito, e ammansarli subito subito, ubriacarli col solo fruscìo d'una gonna di seta e un po' di ghiaja rimossa con la punta dell'ombrellino. Noja, sì, una gran noja, certo, perché a questo piacere che le è mancato, ci teneva molto la signora Nestoroff. La sera, ignara di tutto, la signorina Luisetta ha veduto rientrare in casa il signorino con un'altr'aria, trasfigurato, festoso. Come avrebbe pensato che quella trasfigurazione, quella festosità potessero derivargli dall'incontro con la Nestoroff, se ogni qual volta con terrore ella pensa a quest'incontro, vede rosso, nero, uno scompiglio, la follìa, la tragedia? Dunque, così cangiato, così festoso, per il ritorno di papà in casa, anche lui? Ecco: che glien'importi poi molto, a lui, del ritorno di papà in casa, la signorina Luisetta non può credere, no; ma che ne provi piacere e voglia accordarsi alla festa degli altri, via, perché no? Come si spiegherebbe allora quella festosità? E c'è da essergliene grati; c'è da esserne lieti, perché questa festosità dimostra a ogni modo che l'animo di lui s'è fatto più lieve, più aperto, tanto da potervi accogliere facilmente la gioja degli altri. Certo avrà pensato così la signorina Luisetta. Jeri; non oggi. Oggi è venuta alla Kosmograph con me, tutta scurita in viso. S'è trovato, con molta sorpresa, che il signor Nuti era già uscito di casa pertempissimo, ancora a bujo. Non voleva mostrarmi, cammin facendo, il malumore e la costernazione, dopo lo spettacolo offertomi jersera della sua letizia; e m'ha domandato dov'ero stato io jeri e che avevo fatto. - Io? Mah! Una piccola gita di piacere... - E m'ero divertito? - Oh, molto! Almeno in principio. Poi... - cose che succedono! Disponiamo tutto bene per una gita di piacere; crediamo d'aver pensato a tutto, provveduto a tutto perché riesca serena, senza incidenti che ce la guastino; ma purtroppo c'è sempre qualche cosa, tra tante, a cui non pensiamo; una cosa ci sfugge... - ecco, per esempio, se è una famigliuola con molti bambini che voglia andare a merendare in campagna con la bella giornata, il pajo di scarpette del secondo bambino, dove c'è un chiodo, una cosa da niente, un chiodino, dentro, spuntato sul calcagno, che bisognerebbe ribattere. La mammina ci ha pensato, appena levata di letto; ma poi, come si fa? tra tante cose da preparare per la scampagnata, non ci ha pensato più. E quel pajo di scarpette, con le due linguette sù, come le orecchie tese d'un coniglietto arguto, allineato in mezzo alle altre paja, lustrate tutte a dovere e pronte per essere calzate dai bimbi, resta là e par che goda in silenzio del dispetto che farà alla mammina che se n'è dimenticata e che ora, all'ultimo momento, ecco, s'affaccenda più che mai, in gran confusione, perché il babbo è già a piè della scala e grida di far presto e anche tutti i bimbi le gridano attorno di far presto, impazienti. Quel pajo di scarpette, mentre la mammina lo piglia per calzarlo in fretta in furia al bambino, sogghigna: - Eh sì, cara mammina; ma a me, vedi? non hai pensato; e vedrai che io ti guasterò tutto: a mezza strada comincerò a pungere col chiodino il piede del tuo piccolo e lo farò piangere e zoppicare. Ebbene, anche a me era accaduto qualcosa di simile. No, nessun chiodino nelle scarpe da ribattere. Un'altra cosa m'era sfuggita... - Che cosa? - Niente: un'altra cosa... Non glielo volli dire. Un'altra cosa, signorina Luisetta, che forse da un gran pezzo dentro di me s'è guastata. Che la signorina Luisetta mi prestasse molta attenzione, non potrei dire. E, cammin facendo, mentre lasciavo parlar le labbra, pensavo: “Ah, tu non ti curi, cara piccina, di ciò che ti sto dicendo? La disavventura mia ti lascia indifferente? E tu vedrai con quale aria d'indifferenza io, a mia volta, per ripagarti con la stessa moneta, accoglierò il dispiacere che t'aspetta or ora, entrando alla Kosmograph con me: vedrai!”