IV
APISTIO Per qual cagione credi tu sia fatto mentione di
quelle medicine di rose, le quali erano in agiutorio, e contra quelli incanti e
frodi magice?
FRONIMO Se gli e pur cosa vera e giovevole in queste medicine, penso sia preso da Aristotele. Nelle opere de cui
ho letto, che è riposto fra le meravigliose cose come è consuetudine che
muoiono facilmente li asini per lo odore delle rose. Il che sapendo Luciano e
Lucio finseno di mancare dalla forma dell'asino de cui prima haveano finto
esserne figurati. Overo
forse egli è quivi nascosta
un'altra cosa magica. Egli è da sapere come già grandemente erano infamate le
donne di Thessalia e di Thressa, che facessino delli veneficii, e dell'incanti,
et anchora era detto che fussi condutta la luna e menata secondo le piaceva
colli versi da quelle, e chiamate le fisse stelle del cielo, il che anchora era costume delli Sabini, sicome
scrive Oratio, et oltro di ciò dicevasi fussero inspirate da Baccho, et erano
chiamate Mimallone, cioè seguaci di Baccho, portando le corna si come faceva
ello, et anchora erano dette Adonide e furiavano colle complicate serpe fra li
thyrsi con illusioni magice et incanti e prestigii. Et erano tenute in tanto
honore e veneratione, che vuolsi intrare nella compagnia di quelle la reina Olympia madre del grande Alessandro. Io istimo
forse che quelle cose paiono bugie, puotrebbeno haver preso prencipio da
qualche similitudine e colore del vero. Pare anchor cosa più probabile che havessono qualche accrescimento da detti prodigii e
meravigliose opere de' demonii,
non senza qualche vero
fondamento della vera historia
colorato et adombrato con
molte vanitati e fittioni, che dalli sonnii: siccome è scritto da Synesio, il
quale vuoleva havessono havuto le favole ante ditte, e così li altri, da essi
sonnii. E certamente non sarebbe stato alcuno tanto brammoso di volgare e
manifestare quelle cose che fussero havute e vedute ne sonnii, sicome vedute fuori del sonnio, colle quali fussero tanto tirati
e sforzati l'huomini di meravigliarsi. O quanto sono li veneficii, maleficii,
et incantationi ramentate, iscritte, e narrate così dalli Greci, come dalli
Latini. Per ciò da Vergilio è detto di quella antistite e sacerdotessa della
stirpe de' Massilli, la quale prometteva di sciore le menti delli huomeni colli
versi, cioè di farli fare si come le piaceva, et di fare fermare l'acqua ne'
fiumi, di fare ritornare a dietro li pianeti, e di chiamare, et fare venire a
sé le notturne Mani, cioè li spiriti della notte. Anchora per questo se narrano
le medicine et incanti di Circe, di Medea, di Canidia, e quelle altre
generationi di veleni le quali conducono l'huomeni al pazzesco amore, chiamate
da Theocrito siciliano philtre di Simetha, e così da lui scritte, lo quale
seguitò Marone ne' suoi versi. Può esser che doviamo pensare che siano tutte
queste cose finte, senza verun fondamento? Vero è che mi ramento d'haver letto
nel Plutarcho quella favola, con grande ingenio e sagacità ritrovata, di
Aganice di Thessalia, la quale narra come conduceva a sua voglia la luna. Ma così
era la verità, che quella, conoscendo la cagione che la luna hora era ritonda, hora cornuta, et hora
più non se vedeva per la
interpositione della ombra della terra fra essa et il Sole, con finte parole e
con assai persuasioni, dava ad intendere alle donne di Thessalia, le quali non
intendevano simile cosa, come le conduceva in quel tempo la luna in terra
sicome le piaceva. E così dicono havessero principio l'altri favole da simili
finte opere, overo da grande astutia e saggacità. Il perché
fu uno greco chiamato Palephato, se ben mi ricordo, il quale se sforzò di
dimostrare con grande
ingegno in che modo havessono
la maggiore parte delle favole fermo fondamento dalla historia, et anchora sforzosi di dimostrare come di poi
fussero suto sovente ampiate in maggiore cose esse favole fondate sovra di essa verità dalla falsa fama
del rozzo vuolgo. E così credo io scrivesse Vergilio quel verso:
La dotta carta teste è di
Palephato.
Veramente egli è molto chiaro
qualmente o che l'huomeni erano tramutati colli incanti e veneficii in diverse
figure, sia come bugiardamente et anchora scioccamente parlaveno alcuni, overo che apparevono così. Il perché pare non se ne
possi negare senza qualche stoltitia che almanco quelli non paressono a se o ad
altri essere simile cosa. Non ti raccordi di quello che tanto chiaramente se
dice delle figliuole di Preto? cioè che impirno con falsi mugiti e voci di
animali li campi? et haver havuto paura dello aratro, et anchora haver cerco le
corna nella leggiere fronte? Così è narrata cotesta favola: come furono tre
figliuole di Preto, le quali, sendo già nel fiore
della gioventù e conoscendole esser bellissime, intrando nel Tempio di Giunone,
spreggiarno la Dea Giunone, riputandosi esser più belle di quella: per il che
adirata la Dea vi misse tale follia in esse, che le pareva fussero divenute in
forma di vacche, il perché havendo paura di portare e conducere lo aratro,
fuggirono nelle selve. Così narra Vergilio, con il testimonio di Homero, ma Ovidio dice in altro
modo, cioè che così divennene nel furore e pazzia, che gli pareva di esser
doventate vacche, nella Isola di Chea, perché haveano consentito a quelli
haveano furato alcuni animali dell'armento di Hercole. Le quali, dipoi, furono
redutte a sé, et vi fu illuminata la fantasia da Melampo, sicome fu Lucio con
la rosa, ma dicono alcuni altri, che furono sanate, e ritornate alla prima
figura da Esculapio;
sia come si voglia, così egli
è narrato variamente. Vero è o che intrassino in simili furie e pazzie, o fussi
per ira, o per opera del Demonio, overo per qualche
corporale infirmità, ritrovò l'antichità a quelle giovevoli e diversi rimedii.
Ma tu debbe sapere come hebbero li Demonii varii e diversi
modi, et anchora continui, de ingannare li huomeni, in quelli tempi, nelli
quali tenevano lo imperio quasi di tutto il mondo, e non solamente per li
sacerdoti, et antistiti delli Tempii, e per li oracoli e resposte delli idoli
et imagini, ma anchora ingannaveno per mezzo de alcune donniciuole inspirate
dal falso Pithia et fraudolente Apolline. E così per cotesti modi conducevano
gli huomeni a stare stupefatti e maravegliosi delle loro operationi et
inviluppavono quelli nelle precipitanti rovine delle sceleritade, sotto colore
della sagrata religione. E perciò pigliavono varie forme e diverse figure. Così
se può vedere e considerare Protheo figliuolo dell'Oceano appo de quasi tutti i
poeti, lo quale se demostrò in forma di varii simulacri e figure, sicome dice
Vergilio con lo testimonio di Homero, cioè che
subito fu fatto horrendo
porco e furiosa Tigre,
squammoso dragone, et una lionessa con la fulvante e gialda cervice, e molte
altre cose ramentano a lui, che lasso per brevità. Dimostra anchora Philostrato
con alquanti dialoggi, qualmente appareveno quelli eccellenti Baroni, che
furono occisi ad Ilio, al Vinitore. Così anche si ramenta in che modo apparesse
ad Apollonio Tianeo una fantasma overo apparente
figura della Empusa, cioè di una certa generatione di Larve, o sia spaventevole
imagine avvotata a Diana, che vano, sicome se
finge, con uno piede, e convertonse in varie figure, et alcuna volta,
incontinente che si sono rappresentate, spareno e più non se
vedono. Anchora dicesi come havesse conversatione una
Larva, o sia Lamia, sotto colore di honorevole matrimonio, con Menippo Cinico,
ma non già con quello, il quale seguitò Varrone nelle Satire. Conciosia
che quello Licio è molto più antico di cotesto altro
Menippo. Benché so che tu intendi quello significa Larva, pur anche io il
voglio ramentare per parere di saperlo, et anchora per ramentarlo, se così hora hora non te occorresi. Sono Larve nuocevoli ombre dello
inferno, overo
ispaventevole scontro della
notte, e le Lamie erano chiamate alcune imagini e spiriti molti brammosi de
lascivi amori e sozzi piaceri, et anche grandemente desideraveno di mangiare
l'humana carne. Vedi mo che favole erano coteste. Pur dimmi Apistio mio, non
paiono a te coteste cose che havemo narrato disopra molto simili a quelle delli
quali longamente dicesi delle malvagie streghe della nostra etade?