. Difatti, dopo neanche cinque passi su lo spiazzo alberato davanti al primo edificio della Kosmograph, ecco là accanto, come due dolcissimi amici, il signor Nuti e la signora Nestoroff: questa, con l'ombrellino aperto, appoggiato e girante su una spalla. Con che occhi si voltò a guardarmi la signorina Luisetta! E allora io: - Vede? Passeggiano tranquilli. Fa girar l'ombrellino, lei. Così pallida, però, così pallida era diventata la povera piccina, che temetti non mi cadesse a terra, svenuta: istintivamente protesi una mano a sorreggerla per un braccio; con ira ritrasse quel braccio e mi fissò gli occhi negli occhi. Certo le balenò il sospetto fosse opera mia, mia manovra (chi sa? d'accordo forse col Polacco), quella tranquilla e dolce riconciliazione del Nuti con la signora Nestoroff, frutto della visita da me fatta a questa signora due giorni avanti e forse anche del mio misterioso allontanamento di jeri. Scherno vigliacco dovette sembrarle tutta questa macchinazione segreta, da lei immaginata in un lampo. Farle temere come imminente per tanti e tanti giorni una tragedia, se quei due si fossero incontrati; fargliene concepire tanto terrore; farle soffrire tanto strazio per placare le furie di colui con un inganno pietoso, che tanto le era costato, perché? per offrirle in premio alla fine quel delizioso quadretto della placida passeggiatina mattinale di quei due sotto gli alberi dello spiazzo? Oh vigliaccheria! per questo? per il gusto di deridere una povera piccina che aveva preso tutto sul serio, cacciata in mezzo a quell'intrigo laido e volgare? Non s'aspettava nulla di bene, lei, nelle buffe e tristi condizioni della sua vita; ma perché questo poi? perché anche lo scherno? Era vile! Così mi dissero gli occhi della povera piccina. Potevo io lì per lì dimostrarle che il sospetto era ingiusto, che la vita è questa, oggi più che mai, fatta per offrire di questi spettacoli; e che io non ci avevo nessuna colpa? M'ero indurito; mi piaceva che l'ingiustizia del sospetto ella scontasse soffrendo per quello spettacolo là, per quella gente là, a cui tanto io che lei, non richiesti, avevamo dato qualche cosa di noi, che ora dentro ci doleva, offesa, ferita. Ma ce lo meritavamo! E ora, averla in questo compagna mi piaceva, mentre quei due passeggiavano di là, senza neppur vederci. - Indifferenza, indifferenza, signorina Luisetta, sù! Con permesso, - mi veniva di dirle, - scappo a prendere la mia macchinetta per impostarmi subito qua com'è mio obbligo, impassibile. E avevo su le labbra un sorriso strano, ch'era quasi il verso d'un cane, quando tra sé pensando digrigna. Guardavo intanto verso il portone dell'edificio in fondo, da cui venivano fuori, incontro a noi, Polacco, il Bertini e Fantappiè. Improvvisamente avvenne quello che in verità era da aspettarsi, e che dava ragione alla signorina Luisetta di tremare così, e torto a me di volermi serbare indifferente. La mia maschera d'indifferenza fu costretta a scomporsi d'un tratto, alla minaccia d'un pericolo che parve a tutti davvero imminente e terribile. Lo vidi dapprima balenare nell'aspetto del Polacco, che ci si era fatto vicino col Bertini e Fantappiè. Parlavano tra loro, certo di quei due che seguitavano a passeggiare sotto gli alberi, e tutti e tre ridevano per qualche frizzo scappato di bocca a Fantappiè, quando d'improvviso ci s'arrestarono davanti coi visi sbiancati, gli occhi sbarrati, tutti e tre. Ma sopra tutto nell'aspetto del Polacco vidi il terrore. Mi voltai a guardare indietro: - Carlo Ferro! Sopravveniva alle nostre spalle, ancora col berretto da viaggio in capo, com'era sceso or ora dal treno. E quei due, intanto, seguitavano a passeggiare di là, insieme, senz'alcun sospetto, sotto gli alberi. Li vide? Io non so. Fantappiè ebbe la presenza di spirito di gridar forte: La Nestoroff si voltò, piantò lì il compagno, e allora si vide - gratis - lo spettacolo commovente d'una domatrice che tra il terrore degli spettatori s'avanza incontro a una belva infuriata. Placida s'avanzò, senza fretta, ancora con l'ombrellino aperto su la spalla. E un sorriso aveva su le labbra, che diceva a noi, pur senza degnarci d'uno sguardo: “Ma che paura, imbecilli! se ci sono qua io!”