APISTIO In verità a me paiono quasi simili. Il perché hora occorrono a me quelle parole dell'antica favola,
cioè Larva, Lamia, et incubi con quello verso di Ausonio:
Nota è la strega in cune de
fanciulli
con quella donnesca
sceleragine".
FRONIMO
Hor più oltre, ramentiamo pur dell'altre cose, acciò se possa donare egual
giudicio e giusto, senza punto di menzogna. Credo che tu sappi qualmente sono scritti infiniti versi delli veneficii et
incanti, delli liquori e bevande, delli pharmaci e medicine, et anchor sono cantate favolesche voci, e le nenie marsice,
cioè le favole de' Marsi. Ma tu debbe sapere come sono iscritte e cantate con
una certa metaphora e similitudine quelle cose che così se leggono, cioè che
l'huomeni, li quali remigaveno, grunisceno colli porci per le donnesche
lusinghe, e che bruggiasse Hercole sendo unto con il
sangue di Nesa, e che fussero instillati li amori colli veleni di Colcho, conciosia che chiaramente se conosce fussero
significate e manifestate le scelerate compagnie e prophani modi della sozza e
nefanda libidine, coll'antidette osservationi e canti. Vero è che voglio tu
intenda, come non erano imperò detti incanti né anchora dette representationi
sofficienti di spaventare veruno, ma solamente pigliaveno e paventaveno quelli
che vuolevano. Il perché narra Homero qualmente
Olisse assaltò Circe incantatrice, non con il dolce baso, ma sì con l'aguto
coltello. Il quale, così come non fu preso dal cieco amore, così anchor non fu inviluppato dalli incantamenti. Li quali
non nuoceno senza malegna sottilità delli demonii. Legano quelli che vuoleno;
et accioché vuoleno usano varie arti e diversi modi. Pigliano il rozzo volgo
con la sozza libidine, e colli dilettevoli et lascivi piaceri, e tirano a sé
quelli che sono dediti alla vita civile colle ricchezze e con la dovitia, e pur
anchor altri ne conducono a suoi voti, benché
puochi, con le promissioni e con la esca della gloria e dell'honori, cioè
quelli che se sono dati alli studii della philosophia. Ma quanto pertene alli
conviti, attendi ben: se dirò, come quelli in parte sono veri et in parte
imaginationi et illusioni, non però sarò discosto né disconvenevole dalli
antichi scrittori. Conciosia che ritroviamo iscritto da Herodoto della Mensa
del Sole, e da Solino essere istimata quella una cosa divina. Così ritroviamo
nella Vita di Apollonio Tianeo, il convito della sposa di quello, la
quale era riputata una dell'antidette Lamie o delle Larve o delle Lemure, e
leggiamo ivi, come sparbino li vasi parevano di oro e di ariento che erano su
la mensa. Et in cotal modo apparevano i demonii all'huomeni sotto varie imagini
e figure, chiamate da Philostrato Empuse, e Lamie, e Mormolichie, o siano
Larve. Già puoco avanti havemo dechiarato che cosa siano cotesti spiriti et
ombre. Ma quanto alle Lamie, ritroviamo in Esaia propheta il luogo delle Lamie,
dove fa mentione del scontro delli demonii sucubi, cioè de
quelli che se dimostrano all'huomeni in figura di femmine e così dano lascivi piaceri alli maschi, et istimano costoro
che siano le Lamie di humana effigia dal mezzo in sù, e dal mezzo in
giù dicono come rapresentano una certa bestiale figura. Alcuni Hebrei
altrimenti scriveno, dicendo come se intende per le Lamie alcune ombre e
spiriti furiosi, benché sia fatta mentione nelli Treni di Geremia
propheta delle mamme, overo
pope, della Lamia. Ma altri
istimano sia derivato cotesto nome dal laniare e spaccare, et alquanti
dalla lama, che vuol dire voragine, o ispaventevole profondità. E de
quindi credono sia derivato quel detto di Horatio:
Ne traggi il fanciul vivo de
pasciuta
Lamia, del ventre.
Anchor narrasi fussero già condutti nel
spettacolo da Probo Cesare molte Lamie. In qual modo e figura fussi quella che
ingannò Menippo, non si può facilmente così da altro luogo conoscere quanto da
Philostrato. Il quale narra come fu ingannato esso Cinico da quella Lamia,
quando ella fingeva di pigliarlo per marito e di pigliare amorosi piaceri con
quello. Parimente io istimo fussi uccellato e schernito Apollonio, quando era
pregato da quella non se incrodelisse nelli tormenti. Così era ingannato,
perché istimava essere le Lamie molto facile a dovere amare l'huomeni, e dipoi
pensava che grandemente brammassino di havere amorosi piaceri con essi, e non
manco dipoi credeva che mangiassino le carni humane. Ma, il mio Apistio, io te
chiarisco qualmente non sono tirati i demonii dalle brammose
voglie de amorosi piaceri, né condutti da desiderii libidinosi, ma sono
condutti dalla malgradevole invidia a dimostrare coteste cose, acciò rovinino e
mandano nel precipitio delli peccati l'humana generatione, et al fine la
conducano nella infernale dannatione, dove essi sono confinati in perpetuo. Et
acciò ben intendi, infiammano cotesti scelerati spiriti li miseri mortali, cioè
quelli imperò che si lassino ingannare, con una certa fiamma occolta, ma non
sono essi infiammati da quelli, il ché intese il poeta Vergilio quando disse: Inspira
in essi uno occolto fuogo. Conciosia che mi arricordo che fu narrato dalla
strega, che quando se appresentava il demonio alli sentimenti suoi in diverse e
varie forme, havea in usanza di conoscerlo e di discernerlo dalli veri animali delli quali ello havea pigliato
la forma, in questo modo: le pareva che vi intrasse nel petto un certo calore
et una certa fiamma, per la quale era certificata come quello era il demonio.
Anchora narrava qualmente era apparechiata alla spreveduta una fiamma di fuoco,
sicome le pareva, nel giuoco dove convenivano tutti avanti la Donna, o sia
avanti del Demonio che se presenta in forma di ornatissima Reina, con la quale fiamma diceva che incontinente se
coccevano le carni se magnono, sendole mostrate ad essa fiamma. Non brammano li
demonii il sangue humano, né anchor desiderano le carni per mangiare, ma il tutto
operano e procacciano acciò conduchino l'anime e corpi delli miseri mortali
nelli sempiterni tormenti. La qual cosa io so che egreggiamente intenderai,
quando udirai parlare Dicasto. Il quale, se ben vedo e non me inganna l'occhio
per il longo spatio, a me pare già sia alle mani, a
combattere con la strega.
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