. E uno sguardo negli occhi, che non potrò mai dimenticare, proprio di chi sa che tutti debbano vedere che nessun timore può albergare in sé chi guardi e si faccia avanti così. L'effetto di quello sguardo su la faccia feroce, sul corpo rabbuffato, sui passi concitati di Carlo Ferro fu mirabile. Non vedemmo la faccia, vedemmo quel corpo quasi afflosciarsi e i passi rallentarsi man mano che il fascino più da vicino operava. Unico segno, che qualche agitazione doveva pur essere in lei, questo: che si mise a parlargli in francese. Nessuno di noi guardò laggiù, dove Aldo Nuti era rimasto solo, piantato tra gli alberi. Ma a un tratto m'accorsi che una tra noi, lei, la signorina Luisetta, guardava là, guardava lui, e non aveva forse guardato altro, come se per lei il terrore fosse là e non in quei due a cui noi altri guardavamo, sospesi e sgomenti. Ma non fu nulla, per il momento. A rompere la tempesta, facendo molto strepito, piombò su lo spiazzo, proprio in tempo, come un tuono provvidenziale, il commendator Borgalli insieme con parecchi socii della Casa e impiegati addetti all'amministrazione. Furono investiti il Bertini e il Polacco, ch'eran con noi; ma le fiere riprensioni del direttore generale si riferivano anche agli altri due direttori artistici assenti. - I lavori andavano a rilento! Nessun criterio direttivo; una gran confusione; babilonia, babilonia! Quindici, venti soggetti lasciati in asso: le compagnie sbandate qua e là, mentre già da un pezzo s'era detto che tutte dovevano trovarsi raccolte e pronte per il film della tigre, per cui migliaja e migliaja di lire erano state spese! Chi in montagna, chi al mare; una cuccagna! Perché tenere ancora lì quella tigre? Mancava ancora tutta la parte dell'attore che doveva ucciderla? E dov'era quest'attore? Ah, arrivato adesso? E come? dov'era stato? Attori, comparse, attrezzisti, una folla era sbucata fuori da ogni parte alle grida del commendator Borgalli, ch'ebbe la soddisfazione di misurar così, quanto grande fosse la sua autorità e quanto temuta e rispettata, dal silenzio in cui tutta quella gente si tenne e poi si sparpagliò, quand'egli concluse la sua concione ordinando: Sparì dallo spiazzo, come sommerso prima da quell'affluire di gente, poi portato via dal rifluire di essa, ogni vestigio della - diciamo - drammatica situazione di poc'anzi; là, della Nestoroff e di Carlo Ferro; più là, del Nuti, solo, discosto, sotto gli alberi. Lo spiazzo ci restò davanti vuoto. Sentii la signorina Luisetta che mi gemeva accanto: - Oh Dio, oh Dio, - e si storceva le manine. - Oh Dio, e adesso? che avverrà adesso? La guardai con stizza, ma pure mi provai a confortarla: - Ma che vuole che avvenga? stia tranquilla! Non ha veduto? Tutto combinato... Io ho almeno questa impressione. Ma sì, stia tranquilla! Questo ritorno di sorpresa del Ferro... Scommetto che lei lo sapeva; se pure lei stessa jeri non gli ha telegrafato di venire; sì, apposta, per farsi trovare lì in amichevole colloquio con lui, col signor Nuti. Creda pure che è così. - Ma lui? lui? - Chi lui? il Nuti? - Se è tutto un giuoco di quei due... - Ma sì! ma sì! E la povera piccina tornò a storcersi le manine. - Ebbene? e se se n'accorge? - dissi io. - Stia tranquilla, che non farà nulla. Creda che anche questo è calcolato. - Da chi? da lei? da quella donna? - Da quella donna. Si sarà prima accertata bene, parlando con lui, che quell'altro poteva sopravvenire a tempo, senza pericolo per nessuno; stia tranquilla! Se no, il Ferro non sarebbe sopravvenuto. Ricatto. Questa mia asserzione racchiudeva una profonda disistima del Nuti; se la signorina Luisetta voleva tranquillarsi, doveva accettarla. Avrebbe tanto desiderato di tranquillarsi la signorina Luisetta; ma a questo patto no, non volle. Scosse il capo violentemente: no, no. E allora, niente! Ma in verità, per quanta fiducia avessi nell'accortezza fredda, nel potere della Nestoroff, ricordandomi ora delle furie disperate del Nuti, non mi sentivo neanch'io ben sicuro, che non ci fosse proprio da stare in pensiero per lui. Ma questo pensiero mi faceva crescer la stizza, già mossa per lo spettacolo di quella povera piccina spaventata. Contro la risoluzione di porre e tenere tutta quella gente là davanti alla mia macchinetta come pasto da darle a mangiare girando impassibile la manovella, mi vedevo anche io costretto a interessarmi ad essa ancora, a darmi ancora pensiero de' loro casi. Anche mi sovvennero le minacce, le fiere proteste della Nestoroff, che niente ella temeva da nessuno, perché qualunque altro male - un nuovo delitto, la prigione, la morte stessa - stimava per sé mali minori di quello che soffriva in segreto e nel quale voleva durare. S'era forse tutt'a un tratto stancata di durarvi? Si doveva a questo la risoluzione da lei presa jeri, durante la mia assenza, d'andare verso il Nuti, contrariamente a quanto il giorno avanti mi aveva detto? - Nessuna compassione, - mi aveva detto, - né per me né per lui! Ha avuto improvvisamente compassione di sé? Di lui, no, certo! Ma compassione di sé, per lei vuol dire levarsi comunque, anche a costo d'un delitto, dalla punizione che si è data convivendo con Carlo Ferro. Risolutamente, all'improvviso, è andata verso il Nuti e ha fatto venire Carlo Ferro. Che vuole? Che avverrà? È avvenuto questo, intanto, a mezzogiorno sotto il pergolato dell'osteria, dove - parte camuffati da indiani e parte da turisti inglesi - s'erano affollati moltissimi attori e attrici delle quattro compagnie. Erano tutti, o fingevano di essere adirati e in subbuglio per la sfuriata della mattina del commendator Borgalli, e cimentavano da un pezzo Carlo Ferro, facendogli intendere chiaramente che quella sfuriata la dovevano a lui, per aver egli messo avanti dapprima tante sciocche pretese e cercato poi di sottrarsi alla parte assegnatagli nel film della tigre, partendo, come se davvero ci fosse un gran rischio a uccidere una bestia mortificata da tanti mesi di prigionia: assicurazione di cento mila lire, patti, condizioni, ecc. Carlo Ferro se ne stava seduto a un tavolino, in disparte, con la Nestoroff. Era giallo; appariva chiaramente che faceva sforzi enormi per contenersi; ci aspettavamo tutti che da un momento all’altro scattasse, insorgesse. Restammo perciò in prima sbalorditi, quando, invece di lui, un altro, a cui nessuno badava, scattò d'improvviso e insorse, facendosi innanzi al tavolino, a cui stavano il Ferro e la Nestoroff. Lui, il Nuti, pallidissimo. Nel silenzio pieno d'attesa violenta, un piccolo grido di spavento s'udì, a cui subito rispose un gesto di là, imperioso, della mano di Varia Nestoroff sul braccio di Carlo Ferro. Il Nuti disse, guardando il Ferro fermamente negli occhi: - Vuol cedere a me il suo posto e la sua parte? M'impegno davanti a tutti d'assumerla senza patti e senza condizioni. Non balzò in piedi Carlo Ferro né s'avventò contro il provocatore. Con stupore di tutti s'abbassò invece, si distese sguajatamente su la seggiola; piegò il capo da una parte, come a guardare da sotto in sù, e prima alzò un poco il braccio su cui quella mano premeva, dicendo alla Nestoroff: - La prego... Poi, rivolgendosi al Nuti: - Lei? La mia parte? Ma felicissimo, caro signore! Perché io sono un gran vigliacco... ho una paura, io, che lei non si può credere. Felicissimo, felicissimo, caro signore! E rise, come non ho veduto mai ridere nessuno. Provocò un brivido in tutti quella risata, e tra questo brivido generale e sotto la sferza di quella risata restò il Nuti come smarrito, certo con l'animo vacillante nell'impeto che lo aveva spinto contro il rivale e che ora cadeva così, di fronte a quell'accoglienza sguajata e beffardamente remissiva. Si guardò attorno, e allora, all'improvviso, nel vedergli quella faccia pallida smarrita, tutti scoppiarono a ridere forte, a ridere forte di lui, irrefrenabilmente. La tensione angosciosa si scioglieva così, in quest'enorme risata di sollievo, alle spalle del provocatore. Esclamazioni di dileggio scattavano qua e là, come zampilli in mezzo al fragore della risata: - Ci ha fatto questa bella figura! - Preso in trappola! - Sorcetto! Avrebbe fatto meglio il Nuti a mettersi a ridere anche lui con gli altri; ma, infelicissimamente, volle sostenersi in quella parte ridicola, cercando con gli occhi qualcuno a cui afferrarsi per tenersi ancora a galla in mezzo a quella tempesta d'ilarità, e balbettava: - Dunque... dunque, accettato?... Farò io... Accettato! Ma anch'io, quantunque mi facesse pena, distolsi subito lo sguardo da lui per volgermi a guardare la Nestoroff che aveva negli occhi dilatati un riso di luce malvagio.
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